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Da Sideman a Leader: Enzo Pietropaoli si racconta

Con alle spalle una lunga carriera che lo ha visto suonare con alcuni dei più grandi artisti del panorama jazzistico internazionale, Enzo Pietropaoli è sicuramente uno dei musicisti più attivi ed originali della nostra scena. Il suo ultimo lavoro discografico, Yatra, lo vede per la prima volta, dopo tante esperienze da sideman, a capo di una formazione completata da Fulvio Sigurtà, Julian Mazzariello e Alessandro Paternesi. Enzo Pietropaoli, sempre alla ricerca di nuovi stimoli, ci ha raccontato questa esperienza caratterizzata dall’incontro fra due diverse generazioni che condividono con passione il linguaggio universale della musica.

Enzo,  grazie alla nascita di questo disco, Yatra, abbiamo avuto finalmente il piacere di vederti come leader di una formazione. Per prima cosa ci vuoi raccontare quest’esperienza?

Affrontare l’ esperienza di band leader è  un passaggio inevitabile per me, come per molti musicisti della mia generazione, arriva il momento in cui c’è bisogno di nuovi stimoli e il rapporto con i giovani è molto costruttivo perché consiste in uno scambio stimolante per entrambi, da una parte l’esperienza  e una lunga storia da condividere, dall’altra entusiasmo, freschezza e disponibilità. Questo non vuole dire che non ho più voglia di continuare a fare musica con i miei compagni di viaggio dei  lontani esordi, tutt’altro.

Sappiamo che questo progetto discografico è nato dopo una serie di concerti in India. Ci vuoi raccontare la sua genesi e soprattutto questo viaggio che ti ha portato a suonare in un luogo così lontano?

Avevo in mente da tempo di formare un nuovo gruppo ma avevo bisogno di una scadenza precisa, concreta, e quando mi è stato chiesto di portare un mio progetto in India, per due concerti a New Delhi, ho preso la palla al balzo e ho chiamato Fulvio Sigurtà, Julian Mazzariello e Alessandro Paternesi, sapevo del valore individuale di questi musicisti ma avevo bisogno di verificare la coesione umana e musicale del gruppo e questo viaggio mi ha regalato solo conferme positive.

Quindi, la parola Yatra rappresenta forse appieno la filosofia di questo disco?

Sicuramente la mia musica, muovendosi da sempre in territori diversi da quelli canonici del jazz, è ben rappresentata dal concetto di viaggio, ma più che una filosofia nel senso artistico il viaggio è per me rappresentativo del fatto che questa non è una esperienza passeggera ma, appunto, l’inizio di un lungo nuovo percorso, sia individuale che  alla testa di questo bellissimo gruppo.

Potremmo, allora, definire Yatra un disco in cui confluiscono esperienze di musica e di vita?

Ogni volta che suono anche una singola nota io racconto la mia vita, di uomo e di musicista, questo è inevitabile e credo che valga per chiunque cerchi di esprimere emozioni attraverso la musica.

 

Quindi, dopo 35 anni di musica passati suonando con alcuni dei più grandi nomi del panorama jazzistico internazionale a che punto della tua carriera ti senti giunto?

Mi sento approdato a una seconda giovinezza, ho ricostruito un rapporto meraviglioso con la musica e con il mio strumento , sono circondato da collaboratori preziosi, una nuova produzione, Jandomusic (Giandomenico Ciaramella), che si è affiancata alla VVJ sul versante discografico, un nuovo management, ASK (Andrea Scaccia), e un ottimo ufficio stampa (Maurizio Quattrini).  Interiormente è uno dei momenti più positivi della mia carriera, è strano perché questo accade in una fase di grande crisi della cultura e dunque del lavoro del musicista, ma sono fiducioso nel futuro, anche se non è facile . . .

Sappiamo che hai da poco cominciato una collaborazione con Adriano Viterbini, chitarra e voce dei Bud Spencer Blues Explosion, che culminerà in un concerto a dicembre presso l’Auditorium. Ci vuoi parlare di questo in contro fra musicisti di diversa generazione? 

La differenza più che generazionale  è stilistica, ma questo è solo apparente, ho iniziato suonando rock e blues e ho sempre coltivato questa passione, con Adriano c’è un bellissimo equilibrio e riusciamo a fare musica in maniera originale stimolandoci senza rinunciare alle nostre identità, è un duo  acustico, sanguigno ed elegante allo stesso tempo, si chiama “Streetmates” perché è nato quasi per gioco da una vicinanza di quartiere.  Il 9 dicembre debuttiamo a Roma all’Auditorium.

Avremo, allora, il piacere di vederti come leader di altre formazioni?

Sicuramente si e spero di continuare a collaborare anche con vecchi e nuovi amici, mi piace ancora fare il “sideman”, sono solo diventato molto più selettivo.

Grazie mille e complimenti per questo bellissimo disco.

Grazie a te e un abbraccio a tutti i lettori.

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