Sikania: il nostro viaggio poetico nella Sicilia
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Jazzagenda incontra due grandi musicisti, la cantante Daniela Spalletta e il pianista e compositore Giovanni Mazzarino, insieme per l'album “Sikania” (Jazzy Records). Una dedicata alla Sicilia, insieme ad altri tre protagonisti della scena jazz italiana: Francesco Patti al sassofono tenore, Gabriele Evangelista al contrabbasso e Alessandro Paternesi alla batteria.
Daniela: come ti sei innamorata della musica, e come hai capito che poteva diventare la tua vita?
Non ricordo un momento specifico, né un episodio determinato; ascoltare musica è sempre stata una abitudine costante della mia famiglia e i miei genitori, voraci appassionati di gruppi leggendari del rock, Pink Floyd in testa, King Crimson, Jethro Tull, Dire Straits, etc, mi hanno decisamente influenzato, seppur involontariamente, nel determinare i miei gusti e una certa familiarità con quel mondo musicale, che ancora oggi mi “riporta a casa”. E’ grazie alla mia famiglia se, in me bambina, si è innestata la normalità di esprimermi con il canto e di imparare a conoscermi e riconoscermi attraverso la musica; da lì a fare della passione un lavoro, è servito tempo, dedizione e qualche giusto “schiaffo”, a temprare la volontà.
Daniela: come è iniziata la collaborazione con Giovanni Mazzarino? In che modo si è sviluppato il progetto Sikania?
Quando circa 10 anni fa conobbi “casualmente” quello che sarebbe diventato il mio futuro maestro, avevo una grandissima passione per il jazz, tante domande in cerca di risposta e tanta voglia di imparare. Giovanni è per me un luminoso esempio di come deve essere un maestro: colto e preparato (conditio sine qua non), capace di fare e dimostrare ciò che insegna (cosa per nulla scontata), ma soprattutto generoso e onesto intellettualmente: è molto raro trovare il talento del vero didatta in un musicista importante e affermato; io sono stata fortunata. Un paio di anni fa, mi propose di scrivere dei testi in siciliano su alcuni suoi brani ispirati e dedicati alla nostra Isola. Fino ad allora mi ero cimentata raramente e solo per musica mia in un lavoro del genere, per cui se da un lato, l’idea di scrivere testi in siciliano per brani non miei mi entusiasmava molto, dall’altro, conoscendo la complessità della musica di Giovanni e le insidie che questa lingua può nascondere, mi preoccupava molto il lavoro che avrei dovuto affrontare. In realtà, quasi a smentire tutte le mie ansie, il testo del primo brano a cui lavorai arrivò dopo solo un’ora di lavoro: era “Habibti – Mio Sangue”, un brano che mi ha fortemente ispirata e a cui sono molto legata.
Daniela: quali sono i luoghi della Sicilia ai quali sei più legata? Ci sono brani in particolare di Sikania nei quali possiamo ritrovarli?
Le campagne del nisseno, con le distese di grano di un verde accecante a primavera, dorate e via via brulle al principio dell’estate, i mandorli che costeggiano i fianchi delle strade nell’agrigentino, già tutti fioriti a fine gennaio, come a farsi beffa di appena tre settimane di inverno, le saline del trapanese, dove si inventano tutti i colori del mondo, le abbanniate della Vucciria e l’odore acre del pesce sui banchi, la babilonia multietnica di via Oreto, il profumo dei carciofi arrostiti sulla griglia la domenica mattina…ne “I Santi e i Fedeli”, ad esempio, si descrive il folclore e il temperamento caotico dei siciliani in una festa patronale; “Sikania”, invece, è un brano in cui si parla di ciò che un siciliano può vedere fuori e dentro di sé: il vivere nella perenne attesa di un non ben identificato “meglio”, che prima o poi dovrà arrivare e l’indolente crogiolarsi, nel frattempo, nel meglio che sa già di possedere, questo è molto siciliano…in effetti, per me la Sicilia, più che un luogo geografico specifico, è una condizione dell’essere, una categoria aristotelica.
Daniela: ci sono vocalist – in ambito jazz e non solo – che hanno ispirato il tuo modo di cantare? Da dove viene la tua passione per lo scat e il vocalese?
Ho molto ascoltato, chiaramente, le grandi dive del jazz, ed ho sempre ammirato il virtuosismo dei/delle grandi improvvisatori/improvvisatrici, vocali e non: Louis Armstrong, Ella Fitzgerald, Carmen McRae, Betty Carter, Sarah Vaughan, Shirley Horn, Billie Holiday, Bobby McFerrin, Kurt Elling Jon Hendricks, Tom Harrell, Bob Mintzer, Joe Henderson, etc etc. L’essere virtuoso del proprio strumento, quando ciò sottenda equilibrio, il pieno controllo dei mezzi tecnici necessari ad esprimersi e non la fanatica ossessione per uno sterile esibizionismo, è secondo me una dote importante del musicista/strumentista, nella misura in cui ciò consenta una completa e fluida possibilità di espressione. Tuttavia, il “cantante” che più mi ha ispirato è un “non cantante”, nel senso tradizionale del termine: Chet Baker. Il suo “non essere cantante”, gli permetteva di esprimersi con assoluta naturalezza attraverso il canto, senza ricorrere all’affettazione di marcate impostazioni tecniche da un lato o a dissimulata noncuranza espressiva dall’altro. In generale, ciò che mi incanta quando ascolto un musicista, è la verità che riesce a trasmettere attraverso il proprio strumento. Una sintesi di tutti questi elementi? Maria Callas, per me la più grande Cantante di tutti i tempi.
Daniela: i talent show stanno diffondendo un'idea di canto legata alla performance a effetto e al virtuosismo. Che cosa ne pensi, ritieni che possano essere fuorvianti per chi vuole avvicinarsi al mondo del canto?
Non seguo i talent, ma se con “virtuosismo” intendiamo la padronanza dei mezzi tecnici, al fine di consentire una totale libertà di espressione al musicista attraverso il proprio strumento e non l’esibizionismo fine a sé stesso, francamente nel mondo dei talent non mi pare di riscontrarne esempi degni di nota, se non in rarissime eccezioni. Molto appropriato mi sembra, piuttosto, parlare di performance ad effetto, in cui l’aspetto musicale e, più ancora, quello tecnico strumentale, diventano del tutto secondari, se non marginali. Del resto, lo studio, la dedizione, l’abnegazione, la fatica dell’imparare a suonare uno strumento, sono concetti del tutto incompatibili con il mondo patinato e veloce di un format televisivo, in cui si parte dal presupposto fuorviante che il talento, presunto o reale che sia, possa essere sufficiente a determinare l’artista e che il successo, la fama e qualche passaggio radiofonico siano il presupposto e il fine ultimo di una ricerca musicale. Assolutamente falso. Un motto, attribuito a Ernest Hemingway, sosteneva che il talento è 1 per cento “inspiration” (ispirazione creativa) e 99 per cento “perspiration” (traspirazione, sudore, fatica). Questa è la realtà e chi studia seriamente musica conosce la verità.
Giovanni: che rapporto hai con la musica tradizionale siciliana, e in che modo pensi che possa fondersi col jazz?
Il mio rapporto con la Musica è una relazione intrisa di bellezza e ammirazione, di energia e passione. Le estetiche musicali sono la risultante di un modo, di un’opzione nel fondere armonia e melodia. L’estetica della Musica tradizionale Siciliana guarda con attenzione all’efficacia tensiva delle note… direi note tese a raccontare e a dialogare; l’incontro nella “piazza” siciliana dove si raccontano i sentimenti, le speranze e le passioni, in realtà è così rappresentato in buona parte nel repertorio della musica tradizionale siciliana. Sikania è in verità un progetto artistico che definirei “folk” per quanto concerne l’aspetto divulgativo e Jazz, poiché tutti i processi creativi in Musica li definisco tali. Il Jazz non è uno stile musicale! Il Jazz è un tipo di processo creativo spontaneo e intellettuale allo stesso tempo, dove il rigore matematico incontra l’intuizione e la bellezza, dove la ricerca è sull’immanente e non sull’inesistente. Pertanto tutti coloro che procedono in questa direzione appartengono al Jazz, in quanto approccio e stile nel procedere, nel vivere, nel proporre!
Giovanni, Daniela: la scelta di includere la traduzione italiana dei testi è significativa del desiderio di raggiungere anche gli ascoltatori non siciliani. Quali aspetti della Sicilia vorreste che conoscessero? D: Quando, con sempre più orgoglio, dico: “Sono siciliana”, leggo spesso, negli occhi dei miei interlocutori, curiosità e ammirazione, a volte anche un pizzico di incredulità su come si possa vivere la contemporaneità stando un po’ ai margini del mondo; certo, nel bene e nel male, esiste tanta “mitologia” attorno all’idea di Sicilia e dei siciliani e non sempre il quadro che ne viene fuori corrisponde alla realtà, ma a volte sì, ad esempio quando si parla di “ritmo”; penso che la morsa di benefica lentezza e umanità che salda i siciliani al ritmo della propria terra, possa essere una sorta di antidoto al cinismo nevrotico della modernità, il giusto “distacco emotivo” che permette, a volte, di osservare con maggiore equilibrio la forma delle cose. Vorrei che tutti, ogni tanto, ci riconciliassimo col valore della lentezza e guardassimo con meraviglia anche chi sta dietro e a fianco a noi, non soltanto chi ci supera.
G: Citando Leonardo Sciascia ..” La sostanza di quella nozione della Sicilia che è insieme luogo comune, idea corrente e motivo di univoca e profonda ispirazione nella letteratura e nell’arte…”
La sicilianità nasce dalle stratificazioni storiche che la Sicilia e i siciliani hanno vissuto. Il passaggio di molte dominazioni: punica, greca, romana, bizantina, araba, normanna, sveva, francese, spagnola e poi italiana, hanno inciso indubbiamente nel carattere e nella mentalità dei siciliani determinando aspetti identitari forti rispetto alla restante parte d’Italia.
Esistono pertanto tanti tratti culturali e tante modalità che il popolo siciliano attraverso il suo lessico molto spesso spigoloso ma sempre musicale, mette in evidenza. In Sikania si vuole parlare della bellezza, delle relazioni, quelle che si basano sul non detto, sull’intuito, la passione, la capacità di introspezione, la solidarietà. Il senso della festa del “paese”, l’opportunità dell’incontro, l’ironia e tanto entusiasmo…