Jazz Agenda

Live Report: Vito Favara presenta Even If al Be Bop Jazz Club

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Di giovani talenti che meriterebbero di avere maggiore spazio nel panorama jazzistico capitolino ce ne sono davvero tanti. Fra questi abbiamo il piacere di segnalarvi un giovane musicista siciliano, ormai trapiantato a Roma da un bel po’ di tempo, dal nome Vito Favara. Un pianista originale e virtuoso che venerdì scorso abbiamo avuto modo di ascoltare nel rinnovato Be Bop, un luogo centrale per il jazz romano che dà anche molto spazio ai giovani talenti che forse meriterebbero più attenzione. Ad accompagnare questo ragazzo siciliano, che armato di tanta passione ha girato l’Europa per poi trapiantarsi nella nostra città, c’erano due veterani del Jazz romano: Francesco Puglisi al contrabbasso e Marco Valeri alla batteria. Dunque, un trio, la formazione che per eccellenza mette in risalto le potenzialità del pianoforte e che attraverso l’essenzialità, secondo noi, raggiunge la perfezione e la giusta stabilità fra ritmo e melodia.

E il concerto comincia sotto le note di “Even If” title track di un album che un orgoglioso Vito Favara ha presentato la sera stessa al pubblico presente. In questo brano, che ha dato il via ad un concerto veramente molto piacevole, abbiamo avuto modo di ascoltare come un giovane musicista, che di talento ne ha da vendere, riesca a giocare con questo strumento, passando dalle costruzioni armoniche, fatte da accordi ascendenti e discendenti, ad assoli velocissimi e musicali. E forse sta proprio qui l’originalità di Vito Favara, nel saper giocare con questo strumento, nel non prendersi troppo sul serio e nel divertirsi a cambiare l’intensità del brano che viene suonato, in questo caso di chiara matrice Even 8. Ma se un concerto comincia in un modo, non è detto che non sia possibile cambiare registro. E così c’è anche il tempo per uno standard, ‘Il Fascio Blues’ che ci fa viaggiare per un po’ nelle atmosfere degli anni ‘50 a tempo di swing. Un ritmo incalzante, divertente, a tratti arrembante, che ci fa pensare alle pellicole in bianco e nero e al fascino di un’epoca che ci ha lasciato un retaggio musicale davvero importante.

Ma sono i pezzi originali quelli più intriganti della serata. Nella composizione Peace for Peace, il brano che senza dubbio ci ha colpito di più, esce fuori tutta l’originalità del Vito Favara compositore. Un brano malinconico, dal sapore (secondo noi) latineggiante in cui spicca la sensibilità di un musicista attento (e brillante allo stesso tempo) e in cui c’è anche il tempo per invertire un po’ le carte in tavola. Per un breve istante, infatti, mentre il contrabbasso esce fuori tenendo la linea melodica, il pianoforte fa da supporto armonico, generando una piacevole sensazione di intimità e rilassatezza. E prima che finisca il primo set c’è anche il tempo ascoltare un brano in ¾, White Flowers, in cui la pulsazione della batteria viene accompagnata da assoli velocissimi e da rapide armonizzazioni. A fotografare l’attimo ci pensa la luce del locale che piano piano si abbassa generando un’atmosfera calda e accogliente che ben accompagna il brano che conclude questa prima sessione del concerto.

Il secondo set prosegue sempre con la stessa filosofia, dando ai singoli lo spazio che meritano, e offendo al pubblico presente tutta la passionalità e la raffinatezza che, unite al giusto tocco musicale, trasmettono emozione e voglia di stupire. E il concerto scorre veloce, leggero e intimo, fino all’ultima immagine che il pianoforte di Vito Favara disegna davanti ai nostri occhi, rendendoci contenti di aver potuto osservare dal vivo un pianista che sicuramente troverà il giusto spazio nel panorama capitolino.

Carlo Cammarella

Foto di Valentino Lulli

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Domenico Sanna Trio – Too Marvelous Words – una recensione

Uno dei più talentuosi pianisti jazz emerso negli ultimi tempi è il giovane Domenico Sanna. Il suo primo disco è “Too marvelous for words”, pubblicato dalla nuova casa discografica Tosky Records. Si tratta  del disco con cui questa etichetta ha esordito sul mercato, e non avrebbe potuto fare scelta migliore: la Tosky Records, infatti, si propone di valorizzare i talenti musicali attraverso quattro diverse linee editoriali (jazz, pop-rock, musica per cinema e tv, context). Pianista giovane, dicevamo, ma già di solida esperienza, Domenico Sanna a soli 20 anni si esibisce nel locale Blue Note di Milano in qualità di ospite del Fabio Mariani Group. Studia pianoforte con musicisti di fama, sia italiani che stranieri: Greg Burke, Pino Iodice, Andrea Beneventano, Kenny Barron, Gorge Cables, Salvatore Bonafede e molti altri e nel 2007 si diploma a pieni voti presso l’Università della Musica.Vince, quindi, vari premi, tra i quali il Luca Flores 2009 e collabora con noti jazzisti: Stefano Di Battista, Giorgio Rosciglione, Flavio Boltro, Roberto Gatto, solo per citare alcuni nomi. Finalmente lo scorso anno approda all’incisione del primo disco a suo nome, appunto “Too marvelous for words”. Si tratta di un album estremamente elegante, raffinato, che vede la collaborazione fondamentale di due maestri dei rispettivi strumenti: Giorgio Rosciglione al contrabbasso e Marco Valeri alla batteria.

Proprio la scelta di avvalersi di musicisti appartenenti a generazioni tanto diverse  (Rosciglione un punto di riferimento per il jazz italiano sin dagli anni ‘60; Valeri ormai una certezza della nuova generazione di batteristi e con un curriculum già ricco di prestigiose collaborazioni) fornisce la cifra stilistica dell’album, per il quale non è fuori luogo il termine “vintage”. In esso, infatti, si respirano atmosfere musicali retrò coniugate alla moderna sensibilità di Sanna, che pur ispirandosi evidentemente a pianisti noti come Ahmad Jamal e George Shearing, se ne distacca attraverso il suo talento, la sua personale esperienza e sensibilità. Nel disco si alternano riletture di noti standards (vale la pena ricordare almeno “Promenade” di Gershwin ) ed interessanti brani originali: in entrambi i casi ciò che risalta è un notevole affiatamento tra i musicisti, che si esprime nell’equilibrio delle melodie, nelle sonorità morbide, avvolgenti e negli arrangiamenti estremamente curati. D’altronde non è un caso che un pianista di fama e di consolidata esperienza come Dado Moroni sia rimasto profondamente colpito dall’ascolto di “Too marvelous for words”, al punto da esserne commosso: “La musica che stava uscendo dai miei speakers (…) raccontava storie antiche, ma usando un linguaggio nuovo e l’unico modo in cui potevo descriverla stava nell’immagine che un grande pianista americano, sul finire degli anni ’50, quindi nel pieno boom della fantascienza, avesse trovato il modo di viaggiare nel futuro (…) e poi fosse tornato nel passato e avesse inciso un lavoro che raccontasse le sue avventure impossibili (…)”. Insomma, un disco forse inusuale nell’attuale panorama jazz, ma che conquista per la sua elegante e riuscitissima miscela di sapori antichi ed umori moderni.

Marianna Giordano

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