Paolo Principi racconta il disco Empathies: “Un artista è sempre in evoluzione, in cammino”
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Pubblicato dall’etichetta Emme Record Label, Empathies è il disco d’esordio del pianista Paolo Principi. Un lavoro in cui si intrecciano i percorsi musicali di tre musicisti, forse diversi tra loro, ma che hanno intrapreso un viaggio comune. La formazione è infatti completata da Andrea Morandi alla batteria e Roberto Gazzani al basso elettrico. Ecco cosa ci ha raccontato Paolo Principi riguardo questa nuova avventura.
Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?
Certamente. Si tratta di una raccolta di mie composizioni proposte ed arrangiate insieme a due compagni di viaggio: Roberto Gazzani al basso elettrico e Andrea Morandi alla batteria. L’eterogeneità delle esperienze musicali di ciascuno costituisce un elemento di arricchimento per la proposta di una musica che potremmo definire senza confini. Pensiamo infatti che la “diversità”, nei suoi aspetti più profondi, generi bellezza. Un vero e proprio arricchimento culturale (cito un paio di titoli del disco: “No boundaries” e “Soul Journey”).
Raccontaci la storia di questo disco: come è nato e come si è evoluto nel tempo?
Suoniamo insieme da molti anni e, parallelamente, ciascuno di noi ha anche esperienze musicali diverse che spaziano dal jazz alla world music, dal funk alla composizione per il teatro o le immagini. Le mie composizioni, per lo più recenti, riflettono il mio vissuto di musicista e di ascoltatore, così ho pensato di condividerle con Roberto ed Andrea per arricchirle del loro contributo. E devo dire che questa “apertura” funziona davvero e forse è un atteggiamento che sta alla base del Jazz. Durante le ultime prove abbiamo pensato anche di coinvolgere due altri musicisti per un brano che secondo noi si poteva sviluppare con una formazione più ampia del classico trio. Marco Postacchini al sax e Luca Mattioni alle percussioni ci hanno aiutato per il brano “Blues Guy” dove ho suonato il piano elettrico Fender Rhodes (in realtà è il virtual instrument PSound “Vintage Electric” creato da me come sound designer).
Un disco per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?
Questo disco rappresenta per me una tappa importante, perché ho sentito la “necessità” a questo punto del mio percorso di musicista e sound-designer di dire la mia. Non a caso le composizioni sono tutte originali tranne l’ultima di cui magari parleremo in seguito. Non lo considero un punto di partenza (anche se è la mia prima pubblicazione) perché compongo da molti anni in ambiti diversi. Tantomeno non lo posso considerare un punto di arrivo perché un artista è sempre in evoluzione, in cammino. La ricerca sul proprio “suono” non ha punti di arrivo secondo me. Un disco è prima di tutto un progetto culturale con la sua struttura, i suoi valori anche extra musicali. Nelle note di copertina vi è riportato un passaggio tratto dalla lettera aperta alle nuove generazioni di artisti scritta a quattro mani da Herbie Hancock e Wayne Shorter: “We are not alone. We do not exist alone and we cannot create alone. Focus on developing Empathy and Compassion”. Musica quindi come luogo privilegiato di accoglienza, culla per l'incontro di culture diverse.
Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?
Beh, se devo fare un nome su tutti, citerei Herbie Hancock per la modernità del suo pianismo, la sua ritmica, il suo approccio armonico politonale e “last but not least” come dicono gli americani, per il suo approccio “umano” alla musica e alla vita. Un secondo nome importante per me, sia dal punto di vista pianistico che, soprattutto compositivo è sicuramente quello di Enrico Pieranunzi. Ma i riferimenti sono davvero tanti perché credo che in un percorso da musicista e da ascoltatore, ci si arricchisce di tutto ciò che si è attraversato. E la “varietà” del mio percorso, tra musica jazz, composizione classica, musica contemporanea, musica da film, il suono elettronico, ha fornito e continua a fornire spunti di riflessione. Cito a questo punto l’ultimo traccia del disco “Adagietto” che è una rispettosa ed intima rivisitazione del famosissimo IV movimento della V sinfonia di Mahler. Fu scritto originariamente per orchestra d’archi e arpa, senza la minima traccia di quel fragore monumentale tipicamente mahleriano, senza violenza, con una dilatazione dei tempi e dei timbri che portano il brano ad una narrazione quasi liturgica, ad una drammaticità interiore, tanto intima quanto allo stesso tempo libera da manierismi o citazioni. Ecco ad esempio come anche un’opera del novecento storico (un periodo di “confine”) possa essere il punto di partenza per un nuovo viaggio. Una musica assoluta, senza confini appunto.
Come vedi il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?
A parte questo periodo un po’ difficile per portare avanti progetti musicali, credo avrà uno sviluppo diciamo “naturale”. Intendo che sarà la nostra sensibilità, i nostri nuovi stimoli, la nostra “empatia” per citare il nome del disco, a farci da guida per le nuove composizioni. Una strada è stata imboccata, vediamo dove ci porta, guidati semplicemente dall’interesse per la musica e dai valori in cui crediamo. Cito ancora la lettera di Hancock e Shorter: “Il mondo ha bisogno di più interazione individuale tra persone di origini diverse con una maggiore enfasi su arte, cultura e istruzione. Le nostre differenze sono ciò che abbiamo in comune. Possiamo lavorare per creare un piano aperto e continuo in cui tutti i tipi di persone possano scambiare idee, risorse, premure e gentilezza. Abbiamo bisogno di connetterci l'uno con l'altro, di conoscerci l'un l'altro e vivere la vita l'uno con l'altro. Non possiamo mai avere pace se non riusciamo a capire il dolore nei cuori dell'altro. Più interagiamo, più arriveremo a comprendere che la nostra umanità trascende tutte le differenze”.
Chiudiamo con uno sguardo al futuro: anche se è un momento difficile hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione che stai portando avanti?
Abbiamo in programma qualche concerto ma stiamo muovendoci ora per i festival invernali per presentare questo lavoro e, allo stesso tempo, per assimilare nuovi stimoli per le prossime composizioni. Quando avremo nuovo materiale a sufficienza, torneremo in studio.
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