Jazz Agenda

Fabrizio Scrivano, Terra di Mezzo: ‘Una sintesi delle esperienze maturate nel tempo’

Pubblicato dall’etichetta Alfa Music Terra di Mezzo è l’ultimo album del chitarrista Fabrizio Scrivano che vede la partecipazione di feat. Jerry Popolo, Gabriele Rampi Ungar, Riccardo Biancoli. Un progetto di jazz contemporaneo caratterizzato da un grande senso melodico e dove non mancano i riferimenti alla propria terra d’origine, la Calabria, per cui l’artista, nonostante sia residente a Mantova, prova ancora un forte legame affettivo. Ne parliamo con il leader del quartetto.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Questo lavoro è una sintesi delle mie esperienze maturate negli ultimi sedici anni di vita. Il titolo, “Terra di mezzo”, è il mio stato d’animo, è come mi sento in questo momento. Vivo a Mantova, città che mi ha accolto e che adoro, ma ho ancora dei forti legami con il mio paese d’origine, la Calabria, con i paesi della Presila Cosentina e con la Sila. Questo traspare anche quando parlo: il mio accento non è mutato nel tempo e credo mai muterà. Questo disco raccoglie gli amori e gli umori, come avrebbe detto Rino Gaetano, di un emigrante che racconta luoghi e persone che ha incontrato nel proprio viaggio, nuove amicizie e vecchi ricordi. Uno spaccato di vita che abbraccia il nord ed il sud dell’Italia attraverso le note.

Raccontaci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

L’idea di questo lavoro è nata più di 5 anni fa più o meno nel 2019: avevo dei brani che volevo registrare, ma il COVID ha bloccato tutto, specialmente la mia voglia di scrivere. Usciti da quel periodo ho iniziato a riscrivere. La formazione del gruppo è stata abbastanza naturale, ho scelto le persone in base all’amicizia che mi lega e che si è rafforzata con questo progetto. Conosco Gabriele Rampi dai primi anni in cui mi sono trasferito a Mantova e con lui abbiamo avuto tanti progetti insieme. Gabriele è una persona molto precisa ed è stato quello che mi ha spronato nella realizzazione di questo lavoro. Nel dicembre 2022 abbiamo fatto una data zero in duo con i miei brani ed ha riscosso un discreto successo, quindi ho capito che era il momento giusto per registrare.  A Riccardo Biancoli avevo chiesto di suonare nel disco più o meno tre anni fa, ha accettato subito, infatti nell’inverno del 2022 abbiamo iniziato a provare ed il suo contributo è stato fondamentale, per dirla tutta è suo il titolo della penultima traccia dell’album “Silafolk”. Jerry Popolo è stato l’ultimo ad essere contattato. Suonavo con lui nel suo quartetto veronese insieme a Nicola Monti al contrabbasso e Oreste Soldano alla batteria, gli ho chiesto se voleva partecipare al lavoro ed ha accettato senza pensarci due volte. Dopo aver fatto la prima prova tutti insieme siamo andati a cena e lì abbiamo capito che avremmo fatto un ottimo lavoro.

Il disco è stato poi registrato al Digitube studio da Carlo Cantini il quale, con la sua grande professionalità, è riuscito a fare emergere il suono definitivo del quartetto. Ho proposto infine il lavoro definitivo ad Alessandro Guardia di Alfamusic, con il quale avevo già collaborato anni prima con il progetto ODF1100 per l’uscita di “Uscita d’emergenza”, dopo l’ascolto mi ha contattato per iniziare questa nuova avventura. Il 19 gennaio 2024 è uscito finalmente “Terra di mezzo”.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Credo che rappresenti la fotografia di un momento o meglio, come dicevo prima, di un mio periodo. Ma è anche un punto di partenza, il sodalizio che è nato nella realizzazione di questo lavoro continua anche fuori della musica, siamo amici e questo traspare nell’ascolto dei brani, questo disco è un disco sincero, senza trucco e senza inganno, dove emergono tutte e quattro le personalità senza mai intaccare lo spazio dell’altro, come si fa tra buoni amici. Un punto di partenza per i nuovi concerti, per nuovi lidi, per nuove avventure.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

Come dicevo in altre interviste, noi siamo quello che mangiamo. Io mi sono cibato di musica da quando ero bambino, i miei zii, sono tutti musicisti classici e quando si esercitavano o facevano delle lezioni la musica riempiva il quartiere. Quando ho iniziato a suonare ero, e lo sono ancora ora, un grande appassionato di rock. Il mio primo grande amore furono i Pink Floyd, studiavo per ore il suono e gli assolo di Gilmour dal quale credo di aver rubacchiato un po'.

Non c’era internet e con i miei amici si ci trovava in casa per ascoltare dischi o per ordinarli via posta. Ricordo che arrivava ogni mese il catalogo Nannucci e noi ci riunivamo per comperare di tutto. In una occasione comperai due audiocassette di Pat Metheny, Works e Works II, da allora Metheny è stato parte integrante del mio mangiare. Da lui sono passato ad ascoltare i pilastri del jazz: Parker, Coltrane, Davis, Evans, Mingus, Monk, da ognuno di loro ho preso qualcosa, ma non solo. In questo momento sto ascoltando tanta musica brasiliana, bossanova, samba, jazz brasiliano, artisti come Pedro Martins, Toninho Horta, Chico Pineiro, Hamilton de Hollanda, oltre ai classici Jobim, Chico Buarque de Hollanda e Joao Bosco. Ma sono convinto che la musica sia uno scambio, una condivisione, sono convinto che le persone con cui ho suonato con cui ho studiato mi abbiano influenzato, mi viene da pensare alle giornate passate con Alfonso Santimone il quale mi ha spronato a fare delle cose diverse dalla mia confort-zone, o Gabriele Rampi che ogni volta mi spinge a fare cose nuove e mi bacchetta sulla precisione. Ognuno di queste persone e molte altre hanno influenzato il mio stile e spero di incontrarne altre per poter crescere e cambiare.

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

La mia idea per il prossimo lavoro è un po' complessa, come complesso sono io in questo periodo della mia vita.  Per il momento solo un’idea o meglio un sogno è quello di registrare con questa formazione, insieme ad un’orchestra d’archi. Un lavoro molto più complesso ma credo che possa dare anche tante soddisfazioni. A dire il vero anche in questo lavoro doveva esserci un’incursione d’archi ma purtroppo per mio errore non è stato possibile farlo.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Per il momento si partirà con la presentazione del disco a Mantova  a fine marzo 2024, stiamo organizzando un mini tour estivo che toccherà Calabria, Puglia e Sicilia. Ovviamente le date sono in divenire quindi basterà seguirci sui social per conoscere i prossimi eventi.

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"Una tappa di un lungo percorso musicale": Raffaele Califano parla del nuovo disco Brush Up

Un disco che racchiude il percorso musicale di una vita, che abbraccia diversi stili e che ha visto la partecipazione di artisti di grande livello. Si presenta così Brush Up, disco che porta la firma del batterista Raffaele Califano pubblicato da Alfa Music nel 2016 al quale hanno preso parte Antonio Magli al piano, Simone Alessandrini al sax, Carmine Luvone al c.basso e Fabrizio Bosso alla tromba. Raffaele in persona ci ha raccontato questa nuova avventura e ci ha presentato il suo primo progetto da leader:

“Brush Up - ci spiega - si può tradurre come una rinfrescata alle idee musicali che mi hanno accompagnato per un lungo percorso della mia vita artistica. E' il mio primo disco come leader pubblicato dal grande team Alfa Music. Ho composto e arrangiato tutti i brani, risultato di un lungo lavoro organizzativo e di studio. Alla realizzazione del disco hanno partecipato Antonio Magli al piano, Simone Alessandrini al sax, Carmine Luvone al c.basso e Fabrizio Bosso alla tromba. La partecipazione di giovani musicisti emergenti mi ha particolarmente entusiasmato. Ci tengo a sottolineare questo aspetto delle nuove generazioni di musicisti, troppo spesso ci si lamenta di questo dato per niente irrilevante. Sono contento di aver dato un piccolo contribuito a rompere certi schemi chiusi. Spazio ai giovani non solo con le parole, ma nei fatti."

Raffaele Califano ci ha raccontato anche il ricco percorso che lo ha portato alla realizzazione del primo disco che lo ha visto assumere il ruolo del leader. Non tutti i musicisti, infatti, vogliono intraprendere questo tipo di strada, ma a proposito il batterista partenopeo ha le idee molto chiare:

Dopo molteplici collaborazioni a diversi progetti e livelli professionali - prosegue Raffaele - viene quasi naturale l'idea di fare qualcosa di tuo. La figura dello strumentista va sempre più scomparendo e questo spiega il fatto di come molti musicisti oggi cercano il proprio spazio comunicativo. Non tutti hanno voglia di scrivere e proporsi, molti preferiscono partecipare ai progetti più che crearli. Ho sempre pensato di scrivere mie idee musicali, infatti la registrazione di Brush Up è il punto di arrivo del piacere di proporre la propria musica. Quando inizi a studiare batteria immancabilmente fai un percorso jazzistico, la maggior parte degli studi sono nati e cresciuti insieme alle prime manifestazioni del jazz, da New Orleans fino ad arrivare alle grandi orchestre swing, al be bop e al jazz moderno che ci accompagna fino al contemporaneo. I musicisti che ho seguito di più sono: Miles Davis, Weather Report, Steps Ahead, Michael Brecker, John McLaughlin, Chick Corea e molti altri. Questa era la musica che si ascoltava senza rinnegare la tradizione ovviamente. I batteristi? Tutti quelli storici, da Buddy Rich, Gene Krupa, Max Roach a Steve Gadd e Vinnie Colaiuta. La batteria ha la sua massima espressione quando suoni jazz o derivati di questa musica. Ecco, un frullato di queste note mi ha portato alla realizzazione di Brush Up.”

Punto di partenza o punto di arrivo? O forse la tappa di un percorso artistico appena cominciato. Raffaele Califano prosegue spiegandoci cosa rappresenta il percorso che ha portato alla nascita del suo primo disco Brush Up:

“Brush Up è in vita, è il mio bambino appena nato, sta crescendo, iniziano i primi passi, si gioca (suona), si fanno nuove amicizie e si condividono le emozioni col pubblico. La musica è fatta da persone, purtroppo questo non sempre si capisce, eppure sembra abbastanza ovvio. Per me Brush Up rappresenta una tappa di un lungo percorso musicale, per noi musicisti è una ricerca continua di nuove idee e proposte musicali, un continuo evolversi, chi vive intensamente questa attività trova naturale studiare, scrivere e suonare. Sono già in cantiere altri progetti. Brush Up sta riscuotendo un'ottima risposta sia da parte del pubblico che della critica, sono contento, ringrazio Alfa Music e tutti i musicisti per la loro partecipazione al progetto. Grazie a voi per l'intervista, è stato un piacere condividere con Jazz Agenda il percorso che ha visto la nascita di Brush Up. Ciao.”

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Angelo Russo racconta a Jazz Agenda la nascita del primo disco Kjara

Nella musica accade molto spesso che delle composizioni vengano accantonate per un po’ di tempo per poi essere riprese e registrate. E’ il caso di Angelo Russo che recentemente ha pubblicato il suo primo progetto dal titolo Kjara per l’etichetta Alfa Music. Un disco in cui sono presenti diversi stili e che l’autore ha scelto di far eseguire ad altri musicisti quali Stefano Sabatini (pianoforte), Alfonso Deidda (sax e pianoforte), Luca Pirozzi (contrabbasso), Francesco Puglisi (contrabbasso), Pietro Iodice (batteria), Alessandro Paternesi (batteria) e Sandro Deidda (sax). Angelo Russo ci racconta la nascita del disco!

 “Da un po’ di tempo a questa parte – ci spiegaAngelo - avevo lasciato la musica per questioni familiari, ma ho sempre composto i miei brani. In realtà, però, dal momento che sono sempre stato molto timido e non mi sono mai sentito all’altezza ho preso la decisione di far registrare questo progetto ad altri musicisti, tra cui Alfonso Deidda e Domenico Sanna. Loro due in particolare hanno apprezzato davvero le mie composizioni ed è stato per me motivo di grande orgoglio e soddisfazione. Il disco è composto da brani di diversa estrazione, alcuni più attuali, altri un po’ più vecchi, e rappresenta una congiunzione tra passato e presente, come se fosse un tentativo di recuperare il tempo perduto. Ad esempio Kjara, è più melodico, Angel Samba, che è più moderno, ha un sapore decisamente più latino, altri ancora invece si avvicinano molto di più al bebop. In ogni caso cerco di fare sempre tutto con grande passione per trasmettere un’emozione alle persone che mi ascoltano. Credo che questa sia la cosa più importante.

Come accennato in precedenza i brani del disco non sono stati scritti nello stesso periodo. A proposito Angelo Russo ci dà qualche spiegazione in più sul percorso che ha portato alla realizzazione finale del disco.

Come ti accennavo prima - prosegue - ho scritto questi brani in periodi differenti: il primo di questi è sicuramente Kjara che dedico a mia figlia e che ho composto pensando a questo dono che all’inizio non arrivava, dedicandolo di conseguenza ad un bambino che doveva nascere. All’interno del disco c’è anche un brano che ho dedicato a mia moglie e che è decisamente più funky.Non ti nascondo, poi, che ci sono diversi brani in fase attuativa che arrivati a questo punto, dopo aver preso un po’ di coraggio, andrò ad incidere di persona.Questa esperienza mi ha reso molto più forte e sono stati i musicisti stessi che hanno inciso il disco, tra cui ringrazio in particolar modo Domenico Sanna, ad avermi  incoraggiato.

Quando si parla di jazz, sappiamo bene che dietro ogni progetto c’è sempre tanto studio e i traguardi sono sempre il frutto di un percorso complesso. A proposito Angelo Russo ci ha raccontato in breve la sua storia in ambito musicale:

Ho cominciato il mio percorso studiando con Stefano Sabatini tanti anni fa. In passato, inoltre, avevo anche formato un gruppo a Cassino, ma per mancanza di tempo e a causa del lavoro sono stato costretto ad allontanarmi dalla musica. Ora sono più libero, ho ripreso a suonare di più e voglio provare a fare qualcosa di più rispetto al passato. Grazie a tutte le persone che mi hanno incoraggiato e grazie a questa nuova avventura appena intrapresa, mi sento decisamente più all’altezza rispetto al passato. Sono veramente felice di aver ripreso a comporre e come ti accennavo in cantiere c’è già un altro progetto che non vedo l’ora di cominciare.”

Carlo Cammarella

 

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Cecilia Sanchietti presenta Circle Time al 28divino Jazz Club

  • Pubblicato in Pagina News

 

Venerdì 5 giugno al 28divino Jazz Club Cecilia Sanchietti presenterà Circle Time, il disco uscito a fine Marzo per Alfa Music, primo da leader della batterista romana e compositrice con il suo Jazz Project, di cui sono componenti il sassofonista Davide Grottelli, la pianista Gaia Possenti, il contrabbassista Stefano Napoli e, special guest, il trombettista David Boato.

Registrato lo scorso gennaio e edito dall'etichetta discografica Alfa Music, sarà ri-presentato Venerdi 5 Giugno con Flavia Ostini al contrabbasso e una guest vocalsit d'eccezzione, Federica Zammarchi . Nell'album, tutta l'esperienza musicale di Cecilia che negli anni si è  esibita su importanti palchi in compagnia di grandi artisti e formazioni tra  cui l'Orchestra del 41° parallelo, Rita Marcotulli, Javier Girotto, Cristina Comencini, Lunetta Savino, Fabio Abate, Carmen Consoli, Luca Madonia, Stefano Scatozza, Raffaella Misiti, Lucilla Galeazzi, Giovanna Marini, Andrea Satta, Isabella Mangani, Giorgio Cuscito, Federica Zammarchi, Paolo Tombolesi, Melvin Brown, Marco Rea.


28Divino Jazz - via Mirandola, 21 - Roma

Tel 340 8249718 - all info: www.28divino.com

CECILIA SANCHIETTI JAZZ PROJECT Presenta "CIRCLE TIME" -

VENERDI 5 GIUGNO

ore 22.30

Cecilia Sanchietti, batteria, composizioni

Davide Grottelli, sassofoni

Gaia Possenti, piano

Flavia Ostini, c.basso

Special Guest: La vocalist Federica Zammarchi

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Joe De Vecchis with Andrea Pagani Trio – Confidentially – una recensione

Sfogliare il booklet diConfidentially e trovarci dentro una rosa. Sorprende e lusinga la presentazione di quest’ascolto, etichettaAlfaMusic (2010), dedicato, confidenzialmente. Cinquanta minuti di carezze e attenzioni. La voce di Joe De Vecchis racconta, schietta e discreta: dove c’è confidenza e intesa, d’altronde, non serve altro, nessun effetto speciale, nessun artificio. L’interscambio con l’Andrea Pagani Trio è naturale, immediato, composto, dosato con piacevole misura dalle scelte d’arrangiamento. Niente è eccessivo, stra-ordinario. Ed è nella sua ordinarietà che Confidentially diventa immediatamente familiare. Aiuta la scelta dei brani proposti, dalla riproposizione dei classici standard, agli inediti esclusivi a firma Pagani, R. Misiti e De Vecchis. Da September morn che vola via leggero sulle spazzole di Romeo, a Look for the silver lining, swing sciolto dove conquista la limpidezza del piano di Pagani. InMy foolish heart la voce di De Vecchis si fa sussurrata: la leggerezza degli arrangiamenti ne impreziosisce la tessitura. Sempre morbidamente accomodante il contrabbasso di Moriconi.Un’atmosfera accogliente, un ambiente domestico e sofisticato allo stesso tempo che funziona sempre, anche per un ascolto distratto: la formula, e non sembrerà sminuire il lavoro, appare in tutto e per tutto quella di un pianobar di lusso. Scivola Just the way you are, seguita a ruota da Let’s get lost: tutto è controllato, equilibrato nel dialogo piano-contrabbasso. La voce di De Vecchis, intanto, fila via, spensieratamente. Dolce e intensa la ballad Just one lifetime, dove gli intervalli ampi dei fraseggi creano degli apprezzabili gradini emozionali. Se il track to track muove piacevole senza scossoni dallo sforzobop di There will never be a quello misto latino di Falling in love with love, quasi pigramente si arriva al sentimentalismo soft degli inediti The Ghost’s Waltz e House in Ostia Antica, perfettamente in stile. Chiude l’album You go to my head, sempre in confidenza. Confidenzialmente.

Eliana Augusti

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Carol Sudhalter – The Octave Tunes – una recensione

Pubblicato dall’etichetta discografica Alfa Music, The Octave Tunes è il decimo lavoro che porta la firma diCarol Sudhalter, sassofonista e flautista statunitense, che già da tempo ha dimostrato un amore incondizionato per il nostro paese. Il suo ultimo progetto, che vede la partecipazione di numerosi musicisti, fra cui spicca come special guest Vito di Modugno (hammond), rispecchia tutta la sua esperienza maturata negli innumerevoli progetti musicali a cui ha preso parte. Ed è l’eleganza, secondo noi, la caratteristica principale che da sempre ha contraddistinto una musicista versatile ed espressiva. Un’eleganza che troviamo perfettamente presente in The Octave Tunes e un nome curioso scelto perché tutti i brani cominciano proprio con un intervallo di ottava.

E veniamo subito al contenuto di questo Cd. Carol Sudhalter, che troviamo in questo caso al flauto, al sax tenore e soprano, ama spaziare fra diversi stili. E non stupitevi se accanto agli standard di Duke Ellington o di Haven Gillespie, troverete dei classici come Somewhere Over The Rainbow o Alice in Wonderland, oppure musiche meno conosciute dal sapore spagnoleggiante. Non stupitevi perché tutto il contenuto di The Octave Tunes è scelto ed arrangiato con cura ed armonia. Carol Sudhalter, che è una musicista dalla grande esperienza, ama rileggere i brani in maniera personale, senza, però, cambiare il senso o la direzione che l’autore ha deciso di imprimere alla sua opera. Motivo per cui ciò che fuoriesce da questo progetto è un lavoro di facile ascolto, molto delicato, che non travalica troppo i confini di quanto è stato già scritto. Quindi, non aspettatevi quella tendenza alla sperimentazione o a mescolare i generi che caratterizza molti dei musicisti moderni, ma semplicemente il gusto di suonare dei brani che non hanno bisogno di essere stravolti.

Degno di nota è anche il fatto che a seconda dello strumento utilizzato da Carol Sudhanter il brano che ascoltiamo acquista un colore diverso. Si passa dal suono più delicato del flauto a quello più cupo e gutturale del sax baritono: lo strumento che, secondo noi, riesce a dare quel tocco di originalità in più rispetto agli altri. E poi basta ascoltare Somewhere Over The Rainbow oppure You go to my Head di Gillespie per capire che lo strumento giusto nel posto giusto fa davvero la differenza. Un tocco di grazia in più lo dona anche lo hammond di Vito di Modugno che ci regala una versione molto personale diDaydream di Duke Ellington. Insomma, un CD di facile ascolto, in cui spiccano la grazia e l’eleganza di una musicista versatile ed essenziale.

Carlo Cammarella  

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Quinteto Porteño, Desiderata – una recensione

Desiderata è un album che prende, intimo, ruspante, vivo, che accompagna e non stanca mai. Nicola Milan(accordeon), Simone D’Eusanio(violin), Daniele Labelli (piano),Roberto Colussi (guitar), Alessandro Turchet (double bass). In arte, ilQuinteto Porteño. Sonorità latine, sapientemente contaminate di melodismo italiano. Piacevole il risultato finale che gode della cura degli arrangiamenti, raffinati, e della scelta dei temi, orecchiabilissimi. Un album maturo che lascia cogliere la straordinaria intesa che c’è tra i musicisti, in un clima quasi familiare, estremamente empatico. Uscito perAlfaProjects (2010), Desiderata racconta. L’appassionato protagonismo dei fraseggi della fisarmonica di Milan in Milonga Z, brano d’apertura, lascia spazio alle spensierate atmosfere infantili di Song for Matteo, tra i brani più riusciti dell’album. Belli i crescendo, travolgenti; dolce il tema, da fischiettare, divertenti le code: è palpabile l’innocenza, l’ingenuità, la tenerezza del gesto imbarazzato di un bambino. Ci sarebbe tutto lo spazio di un racconto sussurrato, magari al femminile. Desiderata è di una bellezza rara. Un tema piacevolissimo che corteggia; poi, d’improvviso, punta il dito e lancia la sfida del desiderio che vuole, anche quando non potrebbe. Il gesto musicale si fa sensuale, segna il passo con passione, in un crescendo sempre emozionalmente vivido e ricco, latino. Intensi i dialoghi amorosi della fisarmonica col violino di D’Eusanio, carezzevole il contrabbasso di Turchet, quasi un violoncello colloquiante. Un intreccio perfetto di anime. Complessa, invece, quella di Chick to chick, vagamente orientaleggiante: belli i bassi, belle le progressioni della chitarra di Colussi che si lancia in un assolo cantabilissimo. Un po’ aspro il contrasto dei velluti della chitarra con le spigolosità del piano di Labelli che risente di un timbro spesso troppo metallico. Ordinante la fisarmonica di Milan, che descrive e distribuisce spazi piacevolmente avvolgenti. Ci stanno benissimo le incantevoli divagazioni jazz della chitarra e del piano.

Due parole su Milonga Canzone (testo: D’Eusanio) e A te (testo: Milan), i brani che introducono e sperimentano la propostacanzone nell’album. In Milonga CanzoneD’Eusanio compare nelle doppie vesti di autore e voce: è un pezzo morbidamenteballad, affidato nell’introduzione al lirismo del piano soul di Labelli, quasi smentito poi dall’ingresso a schiaffo del baritono, eccessivamente drammatico, scuro, severo per l’intensità toccante del testo. Distrae l’impasto timbrico, il ritmo dell’ascolto ne soffre e il discorso musicale risulta appesantito. La partecipazione del soprano Lucia Vaccari non alleggerisce. Commoventi e ben articolati i testi, anche nelle sinuosità del dedicato A te,ma appare azzardata la scelta dell’accostamento lirico. L’album non avrebbe sofferto la mancanza. Personalmente preferisco D’Eusanio al violino. Tango Quinto è il brano di ritorno al latino, in perfetto stile. Strisciante, appassionato, intimo, riflessivo, struggente. Windwill sperimenta in modo diverso l’intreccio con la voce del soprano. La bellezza del tema proposto dal violino, come del timbro e della compostezza vocale della Vaccari, non ritrovano però nella scelta del racconto all’unisono un connubio vincente; non c’è intesa, anzi, imbarazza non poco il ritardo della voce. Peccato. Con Waltz for Sopiritornano anche le atmosfere incantate e spensierate della track 2, corali e piacevolmente farcite. Vento d’Autunno chiude, caduco, fermo. Mistiche le atmosfere minimal. Forse il brano in cui si avverte maggiormente la mancanza dell’accompagnamento ritmico delle percussioni, a sostegno dei crescendo che pèrdono, per questo, in tensione emotiva. Brucia, ma non deflagra, e forse è una scelta: una conclusione che non impressiona, ma accompagna, dolce, al repeat. Non stanca mai.

Eliana Augusti

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Andrea Beneventano Trio – The Driver – una recensione

Dagli accenni stride al beboppiù coinvolgente e raffinato, dagli inaspettati percorsi nostalgicamente bluesall’intimismo di un temaspiritual. Un cofanetto di stile, realizzato dall’Andrea Beneventano Trio. Andrea Beneventano al pianoforte,Francesco Puglisi al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria. Uscito nel 2010 per Alfa Music, l’album ha indosso tutta la leggerezza e la ricercatezza del jazz d’autore firmato Beneventano. Limpidezza di fraseggio, profondo e ampio, feelingdebordante e un concilianteinterplay. La registrazione è gradevolissima, un equilibrio dinamico quasi perfetto. The Driver. Il conducente, o il conduttore. Condurre, verso o lasciarsi condurre, attraverso. Un’emozione che si raccoglie, a meta, o che passa attraverso. E scorre, pacificante, dalle sofisticate e soffuse atmosfere nightdi Cool River, dov’è Puglisi a presentare le preziosità del tema, alle istantanee in block chords di Midget Steps, dove emerge tutto il protagonismo pianistico di Beneventano. The Driver viaggia ad un’altra velocità: è divertente e spensierato, irriverente nei fraseggi e dialetticamente curato negli splendidi giochi di mano di Beneventano. Da gustare l’assolo di Angelucci. È poi la volta dello standard, dalle sensuali rilassatezze di When Sunny gets Blue al pigro sentimentalismo di If I should lose you, passando per i singhiozzi ritmici di Passing Season, e forse non è un caso. I got your rhythm e Donna Quee spezzano il filo, ritardando la conclusione che arriva con My Gospel, e il suo intimismo con gli occhi rivolti al cielo.

Eliana Augusti

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Chantons – Paris Jazz – Una recensione

Facciamo per un momento un salto temporale (o semplicemente geografico se preferite) e trasportiamo la nostra mente in Francia, magari nel centro di Parigi, la città dell’amore e la culla della cultura di questa splendida nazione. La prima cosa che vi verrà in mente sicuramente sarà quella di seguire gli itinerari turistici e quindi di fare un salto alla Tour Eiffel, oppure al Louvre o al muséè d’Orsay. Se, però, avete voglia di fermarvi per un po’ di tempo in questo luogo e di guardare le cose con maggior profondità, scoprirete sicuramente che dentro la Parigi che avete visto in cartolina esiste un’altra città, magari più vicina a quello che vi stiamo per raccontare. Parigi, infatti, è anche la città degli Chansonniers e quindi di Aznavour e di Edith Piaf, artisti di fama mondiale conosciuti in tutto il mondo che hanno fatto sognare generazioni e generazioni.

Qualcuno, armato di tanta passione e voglia di fare, ha voluto far rivivere questa tradizione ed è uscito fuori Chantons, disco pubblicato da Alfa Music e nato dall’incontro fra Awa Ly, cantante parigina di origine africana, e fra due jazzisti di prim’ordine, Arturo Valiante (piano) e Valerio Serangeli(double bass). Un’unione che ha portato questa formazione a girare il mondo, suonando oltre cento concerti, e che ha generato un progetto evocativo, tradizionale e gradevole anche per chi si vuole avvicinare al jazz, magari in maniera trasversale. Diciamo subito una cosa allora. Sebbene il trio Chantons abbia attinto direttamente dalla tradizione francese degli Chansonniers, non vuol dire che il disco non sia originale. Awa Ly, infatti, con le sue caratteristiche vocali, ci mette veramente del suo e, anche se rimaniamo nel territorio di cui vi abbiamo appena parlato, a tratti non è possibile non percepire le influenze africane che questa cantante ha nel proprio DNA. Dal canto loro Valiante e Serangeli sono due jazzisti che trasudano esperienza e che riescono ad arrangiare i brani con originalità, gusto e semplicità.

E quindi celebri canzoni come La Boèhme di Aznavour, oppure Hymme à l’amour di Edith Piaf, pur mantenendo la loro unicità, acquistano un colore nuovo, che le rende nuovamente attuali e che ce le fa assaporare in una maniera del tutto diversa. Inoltre il fatto che accanto ai brani appena citati ce ne siano altri diametralmente opposti come Couleur Cafè di Gainsbourg, o Tout Le Monde veut devenir un cat di Hddlestone – Rinker, dimostra che il trio Chantons, pur rimanendo in un territorio ben preciso, ha voglia di spaziare fra sonorità diverse. In più vi segnaliamo veramente con piacere, e anche con un po’ di campanilismo, un omaggio a Mina con il brano Io non gioco più che, secondo il pensiero del trio, diventa Je ne Joue Plus, un blues che ben si accosta a tutto il repertorio di cui vi abbiamo parlato. E per concludere questa breve carrellata che per quasi un’ora ci ha fatto viaggiare con la mente in Francia citiamo anche due brani firmati Awa Ly, Arturo Valiante e Valerio Serangeli: L’amour qui va e Toi tu n’es pas là, perfettamente in linea con il resto del CD.

Insomma, se vi piace la canzone d’autore e se subite anche il fascino degli Chansonniers, allora questo è il CD giusto per allargare gli orizzonti musicali. Magari davanti ad un bicchiere di buon rosso che si sposa decisamente bene con quello che sicuramente avrete il piacere di ascoltare.

Carlo Cammarella

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Ettore Fioravanti: tradizione e tradimento nel nuovo album

 

Jazzagenda incontra Ettore Fioravanti, batterista cardine del jazz italiano, che dallo scorso autunno è in tour con il suo quartetto (formato con Marcello Allulli, Francesco Poeti e Francesco Ponticelli) per presentare il nuovo album “Traditori” (Alfa Music).

Il titolo del disco è “Traditori”. Cosa rappresenta il tradimento in questo disco?

“Rappresenta la volontà di rigenerare la musica che amo, mettendone in discussione le regole e mischiandola con altre radici: è insieme un atto di amore e di tradimento, perchè, come si spiega nelle note di copertina, le parole “tradizione” e “tradimento” hanno la stessa origine, quindi la vera tradizione presuppone una messa in discussione delle sue stesse fondamenta affinché il suo dna sia tramandato. Nel mio piccolo provo a farlo cercando altre fonti musicali extra jazzistiche: la canzone, il rock, la classica, la popolare.”

Confermi la formazione in quartetto dopo il primo album. Come descrivi il percorso compiuto insieme ai musicisti che lo compongono?

“Ineludibile: sono gli uomini a fare la musica, quindi la scelta oculata dei musicisti e la loro durata nel tempo significano un aumento esponenziale di sinergia, una condivisione di vedute musicali che supera le differenze naturali di obiettivi, una ricerca di suono che rappresenta la prima firma di un gruppo. Io credo nel gruppo (in questo caso il mio 4etto con Marcello Allulli al sax, Francesco Poeti alla chitarra e Francesco Ponticelli al basso), contro ogni forma di singolarismo che oggi circola stabilmente nel mondo musicale, un po’ come si fa nel mondo del rock dove la band vince sul personaggio, quasi sempre.

Da quanto tempo lavoravi ai brani dell’album?

“Sinceramente non è questo il mio modo attuale di lavorare: se scrivo pezzi nuovi non lo faccio in funzione di una registrazione, voglio verificare se si adattano all’estetica del gruppo e sono pronto a ritirarli se non calzano bene sui musicisti del quartetto. Tanto più che sono tutti ottimi compositori e questo si ritrova nel disco che presenta brani di ognuno dei quattro. Come sempre si tratta di cercare un equilibrio fra congruità degli elementi compositivi e libertà di intervento personale da parte di tutti i suonatori: si compra un vestito che pensi e speri piaccia, poi lo si indossa fino a quando non si adatta completamente al corpo, a quel punto farai fatica a metterlo da parte anche quando sarà un po’ malandato.”

Sentiamo molto presenti tutte le influenze che hai ricevuto al di fuori dell’ambito jazz…

“Sta lì il “tradimento”, nel non voler più nascondere che le mie radici pescano frequentemente in territori non propriamente jazzistici, anche se il jazzjazz, quello afroamericano degli anni 50/60, nel mio albero genealogico è un ramo forte, destinatario di grande passione. Ma tornando alle radici spurie, se mi guardo allo specchio vedo le canzoni (intese come rapporto testo/musica), la musica classica (anni di Conservatorio significano pure qualcosa), le suggestioni della musica popolare e soprattutto il rock progressive, quello che si è sviluppato nei primi anni ’70 e che io ascoltavo su vinile e live: King Crimson, Jethro Tull, Gentle Giant, PFM. Di quella musica oggi mi rimane il piacere di scrivere e suonare brani con strutture articolate, spesso con più temi o tempi, e una ricerca di equilibrio fra composizione e improvvisazione, tanto da non dare talvolta a quest’ultima un ruolo predominante sulla prima. Altro “tradimento” jazzistico, a ben vedere.......”

Nella tracklist, oltre ai tuoi brani, vi sono anche pezzi firmati dai componenti del quartetto e alcune cover.

“Come dicevo sopra il lavoro di composizione è benvenuto da qualsivoglia parte giunga, è molto più importante l’elaborazione che se ne fa a livello di gruppo: spesso i pezzi vengono stravolti, smembrati, praticamente riscritti, e così prendono di più le fattezze del quartetto inteso come entità a se stante derivante da sovrapposizione, melange, frizione fra 4 personalità distinte e diverse. Anche le cover entrano in questo laborioso frullatore: ne ho presentate tante nel tempo, alcure veramente inverosimili, abbiamo valutato la loro “appartenenza alla razza” cioè all’identità del gruppo e quelle che hanno superato l’esame sono parte stabile dei nostri concerti: in particolare le canzoni di Lou Reed, non proprio un puro jazzman, ma ricche di cellule interessanti per l’elaborazione jazzistica, sia per l’arrangiamento che per l’improvvisazione. Stiamo facendo qualcosa di simile anche con Bob Dylan.”

Oltre ad avere da sempre una intensa attività live, sei molto impegnato nell’ambito della didattica. Cosa apporta questa esperienza nella tua musica?

“Intanto c’è un rapporto continuo con i giovani che per me significa un confronto fra le mie inevitabili sicurezze sclerotizzate (questo si fa, questo no) e la freschezza di chi se ne frega, talvolta per ignoranza ma più spesso per rifiuto dei dogmi. Insegnando quindi dogmi mi trovo a rigettarli prima io dei miei studenti, col rischio di comunicar loro insicurezza ma con la franchezza ingenua dell’artista che sopravanza il parrucconismo del vecchio docente. E così facendo imparo più io da loro che loro da me. Furbacchione, eh? Nella mia musica, suonata peraltro spesso con musicisti giovani, vado a cercare questa messa in discussione dei dogmi, soprattutto in fase improvvisativa: e se non sempre mi riesce ciò è almeno testimone di uno sforzo continuo a non ripetersi.”

Qual è la tua percezione della nuova generazione jazz italiana?

"Oggi girano nel nostro paese fior di musicisti 20/30enni, con una preparazione media più alta di quella della mia generazione a quell’età e la qualità che gli italiani riescono a mettere, nel bene o nel male, dentro ogni forma d’arte: la leggerezza, intesa come fluidità del pensiero creativo che seppur intensissimo sgorga con naturalezza e con altrettanta naturalezza arriva al fruitore. Forse lo sviluppo della didattica jazzistica dentro e fuori dei Conservatori può aver accentuato quell’omogenizzazione da bravo professionista jazz che ogni tanto appare, ma i veri talenti superano l’ostacolo con la leggiadria profonda del vero artista."

Quali artisti ti hanno “iniziato” alla musica e alla batteria, e quali ti hanno accompagnato nella definizione e sviluppo del tuo drumming?

“Se parli di influenze mediatiche ovviamente la lista sarebbe infinita, da Krupa a Guiliana, ma se devo dire chi ho studiato di più direi Roach, De Johnette e Gadd, quindi prospettive molto diverse fra loro. C’è anche l’amore trasversale, quello che non capisci ma c’è radicato, per batteristi come Elvin Jones e Phil Collins, anche qui non proprio fratelli di sangue. E infine ci sono quelli che in carne ed ossa e occhi negli occhi mi hanno detto cose importanti: Bruno Biriaco (mitico batterista del Perigeo), Fabio Marconcini (percussionista classico e amante della batteria, mio primo vero maestro), Antonio Striano (mio docente di percussione a Conservatorio e valentissimo timpanista), Alan Dawson (con lui ho fatto 4 lezioni che mi hanno segnato, i suoi fogliettini scritti a penna li porto sempre con me).”

Quali sono i tuoi prossimi appuntamenti live?

"Si prospetta una primavera intensa: col 4etto saremo a suonare a Perugia al Ricomincio da tre il 18/4, al Conservatorio di S.Cecila il 3/5, alla Casa del Jazz il 5/6. Inoltre faremo un tour in Finlandia dal 20 al 27 aprile in compagnia del buon amico e ottimo pianista Karri Luhtala. A tutto ciò aggiungi concerti in Francia col quintetto di Paolo Fresu (9/4, 7 e 8/5) e un bell’incontro fra me, Eugenio Colombo e la Banda Comunale di Clusone (BG) il 30/5."

Come possiamo rimanere aggiornati sulla tua musica e i tuoi concerti?

"Non sono un grande produttore di me stesso, ma ho la fortuna di essere aiutato in ciò dalla bella e brava Fiorenza Gherardi De Candei che tiene sempre aggiornato il mio profilo Facebook con le cose in atto. E poi chi mi ama mi segua, ci riuscirà senz’altro."

F. G.

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