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Fabio Zeppetella racconta Handmade: “Il mio linguaggio si basa sul binomio tra musica e poesia”

E’ senza dubbio uno dei chitarristi più noti e apprezzati del panorama italiano ed internazionale. Parliamo di Fabio Zeppetella, artista dalla grande sensibilità e dal tocco raffinato che ha tra i suoi progetti di spicco Handmade, disco pubblicato da Via Veneto Jazz / Jando Music al quale hanno partecipato Aaron Goldberg al pianoforte, Matt Penman al contrabbasso e Greg Hutchinson alla batteria. Zeppetella porterà in concerto questo progetto uscito diversi anni fa al Caffè Bugatti di Terni il giorno 28 settembre 2016. Insieme a lui una formazione tutta italiana composta da Roberto Tarenzi al pianoforte, Dario Deidda alla chitarra e Fabrizio Sferra alla batteria. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la nascita di questo progetto e non abbiamo potuto fare a meno di fare un parallelismo tra Stati Uniti ed Italia.

Partiamo dal titolo Handmade, che letteralmente vuol dire “Fatto in Casa”. Perché la scelta di questo nome che ha un effetto così forte?

Il titolo del disco è venuto fuori da un’idea del produttore. Dal momento che ho seguito il lavoro passo dopo passo ed è stata una mia creazione mi è sembrato più che azzeccato, anche perché ho pensato alla musica, allo studio di registrazione e ai musicisti da inserire all’interno del progetto. Le composizioni, infatti, sono state pensate in modo da avvalorare gli artisti che hanno suonato con me e che hanno partecipato all’incisione del disco. Tutto questo senza dimenticare che i musicisti con cui collaboro ora, ovvero Roberto Tarenzi al pianoforte, Dario Deidda alla chitarra e Fabrizio Sferra alla batteria sono di livello mondiale e non hanno nulla da invidiare agli americani.

Parliamo adesso delle caratteristiche del disco. Quali sono quelle che possiamo riscontrare in Handmade?

La musica del disco si basa completamente su mie composizioni originali, eccezion fata per un brano del grande John Coltrane. Diciamo che in linea di massima c’è un occhio che guarda alla contemporaneità del jazz, uno che guarda al lirismo che appartiene alla nostra cultura mediterranea e un’altra ancora che guarda alla tradizione. Diciamo, però, che il mio linguaggio si basa principalmente sul binomio tra musica e poesia, un ingrediente che per me è fondamentale.  I miei grandi eroi, infatti, sono Bill Evans eTom Harrell, musicisti che hanno la capacità di toccarti il cuore. Io sento di appartenere a questa fascia di artisti umani e comunicativi che oggi sono quasi scomparsi lasciando lo spazio ad un jazz probabilmente più cerebrale. La musica deve toccarti l’anima, deve entrarti dentro: è la cosa più importante!

Visto che abbiamo parlato di musicisti italiani ed americani vogliamo fare un paragone tra essi?

Diciamo subito che gli americani sono super efficienti, macinano una quantità di palchi incredibile, fanno tantissime sessioni, tanti dischi in maggior misura di noi. Questa è una differenza sostanziale che sussiste perché in America i musicisti, per i costi della vita e degli affitti, sono costretti a lavorare davvero molto. Per contro posso dirti che i musicisti italiani, a partire da quelli che fanno parte del mio gruppo, sono davvero di grande livello: Roberto Tarenzi, Fabrizio Sferra e Dario Deidda non hanno bisogno di presentazioni e sono consideranti a livello mondiale. E’ chiaro, quindi, che la differenza sostanziale sta nel fatto che gli statunitensi sono grandi professionisti, sempre e abituati a lavorare tanto. Questo, però, non vuol dire che hanno più estro artistico degli italiani che a mio avviso meritano di suonare nei gruppi e nelle formazioni migliori al mondo.

Quindi cosa ne pensano gli americani del jazz italiano?

Gli americani pensano senza dubbio che il jazz italiano sia uno dei migliori al mondo. Hanno un’alta considerazione soprattutto perché in Italia c’è un forte lirismo e c’è grande grande feeling. La bravura o la perfezione nel fraseggio puoi trovarli in tanti altri artisti di altre nazioni ma quest’altra caratteristica che appartiene alla nostra cultura e soprattutto al nostro passato è davvero un marchio di fabbrica. Secondo me è il nostro punto di forza e il nostro valore aggiunto nella musica!

Spostiamo per un attimo l’attenzione alla chitarra come strumento. E’ vero che in passato non ha avuto forse lo spazio che meritava rispetto ad altri strumenti?

Diciamo che la chitarra storicamente è stato uno strumento che non ha mai avuto il ruolo del sideman come invece è successo al pianoforte. I grandi gruppi, infatti, hanno sempre avuto quest’ultimo come strumento armonico per cui i chitarristi per emergere dovevano sempre incarnare il ruolo del leader o dovevano essere dei solisti. Questa condizione, però, per certi versi ha dato il via al jazz contemporaneo  e infatti ci sono dei chitarristi che sono diventati delle vere e proprie star come Wes Montgomery che ha aperto la strada alla fusion ed è arrivato al grande successo, aprendo la strada a musicisti come Pat Metheny e John Scofield. Tutto questo paradossalmente ha dato la possibilità ai grandi chitarristi di fare strada e di riscattarsi.

Possiamo dire anche che la chitarra di oggi risente di questa condizione che c’era in passato?

Diciamo che anche in Italia la chitarra risente ancora del suo passato e sicuramente il sassofono e la tromba sono strumenti che vengono utilizzati maggiormente nel ruolo del leader. Tradizionalmente, per riallacciarsi al discorso di prima, la chitarra è uno strumento che in passato stava dietro, vicino al contrabbasso e alla batteria. Ha cominciato a fare soli in un secondo momento perché ha sempre fatto parte della sezione ritmica. Ora, però, a distanza di anni le cose sono cambiate e anche la chitarra nel jazz è molto apprezzata.

                

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