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Il Jazz fra due mondi – intervista a Lucio Ferrara

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E’ un progetto dal chiaro sapore internazionale quello che abbiamo avuto modo di ascoltare ieri allaCasa del Jazz, un disco che racchiude anni di viaggi e di lavoro ricchi di entusiasmo. Parliamo dell’ultimo lavoro del chitarrista Lucio Ferrara, “It’s all right with me”, presentato ieri in una delle location più belle della capitale. Insieme a lui c’erano Nicola Angelucci (batteria) e Luca Mannutza(hammond) due musicisti che Lucio conosce bene, con i quali ha condiviso molte esperienze e che hanno preso parte ad un progetto cominciato dall’altra parte del mondo, negli Stati Uniti. Dunque, un disco a cui hanno partecipato, oltre ai nomi appena citati, artisti come Lee Konitz, Antonio Ciacca, Ulysses Owens, Kengo Nakamura e Yasushi Nakamura. Lucio Ferrara ci ha raccontato in prima persona questa esperienza.

 Lucio, per cominciare volevo parlare dalla genesi di questo progetto: “It’s All Roght with me”. Come mai è stato registrato luoghi diversi, tra Sorrento, Roma e lo stato del New Jersey?

“Diciamo che non c’è un motivo preciso. Quello che ho scelto sono state le formazioni con cui preferisco sonare come il quartetto con pianoforte, il trio con lo hammond e il quintetto con il sassofono. La scelta vera e propria è stata l’idea di registrare un disco a New York, ma alla fine ho preferito aggiungere due brani con due musicisti, Nicola Angelucci e Luca Mannutza, con cui sono tutto l’anno. Con loro c’è un vero e proprio rapporto di amicizia perché ci vediamo continuamente, mentre le esperienze con i musicisti americani sono momenti occasionali in cui ci si incontra una volta all’anno a New York”.

foto di Valentino Lulli

Quindi, potremmo dire che in questo progetto c’è un’anima internazionale?
Esattamente, diciamo che in questo progetto viene fuori questa mia internazionalità legata ai rapporti di lavoro e ai viaggi continui. E’ un aspetto che effettivamente rappresenta gli ultimi anni della mia carriera.

E il titolo di questo tuo progetto è forse legato ad un tuo stato d’animo particolare?
“Sicuramente è legato a quella positività che incontro quando lavoro con gli american negli Stati Uniti e a quell’incoraggiamento che loro hanno verso la vita. Questo progetto rappresenta tutta quella positività che sento quando vado in questo paese. E’ un momento in cui sento un’altra aria e in cui respiro in un altro ambiente. Con questo titolo ho cercato di descrivere apertamente questo stato d’animo”.

Il fatto di non avere una formazione stabile è forse legato al fatto di considerare la musica come qualcosa in continuo cambiamento?
“Si, sicuramente c’è il vantaggio di suonare con diversi musicisti e di scoprire come la musica viene fuori in maniera sempre differente. Ovviamente la cosa ideale sarebbe quella di suonare con una band fissa con cui lavorare per tutta la vita perché soltanto in questo modo raggiungi un Interplay unico, però ci sono anche gli aspetti legati alle novità. Suonando con diverse persone Impari da tutti e collezioni esperienze che ti aiutano a crescere”.

Quindi, potremmo dire che l’approccio con i musicisti con cui suoni è legato proprio al concetto di Interplay?
“Credo di si, io lo vivo così. Il mio modo di suonare dipende anche dagli altri musicisti, dagli imput continui che mi trasmettono e dal continuo sviluppo del l’idea di Interplay”.

E il fatto di aver viaggiato tanto quanto può avere influito sulla tua musica?
“Sicuramente ha influito tantissimo. Viaggiare è fondamentale perché a un certo punto, quando pensi di sapere tutto, scopri che ci sono delle novità. Per crescere hai bisogno di cercare sempre nuove esperienze”.

E se dovessimo fare un parallelismo fra un’esperienza dal vivo in America ed una in Italia…
“Diciamo che il pubblico americano in generale è molto entusiasta e senti la sua presenza continuamente. E’ un pubblico attento che conosce bene la storia del jazz e al quale non hai bisogno di spiegare la musica che suoni. Quando ti esprimi con un bambino usi un determinato linguaggio e quando ti trovi in America è come se parlassi ad un adulto che ti capisce bene”.

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