Jazz Agenda

Il jazz italiano a Shanghai

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L’Esposizione Universale 2010 tenutasi a Shanghai dal 1° maggio al 31 ottobre aveva scelto il tema “Città migliore, vita migliore”; una grande occasione per esplorare il potenziale delle città nel 21° secolo, per scoprire l’evoluzione dei centri urbani e del concetto di civilizzazione del nostro Pianeta. Sono state coinvolte 200 nazioni e organizzazioni internazionali, con oltre 70 milioni di visitatori. Nonostante il regolamento dell’Expo prevedesse che i diversi Padiglioni venissero smantellati alla fine della manifestazione, quello italiano ha ricevuto ben 23 offerte di acquisizione da parte delle principali istituzioni cinesi e municipalità – tra cui Shanghai, Pechino e Hong Kong – diventando così permanente! Inoltre, il Museo Permanente dell’Expo di Shanghai ha acquisito oltre la metà delle opere esposte all’interno dell’edificio. Ma ciò che più interessa noi cultori del jazz, è la rassegna (giunta alla terza edizione) che celebra il ritorno del genere nella capitale economica della Cina e che ha visto salire sul palco i migliori musicisti jazz per 20 concerti e numerosi incroci e jam sessions. 

A questi enormi successi è stato dedicato un fascicolo, L’Italia all’esposizione universale di Shanghai 2010, presentato giovedì 16 all‘Auditorium. A chiudere le testimonianze dei volti più importanti dell’Expò, un piccolo concerto di Danilo Rea, Enzo Pietropaoli ed Amedeo Ariano. Il trio ha portato a Shanghai, e all’Auditorium, una parte di quella che è l’italianità musicale, proponendo alcuni dei più bei brani del cantautorato “nostrano”. È “Bocca di rosa”, col suo ritmo frenetico, ad aprire e chiudere l’esibizione, seguta da “Nessun dorma” e “Senza Fine”, prima di ritornare nuovamente a De Andrè con la splendida esecuzione de “La canzone di Marinella”. C’è anche lo spazio per la celebre canzone degli spazzacamini di Mary Poppins, camuffata da un’improvvisazione sul tema, parentesi giocosa che apre ad una nostalgica “Resta cu mme”, brano che va ad intrecciarsi, sul finire, con “Nel blu dipinto di blu” di Modugno, quasi immancabile per l’importante pezzo d’Italia che porta a bandiera. Altra sorpresa che ci attende all’uscita, assieme al fascicolo in omaggio, è un disco: Il meglio del Jazz Italiano a Shanghai, che al suo interno annovera i nomi di Cafiso, Pierannunzi, Bollani, Gatto, Salis, Bosso, Rea, Fresu, Rava, Telesforo e altri ancora.

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

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Roma Jazz Festival, un pomeriggio alla scoperta dei nuovi talenti francesi

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Che il Roma Jazz Festival sia un luogo di ritrovo per i grandi nomi del Jazz è un fatto che diamo ormai per scontato, vista la presenza di artisti di richiamo internazionale. Ma questo non vuol dire che anche le nuove generazioni non meritino un occhio di riguardo, specie quando la proposta è veramente originale. E proprio ieri, in un orario pomeridiano, quando il freddo invernale comincia davvero a pungere sulla pelle, abbiamo avuto la fortuna di poter entrare nel teatro Studio per ammirare due incredibili formazioni francesi già vincitrici del concorso Jazz Migration.

Appena arrivati si percepisce subito che sarà uno splendido pomeriggio dedicato al jazz. L’Auditorium brulica di gente che attende l’inizio del concerto nel Teatro Studio, dove già dalle 18 una folla di persone curiose si siede aspettando di ascoltare questi tre musicisti riuniti sotto il nome di Trio d’En Bas:Arnaud Rouanet (sax tenore, clarinetto,voce), Yoann Scheidt (batteria, percussioni, voce) Samuel Bourille (tastiere,fisarmonica,sax soprano, voce). Tre artisti dalle molteplici influenze musicali che amano fondere e mescolare diversi stili. E infatti, appena la musica comincia, ci rendiamo subito conto di trovarci davanti a un gruppo molto coeso che senza mai abbandonare il jazz spazia tra quelle sonorità che si avvicinano notevolmente ala musica di Franck Zappa fino a toccare la musica popolare francese, richiamata anche da strumenti tipici di quella cultura. Ci accorgiamo subito della presenza di pentole su un tavolinetto e poco dopo, quando il batterista estrae la tromba e inizia a suonare seguito da un sound di pentole sbattute, di piatti strofinati e di bottiglie di plastica accartocciate, scopriamo con grande stupore l’arte di suonarle e di improvvisare. Lo spettacolo si conclude con un esilarante gang-musicale dove queste pentole vengo “ammucchiate” sonoramente.

E poi arriva il turno dei Rétroviseur, un quartetto originale proveniente dal CNSM di Parigi composto da Yann Joussein, batterista poliedrico, Fanny Lasfargues, contrabbassista energica, Yoann Durant, sassofonista ambulante e Stèphan Caracci, vibrafonista e percussionista. Dopo un po’ di attesa, causa problemi con l’amplificazione del contrabbasso, ci immergiamo in un suono energico e quasi ipnotico. Fanny Lasfargues suona energicamente creando nuovi suoni mediante l’utilizzo di oggetti incastrati tra le corde del contrabbasso e si spalleggia con Yoann che alternando sax e clarinetto genera delle sonorità quasi surreali seguite da un incalzante ritmo di batteria e da uno xilofono avvolgente. Salta subito all’occhio il ruolo dei fiati, Yoann si muove, esce dalla scena, addirittura suona dai backstage usando i fiati in qualsiasi modo possibile. Suona anche al contrario, usa i tasti per tenere il ritmo, collega l’ancia del sax ad un tubo emettendo dei barriti. Tutto questo per uno spettacolo entusiasmante e vivo che ci ha reso felici di questo pomeriggio All’auditorium alla scoperta del nuovo jazz francese.

Valentino Lulli

Foto di Valentino Lulli

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Al Roma Jazz Festival Portal, Sclavis, Marguet, Texier, Le Querrec – tra musica e fotografia

Ecco l’occhio dell’elefante che in ogni momento osserva intensamente i fatti della vita come se li vedesse per la prima ed ultima volta”. Non è un frase di circostanza inventata dal nulla, ma un proverbio africano che nel nostro caso sintetizza la filosofia che si cela dietro il concerto/rappresentazione che abbiamo avuto il piacere di osservare ieri sera all’Auditorium. E non è un caso che il verbo da noi utilizzato sia per l’appunto “osservare” e non ascoltare, come forse sarebbe più consono per la musica. Non è un caso perché nel concerto di ieri, dal titolo “L’œil de l’elephant”, la musica di Michel Portal(clarinetto e sassofono), Louis Sclavis (clarinetto e sassofono soprano), Christophe Marguet(batteria) e HenriTexier (contrabbasso) si è fusa con il linguaggio visivo di Guy di Le Querrec, fotografo d’eccezione dall’esperienza pluridecennale.

Due linguaggi espressivi, due forme d’arte sublimi, due modi di comunicare emozioni che attivano due percezioni differenti e che possono dialogare fra loro senza generare niente di artificioso. La fotografia che guida la nostra immaginazione verso l’esplorazione, verso l’ignoto, verso quell’istante che viene bloccato per sempre dallo scatto di una macchina che ha il potere di farci rivivere emozioni ormai passate. La musica, perfezione del suono e delizia dell’udito. Un’arte dentro un’altra arte, un mix fra due linguaggi così diversi e così simili, una forma espressiva che guida l’altra trascinandoti verso mondi lontani, periodi passati, attimi immortalati, il tutto accompagnato da una musica ricercata per l’occasione che si tinge di Jazz e che stringe la mano alla tradizione francese.

E veniamo al concerto. Come i musicisti si sistemano sul palco, il silenzio viene rotto dal ritmo incalzante della batteria, poi davanti ai nostri occhi iniziano a scorrere le immagini e a mano a mano intervengono anche gli altri strumenti. La prima sessione si chiama “Baci Rubati”, un susseguirsi di immagini, di mondi inesplorati (spesso eterogenei fra loro), attimi immortalati che prendono vita nuovamente accompagnati dalla musica del quartetto. Un bacio fra due innamorati, fra due clandestini, fra due mucche, fra madre e figlio, tutto a tema con una melodia che si sposa perfettamente con quello che vediamo. Poi, si passa ad un’altra sessione intitolata “Qui l’ombra”, in cui spiccano giochi di luce grotteschi alternati a fasi più inquietanti, ad un’altra ancora chiamata “Più veloce del vento” dove, invece, al centro dell’attenzione c’è il movimento. Insomma, di sessioni ce ne sono state davvero tante e ne citiamo soltanto qualcuna, anche perché altrimenti rischieremmo di ridurre il tutto ad un freddo elenco di numeri ed immagini.

Quindi, nella serata di ieri ciò che veramente ci ha colpito è stata la pulsazione. Pulsazione che viene resa attraverso uno scatto, attraverso un attimo rubato, pulsazione che viene scandita dalla musica, filo conduttore di una rappresentazione originale, linfa vitale di un mondo che nuovamente prende forma. Le Querrec è un viaggiatore, nella sua produzione ci sono foto divertenti, foto comiche, foto ironiche, foto del passato, foto di grandi jazzisti, foto dei suoi viaggi in Africa e in continenti sconosciuti dove la povertà è ancora il protagonista ineccepibile. La parte che spicca fra tutte, secondo noi, è quella finale, in cui viene esposto, sempre a suon di musica, un reportage dal titolo “Sulle tracce di Big Foot”, effettuato nel 1990 negli Stati Uniti, proprio nelle terre ancora popolate dai nativi. Un viaggio in condizioni estreme, in terre inospitali, dove ancora le tribù, pur avendo accettato una parte di progresso, vivono secondo le loro leggi.

Insomma, quello di ieri è stato uno spettacolo diverso, un concerto/rappresentazione in cui possiamo dire di aver imparato, o se non altro osservato e ascoltato, qualcosa di diverso, che ci ha fatto riflettere non soltanto sul mondo visto dal libero occhio di Guy Le Querrec, ma anche sulla fusione di arti e linguaggi e perché no, anche sull’abbattimento dei confini culturali.

Carlo Cammarella

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Esperanza Spalding, astro già nato nel jazz e oltre…

Ci sono artisti che vengono catalogati come il fenomeno del momento, piccole stelle nascenti che bruciano la loro indole geniale in pochi attimi, estro creativo e furore artistico che si libera in un attimo sonoro. Esiste poi un’altra categoria di artisti la cui musica vorremmo portare con noi sempre, negli anni a venire sempre foriera di note nuove. Questo è senza dubbio il caso diEsperanza Spalding, classe 1984, musica nelle corde del suo contrabbasso e nella sua voce dalle radici africane e ispaniche. Una breve presentazione è necessaria per cesellare attorno alla giovane musicista un panorama variegato pluri-culturale e ricco di contaminazioni.

Auditorium Parco della Musica di Roma, il substrato è un trio d’archi, tappeto su cui si posano elementi che richiamano il folk, il jazz e la world music. Esperanza sul palco mima un istante di meditazione e relax assaporando un rosso rubino, poi la sua musica. Il viaggio di “Chamber Music Society”, nuovo disco itinerante, inizia con un intro musicale leggero, soffuso, quasi per saggiare l’attenzione del pubblico.


A seguire ascoltiamo nuovi brani di un progetto in divenire che sfocerà nel 2011 con il suo rovescio della medaglia, ovvero “Radio Music Society”.  Piccoli saggi di come si può intrecciare la dissonanza jazzistica con la purezza vocale giungono da brani come “Little Fly”. Mentre gradevole ricerca di suoni si propagano attraverso “Knowledge of good devil”. Una breve pausa e Esperanza muove i suoi passi scalzi nell’America del Sud, scende in Argentina per una “Chacarera”, danza di coppia tradizionale, pura e passionale. Si accendono ritmi di mani sul contrabbasso e piano e voce, assonanze e passaggi doppiati archi e corde vocali. A seguire “Wild the Wind”, il brano che fu di Nina Simone prima, reinterpretato poi da David Bowie, ma scritto daDimitri Tiomkin. La musicalità cinematografica di questo artista e compositore di origine Ucraina sembra essere passata nelle melodie della Spalding che ha saputo rieducare voce e contrabbasso per un pezzo dalle mille emozioni.

Altro cameo che pone l’accento sul grande amore per la musica brasiliana è “Inutil Paisagem” diAntonio Carlos Jobim. Qui la voce di Esperanza si fa strumento a fiato e doppia le note e si accompagna con suoni di basso, velluto, samba. Verso la chiusura si passa per l’idea di combinare strumenti di stampo classico con le note blu e tutto d’un fiato arriva ai timpani un brano già ben descritto nel titolo: “Short and Sweet”. Ma il genio creativo di Esperanza arriva a toccare anche melodie di canzone americana, e cinema e nevicate su New York. Seduta e ancora scalza canta la sua “Apple Blossom”; melodia e orecchie non addomesticate ringraziano. Come un germoglio, arriva “As a Sprout”, come in musica nasce un fiore e percorre attimi intensi di vita e vitalità. Chiude Esperanza con “Winter Sun”, per un inverno capitolino che stenta ad arrivare tra contraddizioni e contaminazioni.

Federico Ugolini

Foto: Federico Ugolini

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Roma Jazz Festival, Giovanni Guidi and The Unknown Rebel Band all’Auditorium

Il progetto di Giovanni Guidi, che abbiamo avuto il piacere di ascoltare giovedì scorso all’Auditorium, è molto coraggioso, quanto i protagonisti di cui tratta: i ribelli sconosciuti, quelli che ricordiamo perché hanno fatto parte di importanti processi di liberazione, ma a cui non sapremmo dare un volto. Ed è all’Unknown rebel per antonomasia che si ispira Guidi: lo studente cinese davanti ai carri in piazza Tienanmen. Gli eventi narrati nei brani, infatti, arrivano fino ai giorni nostri, con quella che ormai a tutti è nota come l’Onda studentesca. Passando per i desaparecidos argentini, la Primavera di Praga, la Liberazione d’Italia, la legge Basaglia (che sancì la fine della segregazione per migliaia di malati psichici) e le lotte anticolonialiste in Sudafrica ed Algeria.

Così veniamo accompagnati in un viaggio nel tempo e nel Mondo, ben reso dalla commistione di generi tutt’altro che scontata. Con un’impronta da colonna sonora, che rafforza ancor più l’idea di base al progetto, nel jazz fluiscono le sonorità più disparate: si passa in tal modo da un’impostazione da banda ad una fanfara; da motivi anni ’20 e atmosfere decadenti a danze scatenate.

Ed è per questa varietà che Guidi sceglie di farsi accompagnare da musicisti attivi in diversi ambiti; dal jazz alla musica contemporanea:  Mauro Ottolini (trombone, bombardino), Giovanni Maier(contrabbasso), João Lobo (batteria), Michele Rabbia (percussioni), Fulvio SigurtàMirco Rubegni (tromba e flicorno), Daniele Tittarelli (sax contralto e soprano), Dan Kinzelman (tenore, clarinetto e clarinetto basso), David Brutti (sax baritono e basso).

Ancor prima che i musicisti salgano sul palco abbiamo la certezza, dalla disposizione degli strumenti, che a dominare la scena saranno i fiati. Ed infatti il nostro intuito non ci tradisce! Sono proprio loro a dare personalità ad ogni brano. Giocano letteralmente con la musica, ammaliando il pubblico con i loro virtuosismi e la loro versatilità. Ma ciò che più fa piacere scoprire, è che stasera a raccontarci la storia saranno dieci giovanissimi musicisti (definiti tra i dieci più interessanti talenti dello scenario musicale italiano), che nelle loro t-shirt colorate e nei loro jeans, nulla hanno a che vedere con la convenzionale compostezza del jazz.

I brani sembrano avere una scansione “vitale”, dove il predominare degli strumenti a fiato narra l’eroismo delle gesta di questi uomini e donne. Gli assoli al pianoforte di Guidi, come sempre appassionanti, ben ne descrivono il dramma. E l’intenso crescendo musicale, rende perfettamente l’incalzare degli eventi.

Quando la tensione scende, i fiati in prima fila al centro, calano anch’essi letteralmente, creando così un’involontaria coreografia.

In questo modo il concerto tocca punte di estremo divertimento, in cui i suoni sono esplosivi e trascinanti e di velata malinconia, dove a farla da padrone è il pianoforte che, un po’ in disparte in altri momenti, non si risparmia affatto in questi casi, lasciandoci addosso una forte emozione.

Ancora: quasi volesse far rivivere l’Uomo in carne ed ossa davanti a noi, Michele Rabbia si cimenta nella fine costruzione di “rumori” con le sue percussioni e con oggetti innalzati a strumenti per l’occasione: come l’utilizzo della carta argentata. Rievocandone i passi, i gesti, le azioni.

Alla fine noi siamo estasiati e loro stanchi e senza respiro, ma ci regalano comunque uno stoico bis!

Serena Marincolo

foto di Davide Susa

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Wayne Shorter all’Auditorium: anteprima del Roma Jazz Festival

Il 17 ottobre all’Auditorium Parco della Musica di Roma, ultima tappa italiana del tour europeo del grande sassofonista americano Wayne Shorter in quartetto. L’anteprima della trentacinquesima edizione del Roma Jazz Festival (8-30 novembre 2011) è affidata alle note del talentuoso Shorter, una fra le più importanti personalità musicali dei nostri tempi. Il sassofonista ha suonato dal 1964 al 1970 nel quintetto di Miles Davis, contribuendo a capolavori come “ESP” e “Footprints”. Nel 1970, insieme a Joe Zawinul e Miroslav Vitous, forma i Weather Report, uno dei gruppi storici della fusion e del jazz-rock. Dopo l’uscita dai Weather Report nel 1985, la sua produzione da solista vanta collaborazioni importanti in campo pop-rock (Rolling Stones, Joni Mitchell) ed in ambito jazz, con Herbie Hancock (in “Gershwin’s world”, 1998, e e nei Future 2 Future). Nel 2002, dopo quasi cinquant’anni di attività e collaborazioni con i maggior musicisti della scena mondiale, Shorter riesce a formare un suo quartetto il Wayne Shorter Quartet.

17 Ottobre (anteprima)

Sala S.Cecilia ore 21,00

WAYNE SHORTER QUARTET

Wayne Shorter,  sassofoni

Danilo Perez, pianoforte

John Patitucci, contrabasso

Brian Blade, batteria

Ingresso Platea € 30 – Gallerie € 25 ed € 20

Info: 892982

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Steven Bernstein e Riccardo Fassi presentano il nuovo progetto in duo all'Auditorium

  • Pubblicato in Pagina News

 

Un nuovissimo progetto all'Auditorium Parco della Musica: Steven Bernstein, uno dei più originali e creativi trombettisti internazionali, insieme a Riccardo Fassi, tra i più brillanti e interessanti pianisti italiani. Martedì 12 maggio alle ore 21 sul palco del Teatro Studio Borgna interpreteranno in duo le loro composizioni accanto a brani tratti dai più disparati ambiti musicali, omaggiando grandi artisti come Duke Ellington e Nino Rota riarrangiati in chiave del tutto unitaria e originale. Compositore e arrangiatore personalissimo, Steven Bernstein ha collaborato con Ryuichi Sakamoto, Linda Ronstadt, Sting, Marianne Faithfull, Don Byron, Joe Lovano, John Medesky, Lounge Lizard, David Fatha Newman e James Carter creando progetti personalissimi. Molto attivo anche in ambito cinematografico, ha composto la colonna sonora del film di Robert Altman"Kansas City". Riccardo Fassi, noto per la collaborazione con il leggendario Roswell Rudd e per il grande lavoro svolto come compositore e arrangiatore con la nota Tankio Band, di cui è leader da oltre venti anni. Negli anni si è distinto per l'originalità dei suoi progetti, a fianco di grandi maestri del jazz e della musica improvvisata tra cui Steve Lacy, Gary Smulyan, Adam Nussbaum, Jim Rotondi, Dave Binney, Enrico Rava, Antonello Salis, Alex Sipiagin.

Biglietti:

Posto unico 15.00€

 

Biglietteria 892982 (Clicca e visualizza i costi del servizio)

 

Riduzioni: Parco della Musica Card, giovani fino a 26 anni, over 65 anni, American Express, Carta Per Due, Interclub, ACI, Bibliocard, Carta Giovani, Arion Card, CTS e cral convenzionati

 

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Roma Jazz Festival: di scena Fabrizio Bosso, Julian Mazzariello, Massimo Popolizio

Giovedì 31 ottobre nuovo appuntamento al Roma Jazz Festival che si sta svolgendo all’Auditorium Parco della Musica con lo spettacolo Come se avessi le ali. Le memorie perdute è il titolo del diario di una vita scritto da Chet Baker, ritrovato dieci anni dopo la morte del “James Dean” dei musicisti, progenitore del cool jazz che Fabrizio Bosso, Julian Mazzariello e Massimo Popoliziointerpretano e rileggono. Bosso è artista dalla tecnica impeccabile, dalla grafia personale, con un originale senso dello swing spinto agli eccessi, e quindi la tensione creativa è costante anche quando interpreta gli standard. Il pianista italo/inglese Julian Oliver Mazzariello oltre alla musica jazz, fa parte del quartetto di Stefano Di Battista, frequenta anche il mondo della canzone d’autore e tra le sue ultime collaborazioni c’è quella con Lucio Dalla. Massimo Popolizio, apprezzato attore di teatro reso famoso poi da Romanzo Criminale, Il Divo e Mio fratello è figlio unico, legge le pagine del diario di Chet Baker.

Giovedì  31/10/2013
Sala Sinopoli, ore 21

Fabrizio Bosso, Posto unico: 15.00 euro  Mazzariello, Massimo Popolizio
“Shadows: le memorie perdute di Chet Baker”

Formazione

Fabrizio Bosso tromba
Julian Mazzariello 
pianoforte, batteria
Massimo Popolizio voce recitante

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Roma Jazz Festival: uno sperttacolo con Amiri Baraka

Uno spettacolo sui generis, quello di questa sera, lunedì 28 ottobre, all’Auditorium Parco della Musica con Amiri Baraka, personaggio eclettico che dagli anni cinquanta è considerato uno dei maggiori poeti e intellettuali afroamericani del secondo Novecento. Dopo un apprendistato tra le fila della bohème beat del Greenwich Village, firma con lo pseudonimo di LeRoi Jones Blues People, pubblicato nel 1963. Fino ad oggi LeRoi Jones/Amiri Baraka pubblica raccolte di poesia, inciso numerosi dischi, scritto testi teatrali e diverse opere-jazz, otto volumi di saggi, almeno un paio di romanzi, vari racconti e, in qualità di performer, ha collaborato con i maggiori jazzisti americani. Poeta, narratore, scrittore di teatro, saggista, critico musicale, editore e attivista politico: questi sono i volti di Amiri Baraka/LeRoi Jones. La sua poesia, partita con obiettivi puramente estetici, è andata via via riflettendo le sue scelte politiche, mettendo in questione il ruolo dell’arte e dell’artista. Per l’occasione saliranno sul palcoscenico della sala Petrassi René Mc Lean al sassofono contralto,  D.D. Jackson al pianoforte, William Parker al contrabbasso  e Pheeroan akLaff alla batteria.

Lunedì  28/10/2013
Sala Petrassi, ore 21

Amiri Baraka Word Music

Un evento di 
Roma Jazz Festival 2013 “Speech” 

Biglietti:
Posto unico: 20.00 euro

René Mc Lean saxofono contralto
D.D. Jackson 
pianoforte
William Parker 
contrabbasso
Pheeroan akLaff 
batteria

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Roma Jazz Festival: Roy Paci CorLeone di scena con Carlo Lucarelli

Appuntamento da non perdere per questa sera, sabato 26 ottobre, all’Auditorium Parco della Musica, nell’ambito del Roma Jazz Festival, con CorLeone, uno dei molti progetti di Roy Paci, che vede coinvolti musicisti provenienti da diversi ambiti musicale con l’obiettivo di ottenere un impasto sonoro non etichettabile. Le composizioni hanno volutamente un respiro universale grazie alle diverse tecniche d’improvvisazione non necessariamente jazzistiche. Insieme a lui di scena anche Carlo Lucarelli che ha esordito nel ’90 con il giallo Carta Bianca e che oggi è un acclamato autore di una lunga serie di noir a sfondo poliziesco, genere per il quale è conosciuto anche all’estero. E’ anche un noto conduttore televisivo e uno dei più brillanti esempi di giornalismo investigativo italiano.

Roy Paci CorLeone, Carlo Lucarelli
“Le cose non sono mai come sembrano”

Sabato  26/10/2013
Sala Petrassi, ore 21

Formazione

Roy Paci tromba
Andrea Vadrucci 
batteria
Guglielmo Pagnozzi 
sax contralto
Alberto Turra chitarre
John Lui 
programming, chitarra
Marco Motta 
sax baritono
Carlo Lucarelli 
voce recitante

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