Gabriele Mirabassi racconta Correnteza: “La nascita del disco è venuta da sé, portata dalla corrente”
- Scritto da Jazz Agenda
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Un disco che nasce dalla passione e dal profondo rispetto per il Brasile e per la musica di Antonio Carlos Jobim, autore di portata internazionale che ha saputo dipingere il suo paese nelle sue varie sfaccettature. E’ questo il punto di partenza del trio Correnteza, composto da Gabriele Mirabassi al clarinetto, Roberto Taufic alla chitarra e Cristina Renzetti alla voce, che ha dato vita all’omonimo disco pubblicato dall’etichetta Hemiolia Records nell’ottobre del 2016. Correnteza, parola brasiliana che tradotta in italiano significa “La corrente del fiume”, è il brano che dà il titolo all’album e che senza dubbio ne racchiude l’essenza, la naturalezza e l’empatia. A raccontarci la storia del trio, dunque, ci ha pensato Gabriele Mirabassi in persona, partendo dai percorsi di vita, dalle storie, dal comune amore per il Brasile!
Gabriele cominciamo proprio dall’inizio: i membri del trio Correnteza, completato da Cristina Renzetti e Roberto Taufic sono tutti collegati al Brasile per motivi diversi. Ci vuoi raccontare i vostri percorsi personali?
"I nostri percorsi personali sono molto diversi, ma in mezzo c’è sempre il Brasile, una terra che non rappresenta soltanto una zona geografica, ma un luogo in cui è avvenuto un incontro fondamentale che ha cambiato per sempre la nostra visione della musica. Il più coinvolto è senza dubbio Roberto che, pur avendo genitori palestinesi emigrati in Sud America, vive in Brasile da quando era ancora piccolo. La sua biografia che lo porta giovanissimo in Italia, dove ci rimane per 20 anni sposandosi e creando dei legami molto forti, lo ha predisposto ad avere una formazione professionale europea che lo ha fatto diventare un brasiliano molto atipico. Al contrario Cristina ha abitato a Rio de Janeiro per 5 anni dove ha imparato moltissime cose tra cui un portoghese che spesso viene scambiato come madrelingua. Nei suoi anni di permanenza in Brasile ha avuto grandissime collaborazioni con musicisti noti in Brasile per poi tornare in Italia a Bologna dove risiede tuttora. Io, invece, ho fatto una lunga militanza nel mondo della musica classica e poi nel jazz europeo con lunghe frequentazioni nella musica popolare e cantautoriale fino a quando da post trentenne attraverso l’incontro con Guinga ho conosciuto il Brasile. Tutti e tre siamo tornati in Italia ma questa esperienza brasiliana ci ha formati e ha fatto sì che ci incontrassimo con estrema naturalezza e con una base di intimità artistica molto profonda e speciale."
Come è nata, dunque, la tua collaborazione con Roberto Taufic e soprattutto il più recente incontro con Cristina Renzetti?
"In realtà noi non ci conosciamo da tantissimo tempo: con Roberto ci siamo visti la prima volta 4 o 5 anni fa e poi suonando in diversi contesti abbiamo dato vita ad un duo stabile. Durante una tappa a Bologna, però, nel mezzo di una registrazione, abbiamo invitato Cristina a proporre un brano da fare insieme, e lei ci ha proposto proprio Correnteza. Da qui è nata una voglia divorante di suonare tutte le canzoni di Jobim che ci piacciono insieme, con quella speciale alchimia fatta di rigore e libertà che contraddistingue il nostro stare insieme. Insomma, avevamo in mente un momento di semplice “pulizia spirituale” e ancora non sapevamo che tutta questa storia avrebbe preso uno spazio ed una piega diversa, una registrazione e un gruppo da proporre in concerto."
Questo incontro in seguito ha portato alla nascita di un vero e proprio disco registrato in analogico con una tecnologia forse dimenticata. L’incontro con Hemiolia a questo punto è stato decisivo?
"Il momento decisivo, che ci ha portati ad una svolta, è stato senza dubbio l’incontro con Claudio Valeri di Hemiolia Records che ci ha fatto conoscere questa sua “follia” dei nastri in analogico. Da quel momento abbiamo deciso che questa avventura poteva avere senso solo se registrata in questo modo. Inizialmente il disco era un’idea che avevamo totalmente scartato. L’incontro con Claudio è avvenuto in occasione di un concerto in un Jazz Club molto speciale, il Ricomincio da Tre di Perugia. In questo concerto si è creata un’atmosfera magica e irrepetibile, come succede in pochi casi nella vita, e la notte stessa siamo andati a vedere gli studi di Hemiolia che assomigliano al covo sotterraneo di James Bond pieno di macchine assurde. Subito ci è venuta voglia di fare un nastro, ma la trasformazione in disco è venuta da sé, portata dalla “corrente” che ci aveva condotto sin lì."
Parliamo allora del disco “Correnteza”, parola che tradotta in italiano significa la corrente del fiume. Perché la scelta di questo nome? Forse la corrente, intesa anche come fluire di emozioni, può rappresentare il simbolo di questo progetto?
"Correnteza è stato il brano di Jobim che ha battezzato il trio. Per noi è senza dubbio una composizione molto importante, la chiave che ci ha permesso subito di trovare la magia e l’empatia che sono alla base della nostra collaborazione. La parola “progetto”, infatti, spesso utilizzata nel mondo della musica, non descrive affatto l’essenza del nostro lavoro e del nostro stare insieme. Lo dico perché a differenza di altre collaborazioni a cui ho preso parte, dove dietro c’è stata spesso una programmazione per così dire intellettuale, Correnteza è nato in maniera del tutto naturale e nella sua realizzazione ci siamo davvero lasciati trasportare dalla corrente, dall'amore incondizionato per questa musica. Sono i Pezzi di Jobim che suoniamo ad averci scelto, piuttosto che il contrario. E’ stato evidente dall'inizio che in questa formazione viene naturale raggiungere uno speciale equilibrio estetico. Veniamo scelti dalle cose che suoniamo, piuttosto che deciderle. Questo il motivo più importante per cui teniamo così tanto a questo lavoro."
Correnteza rappresenta anche un omaggio ad uno degli artisti più importanti del ventesimo secolo che senza dubbio ha dato un volto alla musica brasiliana. Cosa rappresenta per voi Antonio Carlos Jobim?
"Antonio Carlos Jobim è un musicista enorme che ha senza dubbio il merito di aver sintetizzato l’essenza della musica brasiliana, trasformandola da regionale ad universale Per certi versi, infatti, il lavoro di questo grande artista può essere paragonato a quello compiuto da Louis Armstrong nel jazz. Forse entrambi non hanno inventato niente, ma hanno avuto l'enorme merito di raccogliere lo “spirito del tempo” e codificarlo in linguaggio. Credo che venga all'occhio inoltre come il repertorio e il trattamento del materiale sia essenzialmente “anti-bossanovistico”. La maggior parte de brani presenti in Correnteza appartengono a quella parte del repertorio Jobiniano più vicina all'esperienza di Villa Lobos da un lato e alla stilizzazione del repertorio folklorico dall'altro. Il Brasile dipinto da Jobim, infatti, non è soltanto quello delle spiagge di Rio de Janeiro, ma è anche quello dell’Amazzonia e dell’interno: una terra dalla natura ancora incontaminata piena di grandi differenze e ineguaglianze sociali."
Vuoi parlarci invece del tuo percorso personale che ti ha portato alla scoperta del Brasile e al contatto con questa cultura così ricca?
"Il primo incontro con il Brasile per me è avvenuto nel periodo dell’adolescenza attraverso la musica di Egberto Gismonti, polistrumentista (pianista e chitarrista) musicista che ho sempre amato alla follia. La mia frequentazione del Brasile, avvenuta successivamente mi ha svelato che quella meraviglia melodica, armonica, ritmica e formale non era frutto solo di fervida e inarrivabile poetica fantasia, ma aveva precisissimi riferimenti nello sterminato mondo delle musiche tanto diverse che compongono l'irripetibile miracolo della musica brasiliana. Un altro incontro fondamentale avvenuto tempo dopo è stato quello con Sergio Assad, famoso nella scena internazionale per il duo di chitarre classiche che compone con suo fratello Odair. A quei tempi il produttore di Egea aveva commissionato a Sergio dei pezzi per clarinetto e chitarra a cavallo tra la musica da camera e la musica tradizionale e aveva chiesto a me di registrarle. In realtà io non sapevo ancora chi fosse Assad, sapevo che abitava a Chicago ma non ero a conoscenza del fatto che fosse brasiliano.
Per farla breve, dunque, mi sono arrivate le parti da studiare per via aerea, peraltro molto difficili, le ho studiate e mi sono presentato all’appuntamento in cui si prevedevano quattro giorni di registrazione pronto per un lavoro di musica classica. Appena abbiamo cominciato a suonare, però, mi sono subito accorto che si trattava di ben altro, e che la pronuncia che quella musica richiedeva era decisamente di stampo afro-brasiliano. All'epoca non se sapevo quasi nulla e ho tempestato il povero Sergio con mille domande, e lui con molta pazienza mi ha riempito un taccuino con i suggerimenti di ascolto fondamentali per entrare in contatto con quel mondo. Da quel momento, allora, ho cominciato a girare negozi comprando dischi, ho scoperto e mi sono innamorato dello choro e addirittura sono arrivato a registrate un disco 1 – 0 con clarinetto, mandolino, basso tuba e fisarmonica. A quel punto un agente mi propose per caso di lavorare con Guinga, artista che in quel momento non sapevo chi fosse ma che era tra i primi nomi presenti in quella lista che mi aveva scritto Assad. Dopo aver ascoltato un suo disco ne sono rimasto folgorato e senza rendermene conto mi sono ritrovato a registrare in duo con Guinga e ad andare in Brasile dove mi sono state aperte le strade di questo mondo bellissimo. Ogni volta che andavamo lì c’era l'intera comunità musicale ad accoglierci con un affetto tale da farmi sentire accolto in una nuova famiglia."
Una parentesi sull’esperienza legata alla realizzazione di Correnteza. Il disco è stato infatti registrato in analogico presso la Chiesa di Santa Croce Umbertide di Perugia. Che cosa ricordi di questi momenti?
"Il momento della registrazione è stato per noi un episodio indimenticabile, sia per la location scelta, ovvero la Chiesa di Santa Croce Umbertide, sia per il calore che ci hanno restituito queste macchine analogiche nel momento in cui andavamo a riascoltare. Inoltre la consapevolezza che in seguito alla registrazione non si poteva fare più nulla, ci ha creato una grande eccitazione e data la grande fiducia reciproca non ci ha creato alcun tipo di ansia. Insomma, ci siamo presi i nostri rischi e anche se abbiamo suonato cose che non avevamo fatto prima non abbiamo mai sbagliato. Del resto quel luogo e quel modo sembravano gli unici possibili e tutto questo ha incrementato la nostra eccitazione e soprattutto la nostra fiducia."
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