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Federico De Zottis racconta il nuovo disco Open: “La ricerca melodica è stata la guida”

 

Si intitola Open il disco d’esordio del gruppo 3.00 a.m. nato dalla volontà del sassofonista Federico De Zottis. Un progetto che prende forma dalla passione per i grandi maestri del jazz anni ’60 pubblicato dall’etichetta Emme Record Label. La formazione è completata da Diego Albini al pianoforte, Mirko Boles al contrabbasso e Stefano Lecchi alla batteria. Il leader di questo quartetto ci ha raccontato come è nata e come si è evoluta nel tempo questa nuova avventura.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Il Disco si intitola Open ed è stato registrato il 4 ed il 5 gennaio 2022 al Bluescore studio di Milano. Il titolo ha un doppio significato; da un lato descrittivo delle musiche e del linguaggio adottato, dall'altro metaforico. Per quanto riguarda il lato descrittivo, le armonie delle parti improvvisate vengono alleggerite e “aperte” rispetto alle armonie utilizzate per i temi, questo per poter consentire una maggiore libertà interpretativa ai musicisti. Dal punto di vista metaforico, invece, la parola open esprime il desiderio di aprirsi al confronto con il prossimo, descrive con efficacia la necessità avvertita di espormi come musicista e compositore. L'album è composto da sei brani, cinque originali più una mia interpretazione del brano Like a queen, una canzone uscita nel 2021 del collettivo svedese Spring Gang. Il materiale utilizzato per la composizione dei brani è stato accumulato molto lentamente, le prime bozze risalgono a circa sei anni fa e sono maturate di pari passo al mio percorso di crescita musicale.

Parliamo adesso anche dell’aspetto compositivo dei brani. Ci vuoi raccontare che tipo di ricerca hai effettuato per portare alla luce questo album?

La ricerca melodica è probabilmente il principio più importante che mi ha guidato. Tutti i brani, tranne uno (Madalena), sono nati da un'idea melodica. Per prima cosa, infatti, ho scritto la melodia dei temi, libera da una forma predefinita.  In alcuni casi l'idea originaria si è riversata naturalmente in strutture più note come la forma canzone AABA (è il caso di Henry e Estremi rimedi); in altri casi, invece, è sfociata in strutture più elaborate e inedite (come Heimay e Nord/ovest). Le melodie dei temi sono state i primi mattoni di questo progetto, risalgono a circa sei anni fa e non hanno subito grosse modifiche nel corso del tempo. Successivamente all'elaborazione delle melodie ho pensato alle armonie, ai ritmi ed alle forme. Questi tre aspetti sono quelli che hanno subito continue modifiche, raffinandosi molto lentamente e maturando di pari passo al mio percorso di crescita musicale.

Il secondo elemento importante di questo progetto riguarda la ricerca del timbro sul sassofono contralto. L'album è registrato in quartetto, batteria, pianoforte e contrabbasso, una scelta che mi ha permesso di lasciare il giusto spazio al timbro del sax. Negli ultimi anni ho lavorato molto su questo aspetto, sia tecnicamente con esercizi e studi mirati, sia culturalmente, ascoltando molti sassofonisti. L'ultimo principio importante che ha guidato le mie scelte compositive è stato la necessità di creare degli spazi comodi per poter sviluppare delle improvvisazioni “aperte”.

Raccontaci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

3.00 a.m. è il nome che da circa 10 anni usavo ogni volta che mi capitava di suonare con un mio progetto, si può dire quindi che lo utilizzassi come una sorta di pseudonimo. Questo significa che nel corso degli anni sono stati diversi i musicisti che hanno fatto parte di 3.00 a.m. Quartet. La più grossa difficoltà che ho dovuto affrontare per poter concretizzare il lavoro è stata quella di trovare musicisti disposti ad investire tempo, energie, risorse e personale sensibilità nel progetto. Non è stato semplice ottenere tre artisti disposti ad impegnarsi nella realizzazione di un lavoro che avrebbe previsto una lunga preparazione.

Sono particolarmente grato ai tre musicisti che mi hanno accompagnato in questa impresa, Stefano Lecchi, Mirko Boles e Diego Albini, non solo per la fiducia accordatami, ma anche per il contributo significativo che hanno dato alla forma finale dei brani con la loro personale sensibilità musicale. Di fatto ora 3.00 a.m. Quartet non può che essere composto da questi musicisti, non è più un mio pseudonimo ma è diventato a tutti gli effetti un gruppo composto da: Federico De Zottis, Stefano Lecchi, Diego Albini e Mirko Boles

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Sinceramente fatico a rispondere. Da un certo punto di vista sicuramente questo disco è stato un punto di arrivo, come ho scritto nella precedente domanda il materiale è stato accumulato negli anni, quindi stavo solo attendendo l'occasione giusta per poterlo incidere.  Da un altro punto di vista invece potrebbe essere considerato un punto di partenza, il risultato ottenuto ha galvanizzato i componenti del quartetto e ci ha lasciato con il desiderio di promuovere e portare in giro questo lavoro

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

Il tipo di jazz che preferisco è quello della prima metà degli anni Sessanta. Dischi come Juju di Wayne Shorter; Miles Smile sempre di Shorter con Miles Davis, Page One di Joe Henderson; First meditation, A love Supreme e Crescent di Coltrane; oppure, ancora, Discovery! di Charles Lloyd, rappresentano il tipo di jazz che preferisco ascoltare. Il modo in cui questi grandi maestri hanno affrontato in quel periodo la composizione, e quindi anche l'improvvisazione, è stato, dal mio punto di vista, molto libero, ma al tempo stesso fortemente ragionato e razionale.

Molti dei temi presenti in quei dischi riescono ad essere fortemente melodici e cantabili, nonostante le scelte armoniche alle volte spigolose. Penso a brani come House of jade, o Yes or no di Juju, oppure Forest flower di Discovery!, penso a Jinrikisha di Page One o ancora Footprints in Miles Smile. Le armonie presenti in questi dischi non sono degli impervi percorsi ad ostacoli come quelle tipiche del periodo be-bop, ma piuttosto assomigliano a degli sconfinati campi aperti nei quali è possibile muoversi con maggiore libertà.

Con le dovute proporzioni, questo tipo di sensibilità è quella che ho cercato di riprodurre nel mio lavoro. Pensando, invece, al panorama contemporaneo, il sassofonista che maggiormente mi ha colpito, e che probabilmente ho tentato di emulare inconsciamente, è stato David Binney; inoltre, l'album che ha inciso nel 2017 The time verse ha probabilmente influenzato significativamente due delle mie composizioni (Henry e Madalena).

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Non ne ho la più pallida idea, per quanto l'entusiasmo per il progetto al momento sia alto se non si trovano occasioni per portare il progetto in giro a lungo andare l'entusiasmo cala. Ci impegneremo quanto più ci è possibile per promuovere il nostro lavoro con la speranza di ottenere una buona risposta

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Per il momento, oltre a presentare il disco nei principali locali jazz milanesi (garage moulinsky, bakelite, corte dei miracoli...)  abbiamo un paio di date fissate per l'autunno: una al festival Jazzmi di Milano ed una a Rovereto organizzata da Emilio Galante.

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