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Auguri Maestro! Enchantement celebra Rota all’Orfeo di Taranto

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5 dicembre 2011. «E stasera la musica di Nino Rota diventa uno standard», recitano le note d’apertura. A dire il vero il mondo del jazz di omaggi al maestro Rota ne ha già dedicati, e non pochi. Nessuna prima volta, dunque. Il merito di Enchantement, il progetto di Stefano Fonzi e Fabrizio Bosso, in prima (questo sì) lo scorso lunedì sera al Teatro Orfeo di Taranto, è stato piuttosto quello di presentare un connubio pregiato ed elegante tra due mondi solo apparentemente lontani, quello della musica cosiddetta colta e quello del jazz. Una scrittura equilibrata da un’improvvisazione mai invadente che consegna, nell’intenzione della suite, un omaggio sensibile e affezionato al ricordo del maestro.”. Qualcuno parlerebbe di jazz sinfonico. Sullo stesso palco, l’Orchestra della Magna Greciae un combo d’eccezione, con Lorenzo Tucci alla batteria, Rosario Bonaccorso al contrabbasso,Claudio Filippini al pianoforte e Fabrizio Bosso alla tromba e al flicorno. Enchantement, sottotitolo “L’incantesimo di Nino Rota”, è l’ultima produzione della Schema Records per celebrare il centenario dalla nascita del maestro. Ispirata e lucida negli arrangiamenti, è una collezione che percorre, ripensa e trasfigura alcune delle pagine più intense dell’opera da film di Rota.  Da “Otto e mezzo”, introdotto suggestivo dalle parti di xilofono e fraseggiato da Bosso per frammenti, a “Romeo e Giulietta”, dove l’eco dell’oboe riscopre una romantica ballad, cadenzata dai respiri soffici di Bosso e dalle arcate languide della prima fila. Letto di luci blu. Quando arriva “Amarcord”, la tromba strilla rauca e audace, sempre dannatamente intonata, da strappare i capelli.

 

Tante le suggestioni e le allusioni che rivitalizzano il rapporto con quel cinema che non c’è, e che comunque si sente, e si vede. Bonaccorso imbastisce caldo il tema. L’intermezzo è a firma Fonzi.“Enchantement” arriva all’anima, raccontato pianissimo dal violoncello. Dall’altra parte della mezzaluna, Tucci c’innesta un piatto muto e risponde con un assolo afono che gonfia, strutturato, definito. Un dialogo a distanza il loro, i due estremi del gran combo. Impressionista. La linearità del pensiero di Bosso resta, sempre cantabile e limpida. Tempo di valzer e Filippini, espressivo e devoto a un pianismo lirico, purtroppo opacizzato dal timbro costipato dello strumento, allude al “Gattopardo”. L’assolo vivo di Bosso, il dialogo amoroso con la prima viola, e l’orchestra prende “La Strada”. Una bolla, sospesa. Fende appena la luce del primo violino, quello del “matto”. Intenso l’assolo di Filippini che anticipa “Il padrino”, poi dichiarato da Bosso. Esplode e si riappropria di quello spazio drammatico l’orchestra. Caricano i timpani. È una migrazione ritmica che allude all’America e precipita swingante nella sezione ritmica. Miscela perfetta. Noises e dramma nei colori di Bosso, spinti da un ritmo convulso nei suoi repentini cambi di marcia. Funerei i colori de “Il ragazzo di borgata”, saggio misurato di echi della tradizione popolare, e un fischio arriva d’improvviso a spezzare il tempo narrativo. Sincopa “La dolce vita” e avvia un eccentrico samba. Scanzonato e leggero, è una festa. Un attimo, e quell’ingessatura di reverenzialità si scioglie. L’orchestra diventa protagonista, buca il velo di timido contenimento, e quel piacere incubato per cinquanta minuti finalmente viene fuori e inonda. «Ci siamo lasciati ispirare», confida Bosso. E quell’ispirazione ha fatto centro.

Eliana Augusti

foto di Federica Giura

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