Dario di Napoli su Modern Manouche Project: Il disco è la fotografia della mia crescita individuale”
- Scritto da Jazz Agenda
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Modern Manouche Project è l’ultimo progetto del virtuoso chitarrista Dario di Napoli che si presenta come una fusione tra il manouche e le sonorità del jazz più moderno. Un disco che rispetta la tradizione del gipsy jazz e che allo stesso tempo grazie anche all’utilizzo del basso elettrico dimostra una buona dose di innovazione. Completano la formazione Tommaso Papini alla chitarra ritmica e Nicola Pasquini al basso elettrico. Dario Di Napoli ci ha raccontato la storia e l’essenza della band:
“Il mio progetto, Dario Napoli Modern Manouche Project, nasce dall'esigenza di fondere la mia formazione di musicista contemporaneo con la musica di Django Reinhardt. "Make it a Sunny Day", è il mio secondo disco, contiene standards pop tranne due brani inediti e con strumentazione anche elettrica. Il disco è stato registrato da Maurizio Bozzi per Drycastle records in svariate riprese, vista la partecipazione dei numerosi ospiti coinvolti: Maurizio Bozzi e Giulio Angori ai bassi elettrici ed acustici, Maurizio Geri, Jacopo Martini, Tolga During e Augusto Creni alle chitarre, Giacomo Tosti all'accordion, Gianni Maestrucci al vibrafono e Anna Rossi alla voce solista.”
Dario di Napoli ci racconta anche il percorso che ha portato alla nascita del suo disco:
“Dopo un decennio - prosegue - passato a cimentarmi con il gypsy jazz (e il mio primo album Gypsy Bop per Drycastle records), ed aver collaborato con alcuni dei massimi esponenti del genere a livello internazionale ed in Italia, tra cui Maurizio Geri, Jacopo Martini, Tolga During e Augusto Creni, ho sentito l'esigenza di coinvolgere gli amici e colleghi italiani nella registrazione di alcuni brani del disco, anche in virtù del fatto che al tempo stesso, stavamo collaborando al primo manuale didattico di chitarra manouche italiano di Maurizio Geri.”
Un disco che rappresenta anche la fotografia di un momento molto particolare
“Il disco, come ogni disco, rappresenta una fotografia della mia crescita musicale fino a quel momento, uno spaccato dell'allora presente. Al tempo stesso, mi sento di poter dire che rappresenta anche uno spaccato del manouche in Italia, o almeno di alcuni dei suoi più assidui interpreti, si spera in qualche modo un punto di riferimento per coloro che in Italia continueranno a mantenere viva l'essenza di questa forma di jazz, l'unica di matrice europea.”