Federica Zammarchi racconta Jazz Oddity
- Scritto da Carlo Cammarella
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Jazz Oddity, ultimo progetto da studio della vocalist Federica Zammarchi, è un disco che ci ha incuriosito fin da subito, anche prima di ascoltarlo. E’ un lavoro originale in cui la cantante senese ha ripreso uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, David Bowie, e ha riproposto alcuni dei suoi brani più famosi riadattandoli in chiave Jazz. Il risultato è stato, secondo noi, molto convincente, e per questo abbiamo deciso di approfondire l’argomento con Federica, che ha risposto volentieri alle nostre domande.
Federica, per cominciare volevamo chiederti come nasce questa esigenza di confrontarsi con un musicista così importante come David Bowie?
“Beh, non lo definirei un confronto, piuttosto un omaggio, un ringraziamento ad un artista che mi ha “tenuto compagnia” ed ispirata da sempre. Bowie è un genio, trasversale, che ha reinventato in continuazione il suo modo di fare musica, di comunicare con il pubblico. Il motivo per cui ho deciso di riadattare alcuni suoi brani a nuove sonorità non è altro che una grande dimostrazione di affetto e di ammirazione verso il suo lavoro.”
Quindi, perché hai deciso di arrangiare questi brani in chiave jazz?
“Questo dipende dal mio mondo musicale, ho sempre ascoltato rock e pop prima di intraprendere la strada del jazz, che è quella che in qualche modo ancora seguo. Ho voluto portare un repertorio “diverso” all’interno di un genere che ha sempre attinto dalla musica di ascolto di tutti i periodo storici. Oltretutto di certo non mi considero una “jazzista” pura, amo la contaminazione, quello che faccio nasce semplicemente da come io mi approccio alla musica, di qualunque genere. Non so nemmeno se si possa parlare di chiave jazz, i puristi probabilmente non sono d’accordo, è una chiave “nostra”, che dipende soprattutto dalle personalità dei musicisti coinvolti nel progetto.”
Ascoltando questo disco abbiamo potuto vedere come hai riarrangiato alcuni dei più grandi successi di David Bowie in maniera molto originale e senza stravolgerne il senso. Quale è stato il tuo approccio verso questi brani?
“Esattamente quello hai detto tu: ho cercato di metterci del mio, anche stravolgendo armonia e ritmo a volte, tenendo però sempre ben a mente l’originale e lasciando la melodia perfettamente riconoscibile. Ho mantenuto nei limiti del possibile la “forma-canzone” dei brani, che forse è l’aspetto che maggiormente differenzia il mondo del rock/pop dal jazz, dando sempre grande importanza al testo, per lasciare gli spazi improvvisativi il più possibile aperti ed inseriti in un contesto emotivo. Il resto dipende esclusivamente dalla grande coesione ed intesa della band…”
E come avete lavorato per adattarli a delle sonorità così particolari?
“Sicuramente quando ho iniziato a scrivere per questo progetto avevo in testa un certo tipo di suono, di mood, che ho esposto al gruppo durante le prove. Poi suonando sono uscite delle cose nuove, a volte diverse, convincenti, che hanno iniziato a caratterizzare il nostro sound portandolo in una direzione estremamente riconoscibile. Sono stata molto fortunata ad avere un gruppo di musicisti non soltanto bravissimi ma estremamente partecipi, che hanno lavorato con me fin dall’inizio proprio per fare in modo che queste sonorità caratterizzassero il nostro lavoro.”
Quindi, secondo te, il Jazz può essere in generale un filo conduttore per mescolare stili e sonorità così diverse?
“Non so…non amo particolarmente parlare di “jazz”, piuttosto di “musica” in senso lato. Io credo fortemente che quello che chiamiamo jazz sia una forma di approccio al repertorio, un “modo” di eseguire qualsiasi brano, ma è una mia personalissima opinione. In questo senso sì, certamente il jazz può essere un fenomenale filo conduttore. Ma forse è più giusto parlare di incontro musicale tra cinque personalità molto diverse, provenienti da esperienze varie, ma estremamente capaci di interplay e che mettono costantemente la loro musica al servizio del brano. Come etichettarlo non lo so, probabilmente non è poi così importante…”
E per quanto riguarda i progetti futuri, c’è qualcosa di nuovo a cui stai lavorando?
“Sto lavorando su tantissime cose: un disco in duo con Enrico Zanisi, un progetto sui brani di Shorter con Emanuele Smimmo, una follia su repertorio di varia natura (anche originali) col vibrafonista Andrea Biondi e sto scrivendo pezzi nuovi. Sicuramente inizieremo presto a lavorare ad un “Jazz Oddity vol. II”, dato il successo del primo e la forte volontà di tutto il gruppo di continuare a collaborare, che probabilmente presenterà numerose sorprese (come aggiunte all’organico). Abbiamo anche in mente di eseguire alcuni live con strumenti sinfonici (archi ecc). Intenzioni impegnative, vedremo cosa succede!”