The Sky above Braddock – intervista a Mauro Ottolini
- Scritto da Carlo Cammarella
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Di Mauro Ottolini and Sousaphonix vi avevamo già parlato qualche tempo fa in occasione dell’uscita del CD The Sky Above Braddock, pubblicato da Cam Jazz (per leggere la recensione cliccaqui). Un lavoro che ci ha davvero incuriosito sia per l’originalità sia per la storia che racconta attraverso brani interessanti e così diversi fra loro. Per capire meglio la filosofia di un disco che, secondo noi, merita davvero di essere raccontato nei minimi dettagli, abbiamo parlato direttamente con il suo autore, Mauro Ottolini, che ci ha raccontato volentieri alcuni aneddoti e alcune particolarità di questo lavoro.
Mauro, The Sky above Braddock è un lavoro che narra la storia di questa cittadina e del grande esodo conseguente alla chiusura dell’acciaieria di Andrew Kenergy. Perché hai deciso di raccontare questa vicenda?
“L’idea mi è venuta leggendo un libro molto bello di Mario Calabresi dal titolo la “Fortuna non esiste”. E’ un libro composto da vari racconti che parlano di casi veri e di casi inventati e di come è possibile sollevarsi in qualche maniera da un tracollo, per vivere meglio di prima. In mezzo a questo libro c’è un racconto che si chiama “Il Raccolto arriverà”, che parla appunto di Braddock. Calabresi spiega di essere stato in questa città in rovina e racconta la sua vera storia vera. Quindi, questo album è iniziato da un libro, è diventato un disco che a sua volta è diventato la colonna sonora di un cartone animato costruito sul secondo brano: “The Workman Blues”. Per tutti questi motivi il contenitore di partenza del disco era una scatola d’acciaio e bulloni; un modo per rappresentare il legame che c’è con la storia dell’acciaieria attorno alla quale si sviluppa la storia di Braddock”.
Quindi, tutto il disco ruota intorno a questa storia…
“Si, diciamo che tutto ruota intorno alla storia di questa acciaieria. Nel 1875 nasce questa grossa industria dell’acciaio, la più grossa degli Stati Uniti, fondata da Andrew Kenergy, e dà lavoro a 20 mila persone. In questo modo a Braddock avviene uno sviluppo gigantesco che la fa diventare una cittadina molto popolata. Il crollo dell’industria metallurgica degli anni 50, però, porta alla chiusura della fabbrica. Ne consegue un forte movimento operaio accompagnato da molte proteste, ma le cos non cambiano e crescono la povertà e la disoccupazione. Per questo motivo molte persone se ne vanno, molti vendono la casa, crescono le rapine, gli stupri, i rapimenti di bambini e la droga diventa una piaga che elimina l’85 % cento dei giovani. L’unico ristorante rimasto è “Voccelli pizza”, il cui proprietario viene assassinato nel 2006 con un colpo in testa. Ora, infatti, non c’è neanche un posto per mangiare se non una mensa all’ospedale”.
Quali sono, allora, gli scenari che racconti attraverso “The Sky Above Braddock”?
“Sono partito immaginando che la colonna sonora fosse a 2 colori. Quando si parla della Braddock attuale i personaggi sono a colori, quando si parla del passato sono in bianco e nero perché rispecchiano la musica e i colori di quel tempo. Ho immaginato un cielo, un limbo virtuale che, nel bene e nel male, continua a ruotare intorno a questa vicenda e in cui ci sono le anime prigionie ad espiare le proprie colpe, prima fra tutte quella di Kenergy. Molte di loro non sanno neanche il motivo per cui si trovano in questo posto dove sono costrette a soffrire e la loro unica colpa è quella di avere avuto a che fare con questa città maledetta”.
Ci vuoi raccontare la storia di alcuni protagonisti di questa ricostruzione?
“In questo disco ci sono molti personaggi. C’è un omaggio a King Oliver che negli anni 20 fece un disco Che si chiamava “Workingman blues” e che mi sono immaginato a lavorare con Eddy Lang per farne uno spot radiofonico della fabbrica. Altre storie, invece, sono vere, e parlano del crack, dei giovani travolti dalla droga, un’epidemia disastrosa. C’è anche un pezzo dedicato al sindaco di Braddock, “Major John”, che sul braccio ha tatuato il prefisso della sua città. E’ un brano che inizia con una melodia triste, legata alla situazione che ti ho appena raccontato che poi esplode nel finale trasformandosi in un pezzo rock. “The wonderful fable of Wicky Vargo”, per esempio è un brano che in un certo senso rimanda all’epoca dei colletti. Lei è una specie di Mary Poppins che cerca di far felici i bambini e che aiuta le mamme. Io le ho dedicato questo pezzo immaginando la storia di alcuni rapimenti di bambini e lei che racconta loro delle favole per farli dormire con serenità”.
Dicevamo che da uno dei brani di questo disco, “Workingman Blues”, è stato tratto anche un cartone animato. Ce ne vuoi parlare?
“In questo cartone animato, che è una specie di tempi moderni, ho immaginato noi, i Sousaphonix, che arriviamo in questa fabbrica di Braddock dove il padrone tiene sotto controllo gli operai. Una macchina fa irruzione in questo edificio e dentro ci siamo noi che una volta usciti iniziamo subito a suonare. Dai nostri strumenti, poi, esce una polvere (è un omaggio al famoso brano “Stardust”, Polvere di stelle) che si sparge intorno alla fabbrica trasformando tutto quanto. Da questo momento in poi le cose nella fabbrica cambiano e un operario, al posto di far uscire il ferro fuso, comincia a fare le pizze, da dove cola l’acciaio comincia a scendere la birra, alcuni lavoratori si mettono a ballare il tip tap e il lavoro diventa una vera e propria festa. Il padrone chiaramente non è d’accordo ma viene preso dagli operai e sbattuto fuori dall’edificio che non è più grigio ma colorato”.
E per quanto riguarda gli aspetti tecnici relativi alla realizzazione e registrazione dl disco, ci vuoi raccontare come avete lavorato?
“Guarda, io vengo dalla vecchia scuola e scrivo la musica a mano. Per questo disco, poi, non abbiamo utilizzato strumenti meccanici e abbiamo registrato tutti insieme salvo qualche piccolezza di post produzione. Diciamo che abbiamo suonato interamente dal vivo e per fare questo è necessario creare dei momenti ben precisi equilibrando tutto molto bene. Il bello, infatti, sono queste sonorità che arrivano in vari momenti: dalla musica anni ‘20, al rock psichedelico, all’elettronica, con tutte le difficoltà che ci sono nel far convivere generi diversi”.
Ci sono anche molti strumenti particolari di uso non comune. Ci vuoi fare qualche esempio?
“Per quanto riguarda gli strumenti ti posso dire, per esempio, che noi usiamo il thermin, uno dei primi sintetizzatori, che è una scatoletta con due antenne da pilotare con le mani. E poi ci sono anche molti strumenti particolari come lo Slide Trumphet, per fare un esempio, che ha l’aspetto di un trombone ma la grandezza di una tromba. E’ accordato in sib come un tromba, ma non ha tasti e ha il fraseggio del trombone. Nella canzone Major John ci ho messo un megafono davanti e in quel caso sembra quasi una chitarra elettrica. Il fatto di avere tutti questi colori e questi strumenti ti dà la libertà di poter scrivere molte cose. Quindi, non è disco pensato per essere un disco jazz, ma la colonna sonora di una storia in cui in alcuni momenti viene fuori il feeling del gruppo unito all’aspetto compositivo, in altri l’improvvisazione… E niente è stato lasciato al caso”.
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