Jazz Agenda

Stefano Carbonelli racconta il disco Morphé: “un percorso personale di ricerca, passione e studio”

Pubblicato dall’etichetta Cam Jazz Morphé è il secondo album che porta la firma del chitarrista Stefano Carbonelli. Un progetto trasversale che unisce la musica da camera, con momenti carichi di groove che spesso si miscelano con il rock, altre volte danno vita a momenti di improvvisazione pure. Completano la formazione Daniele Tittarelli al sax, Riccardo Gambatesa alla batteria e Matteo Bortone al basso. Stefano Carbonelli ci ha raccontato questa avventura:

Morphé - ci spiega - è un album di note scritte e qualche improvvisazione. La musica è stata composta o riadattata per la formazione del quartetto a mio nome, che in questo disco fa uso di sax contralto, chitarra elettrica e classica, basso elettrico e semiacustico, contrabbasso e batteria. Secondo disco per il gruppo, prima uscita insieme alla casa discografica CAM JAZZ che ci ha prodotto. Se si vuole incanalare l’opera in un genere bisogna notare che coesistono, a mio giudizio in modo riuscito, momenti contrappuntistici o da camera (in un certo senso in scia con Bach, Hindemith, Bartok…) con altri più groovosi e all’estremo molto rock, anche metal. Accomunano tutte le composizioni, compresa quella di Matteo, un’incessante metamorfosi delle stesse, che non raggiungono mai un delineamento compiuto. Questo è il manifesto nella prima traccia, la Title Track, mutevole e densa di idee in meno di due minuti. Da lì si parte per un percorso di brani i cui nomi omaggiano le personalità di Gould, Kafka, Gnap, “Car A V…” e Bongard (il cui consigliato libro “Pattern Recognition” di 100 indovinelli illustrati è particolarmente in tema con la ricerca e il senso della forma).”

Un percorso interiore e personale e tanto lavoro con la band. Stefano Carbonelli ci spiega anche il percorso che ha portato alla nascita del disco:

 “C’è alla base un percorso personale di ricerca, passione, studio analitico della musica. D’altra parte senza l’impegno dei miei colleghi il disco sarebbe rimasto sulla carta, anzi alcuni brani non sarebbero stati proprio composti. Il gruppo esiste stabile dal 2014, anno in cui abbiamo registrato il primo album ‘Ravens like Desks’. Da allora l’affiatamento è stato crescente e ho subito avuto come obiettivo una seconda uscita. Per il repertorio ho unito i due brani vecchi inediti ‘Morphé’ e ‘Kafka’ al recente ‘Stalattiti’, terminato di scrivere per l’occasione i due brani ‘Arrgh’ e ‘Gnap’ e composto dal principio ‘Glenn’. Il lavoro di scrittura è quello che ha caratterizzato di più il lavoro finito: c’è un’alta percentuale di musica scritta per un disco di jazz e le improvvisazioni sono spesso intese come parti non fondamentali del disegno complessivo. Durante le numerose prove iniziate nella primavera 2016 si è aggiunto il brano e ‘Bongard #101’ – presente in due tracce separate chiamate L e R –  e ‘Car A Vudge Joe’ di Matteo. Di lì a quasi un anno abbiamo avuto la fortuna di essere portati in studio dalla CAM JAZZ, nel marzo 2017 a Udine, dove abbiamo finalmente inciso Morphé.”

Cosa rappresenta invece Morphé per Stefano Carbonelli? Rispondendo a questa domanda il chitarrista ci mostra anche la sua visione della musica…

Non so per gli altri ma penso di poter rispondere che la musica di Morphé non è descrittiva e non ha l’intenzione neppure nascosta di rappresentare un’esperienza, un evento o un oggetto. Il mio parere è che ci si possa disinteressare di usare la musica come metalinguaggio, senza che questa manchi dell’elemento per il quale viene percepita come una cosa bella e funzionante. Detto altrimenti se la musica è piacevole lo è di per sé e non perché rappresenta una cosa: indirettamente l’ascolto delle note richiama delle sensazioni – soggettive – e questo è sufficiente. A mio parere, ipotizzo universalmente, l’ispirazione nella composizione o nell’improvvisazione nasce da meccanismi inconsci (che permettono la ‘spontaneità’) per cui reputo una forzatura cercare di descrivere altro con la musica: non che mi opponga all’uso ma potrebbe anche darsi che quello che si voleva descrivere (se non reso esplicito) non venga minimamente colto e tuttavia ciò non implicherebbe che la musica appaia deficiente. Il punto è che c’è una differenza abissale con un testo scritto o una raffigurazione, infatti la musica senza parole funziona lo stesso ed appassiona una percentuale di persone – non è rilevante quante persone se ne accorgano bensì il loro grado di appassionamento. Lascio al pubblico nove tracce a cui abbandonarsi e in cui scovare forme da analizzare in base ai criteri che preferisce ma sapendo che secondo l’autore la musica rappresenta se stessa.”

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Live Report: Odio l’estate – da Brescia alla Finlandia

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Odio l’estate nasce come festival giovane, dai musicisti alla direzione artistica, al di fuori delle location più in voga della capitale (si tiene a Villa Carpegna), con la promessa di essere vincente. Ad aprire la rassegna due serate dedicate all’etichetta discografica CAM jazz, con la quale giovedì 7 luglio Fulvio Sigurtà ha presentato il suo ultimo disco House of Cards. L’aria che si respira nella pineta è sicuramente retrò; ci riporta alle estati da bambini, quando la sera si faceva la passeggiata sul lungo mare con tutta la famiglia e ci si fermava sempre in piazza o -appunto- in pineta a prendere un gelato! Le sedie sdraio sparse un po’ ovunque ancor più ce ne ricordano, e sicuramente fanno breccia nel cuore di molti. L’ambiente è raccolto intorno ai tavoli centrali, sui quali si affacciano, oltre al palco, alcuni stand e due chioschi. Più defilata e meno illuminata c’è quella che potrebbe sembrare una zona relax, con altre sdraio su cui la gente è assopita in attesa dell’inizio del concerto. E’ decisamente surreale la commistione tra giovani e cultori del genere, che si dividono gli spazi assieme a famiglie dall’aria “marina”, già inconsuete per Roma stessa. Eppure anche quei signori in bermuda e ciabatte osservano incuriositi i dischi esposti dalla Saint Louis, a fianco di indifferenti bohémien. 

Ai tavoli, oltre a fare molte chiacchiere davanti ad una birra o alla “Vaffancola” (fregio di italianità e controtendenza), si può cenare o farsi tentare dai dolci che ammiccano dalla vetrina del chiosco dei gelati. E’ in questa situazione fortemente popolare, che Sigurtà, assieme ad Achille Succi al sax,Federico Casagrande alla chitarra, Joe Rehmer al basso e Jonas Burgwinkel alla batteria, ci introduce al suo ultimo virtuosismo. Il concerto spazia molto nelle sonorità afro, lasciandosi andare alla fusion e a picchi di pura improvvisazione, con naturalezza e freschezza, senza ridondanze o ostentazioni. Del resto come rimanere delusi dalla “tromba più felice tra le nuove generazioni“! A seguire i finlandesi che hanno fatto innamorare di sé mezza Europa. I Sun Trio (Olavi Louhivuori – batteria, Antti Lötjönen – basso, Kalevi Louhivuori – tromba) tornano, dopo l’esordio con il disco Time Is Now, con un nuovo lavoro: Dream Are True. Dalle trame variegate e affascinanti in piena tradizione scandinava, con spolverate di elettronica, sapienti e mai sopra le righe, che conferiscono colori unici alla tela variopinta e sorprendente di questo gruppo cosmopolita.

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

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Squaring The Circle: il nuovo album di Claudio Filippini

  • Pubblicato in Pagina News

 

Il pianista Claudio Filippini ha pubblicato il 19 maggio 2015 per la Cam Jazz un nuovo album in studio festeggiando così i 10 anni del sodalizio artistico con il suo trio, composto dal contrabbassista Luca Bulgarelli e dal batterista Marcello di Leonardo. Conclusa l’esperienza “nordica” accanto a Palle Danielsson nei suoi due album precedenti, Filippini torna nuovamente sulla scena musicale incastonando una nuova perla discografica. Squaring The Circle è, mai come in questo caso, nomen omen: la quadratura del cerchio nella carriera del pianista abruzzese, che con questo disco dimostra di aver raggiunto quella maturità artistica capace di renderlo uno degli interpreti più raffinati del panorama jazz.

In quasi tutte le lingue del mondo - spiega Filippini - si usa lo stesso termine per definire i verbi suonare e giocare. Mi sembra che in questo disco questi due elementi si siano fusi perfettamente per la spontaneità con la quale sono nate queste nostre reinterpetazioni di classici del songbook americano. L’album è il frutto della rilettura di numerosi standard scelti e interpretati dando, di volta in volta, un punto di vista differente. Dopo aver registrato in soli tre giorni di session circa 50 brani pescati in modo casuale da quello scrigno sconfinato che è il repertorio jazz statunitense, il trio di Filippini ha scelto di farne un album selezionando le tracce che potessero costituire terreno fertile sul quale costruire storie personali grazie all’improvvisazione e che, soprattutto, lasciassero trasparire il loro modo di giocare con le note.

Il risultato è un album ricco di sfumature e di suggestioni, nel quale ad emergere è la straordinaria armonia tra i musicisti che, accanto alla padronanza indiscussa dei propri strumenti lasciano trasparire quell’anima ludica e leggera che è così raro scorgere in produzioni di questo tipo. Se a tratti Filippini si diletta a stravolgere l’armonia e a cambiare radicalmente i brani (come avviene in Impression) in altri casi le composizioni restano immutate, sebbene colpiscano per l’urgenza istintiva con la quale vengono interpretate (Autumn Leaves, Jitteburg Waltz). Non mancano episodi dal sapore più classico (I Didn’t Know What Time It Was) alternati a brani impreziositi da un uso sapiente dell’elettronica (Round Midnight, Stolen Moments).

La bellezza degli arrangiamenti di Filippini e il tocco inconfondibile del suo pianismo sofisticato fanno di questo album, interamente composto da standard, una gemma senza tempo per l’eleganza immutabile dei brani proposti. Un duplice lavoro il suo, a cavallo fra tradizione e innovazione: se da un lato si riallaccia ai classici, dall’altro inserisce riferimenti alla musica elettronica e alla psichedelia. Un lavoro mirabile, curato fin nei minimi dettagli eppure dotato di un’immediatezza e di una freschezza restituite appieno da un eccellente interplay tra i musicisti.

 

Tracklist

Impressions (J. Coltrane) 5:53

Autumn Leaves (F. Prévert – J. Kosma) 4:55

‘Round Midnight (B. Hanighen – T. Monk – C. Williams) 7:59

I Don’t Know What Time It Was (L. Hart – R. Rodgers) 4:32

Moon River (J. Mercer – H. Mancini) 5:19

Stolen Moments (O. Nelson) 4:00

Jitterburg Waltz (F. Waller) 6:09

A Night In Tunisia (D. Gillespie) 6:15

What A Wonderful World (B. Thiele – G. D. Weiss) 7:06

[52:47]

 

Formazione

Claudio Filippini, piano & keywords

Luca Bulgarelli, bass

Marcello Di Leonardo, drums

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Scott Colley – Empire – una recensione

Scott Colley non ha di certo bisogno di presentazioni. Navigato contrabbassista dall’esperienza pluridecennale ha collaborato come side man con artisti del calibro Herbie Hancock, Jim Hall, Andrew Hill, Michael Brecker, Chris Potter e Pat Metheny. Un curriculum d’eccezione che lo fa figurare sicuramente fra i grandi nomi del jazz americano ed internazionale e che lo vede partecipare a più di 100 registrazioni in altrettanti progetti. Il suo ultimo lavoro da leader, pubblicato da Cam Jazznel 2010, si intitola Empire e vi partecipano musicisti comeRalph Alessi (tromba), Brian Blade (batteria), Bill Frisell (chitarra elettrica) e Craig Taborn(Piano). Un lavoro pregevole in cui la commistione dei singoli elementi genera un piacevole stato di tensione capace di ipnotizzare l’ascoltatore.

Quindi, senza troppi giochi di parole, la prima cosa che possiamo dire dopo aver ascoltato questo CD è che Scott Colley la voglia di sperimentare ce l’ha davvero nel sangue. E non lo diciamo soltanto perché questa è la costante invariabile di questo lavoro, ma soprattutto perché il risultato è qualcosa di veramente sorprendente e di unico. L’insieme armonico che accompagna melodie semplici ed orecchiabili dà, infatti, quella marcia in più ad un disco che senza quell’alchimia di gruppo non sarebbe sicuramente lo stesso. E sono proprio le dissonanze, gli accordi lasciati in sospeso, una punta impercettibile di psichedelia a rendere questo lavoro unico e accattivante. E di conseguenza non è soltanto l’estro dei singoli ad uscire fuori, ma il lavoro d’insieme che, unito ad uno spiccato utilizzo di dissonanze, aggiunge quell’alchimia necessaria alla riuscita di un lavoro che potremmo facilmente paragonare, tanto per fare un esempio, ad un quadro futuristico d’avanguardia.

Il Cd si apre con “January”, un brano anch’esso dalle sonorità dissonanti che comincia in modo quasi sospeso e che prosegue con una melodia sempre più nitida. Ma l’anima sperimentale di Colley è visibile in quasi tutti i brani di Empire a partire proprio dal secondo: “The Gettin Place” dove, insieme alle dissonanze, spicca une perfetta pulizia del suono che, unita a cambi di tempo e di stile, fa davvero la differenza. C’è lo spazio anche per melodie più dolci e per così dire, più nitide, come “For Sophia”, terza track, e “5:30 A.M”, brano che ci ricorda quella confusione tipica delle ore mattutine, quando tutti fanno fatica a carburare. Insomma, quello che ci teniamo a sottolineare è che Scott Colley ha sicuramente costruito Empire con un filo conduttore ben preciso e distinguibile. Quindi, vi consigliamo vivamente di ascoltare questo CD con un buon impianto che sicuramente vi darà modo di distinguere i colori e le sfaccettature che lo compongono.

Carlo Cammarella

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Oregon, In Stride – una recensione

Se parliamo degli Oregon, la prima cosa che ci viene da dire è che questo gruppo, capace di miscelare il jazz con il pop e la world music, rappresenta per molti amanti del jazz uno spaccato di storia. Con questo nome sono attivi dal 1970, anche se i tre membri storici del gruppo, Paul McCandless,Ralph Towner e Glen Moore avevano cominciato a suonare ben prima, quando andavano all’università dell’Oregon. Ora di acqua sotto i ponti per loro ne è passata davvero tanta e dopo la morte del percussionista Callin Walkat ed una parentesi abbastanza lunga con Trilok Gurtu, i tre membri rimanenti hanno trovato già da tempo un nuovo batterista/percussionista in Mark Walker (con loro dal 1996) che è presente nell’ultimo lavoro firmato Oregon, intitolato “In Stride”. Una cosa ve la diciamo subito, se pensato che questi ragazzi forse un po’ troppo cresciuti abbiano perso lo smalto di un tempo, allora vi sbagliate di grosso, perché questo ultimo disco, pubblicato dall’etichetta Cam Jazz, stupisce ancora per la freschezza e per l’originale miscela di suoni che da sempre hanno caratterizzato la loro musica.

Una delle loro caratteristiche principali, infatti, è quella di essere tutti dei polistrumentisti che all’occorrenza, per una data musica, sanno usare con maestria lo strumento più adeguato. E da questa miscela iniziale nascono melodie colte, sublimi e molto articolate che, per non si sa quale recondito motivo, risultano semplici anche per un orecchio profano. Quindi, la caratteristica principale degli Oregon, che è quella di non dare punti di riferimento, in questo ultimo disco la troviamo ancora una volta, come se per loro il tempo non fosse mai passato, ma si fosse fermato per dargli il dono di scrivere sempre qualcosa di innovativo. L’aria di contaminazione, che da quando sono insieme non li ha mai abbandonati, la ritroviamo soprattutto nei brani “As she sleeps”, “Nação” e “On the rise”, dove spicca quella commistione di Jazz con sonorità etniche, ma anche pop, caratterizzate sempre da una melodia semplice che ben si sviluppa grazie all’utilizzo di quello strumento giusto che, messo nel posto giusto, fa sempre la differenza.

Ma limitare la musica degli Oregon ad una semplice contaminazione forse sarebbe troppo riduttivo, perché in ogni loro brano, ciò che salta subito alla mente di chi ascolta è che c’è qualcosa di più, qualcosa di inafferrabile e di astratto che rende le loro composizioni delle forme geometriche perfette, sublimi, articolate e allo stesso tempo semplici ed orecchiabili. E questo spirito di astrazione spicca ancora di più in brani come “Glacial Blue”, di solo pianoforte, e “Aeolus”, dove si percepisce bene quella forte componente di sperimentazione che raggiunge orizzonti nuovi e sonorità del tutto originali. Senza togliere, però, un velato richiamo al Cool Jazz che ritroviamo in “Summer’s End”, composizione triste e malinconica ricorda proprio la fine di una bella stagione. E forse questa componente di velata tristezza, di piacevole malinconia, di distacco dal mondo terreno rappresenta il filo conduttore di un lavoro fatto con cura, con un missaggio veramente perfetto, che per quasi un’ora ci ha fatto venire voglia di sederci su un bel divano, ascoltando una musica che vale proprio la pena di essere ascoltata.

Carlo Cammarella

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The Sky Above Braddock di Mauro Ottolini – una recensione

Facciamo per un attimo un salto temporale e trasferiamoci con la mente a Pittsburgh in Pennsylvania. Proprio nella periferia di questo centro urbano, uno dei più importanti di questo stato, è situato un quartiere chiamato Braddock, un nome che forse non vi dirà niente, ma che comunque ha avuto una storia degna di essere raccontata. Se pensate, infatti, che l’economia di questa cittadina si basava sull’esistenza di un’acciaieria, capirete bene come la città, dopo il fallimento dell’industria siderurgica nel ’50, si sia trasformata in un vero e proprio deserto. Poi, se a questo aggiungiamo che negli anni ’80 il crack ci ha messo, per così dire, il carico da novanta, allora il gioco è fatto ed ecco che Braddock diventa una specie di città fantasma. Una brutta storia, un’epopea del declino, un esodo infernale che qualcuno, però, armato di tanta passione, ha voluto raccontare a suon di note. Unico intento, quello di far rivivere le situazioni e le atmosfere legate ad un periodo, ad un luogo, ad un’epoca che, forse, alla musica hanno dato veramente tanto. E così è nato “The Sky Above Braddock”, un lavoro discografico ideato da Mauro Ottolini, trombonista, e pubblicato da Cam Jazz, che ripercorre in un modo del tutto originale la storia di una cittadina che il tempo ha coperto di polvere forse con troppa cattiveria.

Allegria, tristezza, inventiva e sperimentazione convivono in un lavoro decisamente multiforme in cui le diverse voci di un’epoca parlano attraverso le note di un trombone, di un piano, di un clarinetto, di un sax, di una fisarmonica e, perché no, anche di una batteria che nella seconda track, “Workin man blues”, ci è sembrata somigliare un po’ al suono di un martello utilizzato da un operaio degli anni ‘50. Ma questo è soltanto un piccolo dettaglio, perché l’anima di “The Sky above Braddock” è fatta di tradizione, ma anche di sperimentazione, di suoni distorti, dei lamenti di un popolo alle prese con una crisi che ne ha decretato l’esodo.

La track 3, infatti, “Mayor John”, dedicata al sindaco John Letterman (che a far rinascere la città ce la sta mettendo proprio tutta) sembra quasi un lamento, un sussulto di immagini sfocate che si trasforma in uno strillo di rabbia disegnato da un imponente solo distorto. Magari, chissà? Quando Mauro Ottolini ha arrangiato questa canzone stava pensando proprio a Mayor John, mentre tenta di rimettere in sesto i pezzi di un puzzle ormai andati perduti, oppure al prefisso della Pennsylvania, 6-5000, (titolo di un’altra track) che questo stravagante personaggio ha tatuato sul braccio. E poi c’è anche un brano dedicato a Vicky Vargo, la bibliotecaria, che anche lei ostacola la decadenza della città. Una melodia dolce, accesa di tanto in tanto dal caldo suono di una fisarmonica, che ci fa immaginare una signora armata di occhiali e calamaio seduta nel suo studio a studiare l’anima della sua città.

Ma quello che colpisce in questo lavoro è l’insieme. 8 membri con tre special guestes che riempiono tutti gli spazi vuoti. Chiaramente se parliamo di Mauro Ottoilini, si capisce bene che i fiati avranno un ruolo preponderante, ma gli altri strumenti come il piano, la chitarra e persino la fisarmonica trovano un loro spazio all’interno di una sperimentazione continua che genera una specie di piacevole disordine ben organizzato. Attraverso tutti questi strumenti musicali, Braddock acquista un’altra anima, un’altra voce, riemerge dal passato e fa parlare di sé come se fosse un libro scritto dal suono degli strumenti. Un vero gioiello che coniuga tradizione e sperimentazione e che ci ha fatto veramente venire voglia di aprire un libro per leggere le vicende e i personaggi legati a questo piccolo spaccato di storia.

Carlo Cammarella

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Scelti per voi: Flying Horses, estratto dal disco “The Enchanted Garden” di Claudio Filippini

Claudio Filippini è un giovane pianista originario dell’Abruzzo che ha dalla sua parte un talento fuori dal comune e una spiccata maturità artistica del tutto atipica per i ragazzi della sua età. Il suo ultimo lavoro da studio, The Enchanted Garden, pubblicato da Cam Jazz, è la dimostrazione tangibile di quanto abbiamo appena detto, non solo per le capacità tecniche di questo giovane pianista, ma anche per l’eleganza e l’intelligenza con cui vengono proposti brani diversi tra loro, ma simili per approccio e visione. Pertanto vi proponiamo l’ascolto del brano Flying Horses, estratto dal disco The Enchanted Garden, al quale hanno preso parte Luca Bulgarelli al basso e Marcello di Leonardo. Ne rimarrete sicuramente colpiti, quanto lo siamo stati noi.

 

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Giovanni Tommaso presenta Basso Profilo a Braschi Jazz

Sabato 8 ottobre, per la rassegna “Braschi in Jazz”, lo straordinario trio del contrabbassistaGiovanni Tommaso con Gabriele Mirabassi al clarinetto e Simone Zanchini alla fisarmonica, presenterà in anteprima il cd “Basso Profilo”, realizzato per Cam Jazz. Che Giovanni Tommaso sia uno dei personaggi più importanti della storia del jazz Italiano è cosa nota che non merita ulteriori approfondimenti. Quanto il fatto che oggi come ieri si confermi come un curioso, sensibile e sorprendente artista, ma questo nuovo “Basso profilo” arriva dritto al cuore, come uno dei lavori più intriganti che il contrabbassista toscano abbia mai firmato. Insieme a due talenti unici come quello del clarinettista Gabriele Mirabassi e del fisarmonicista Simone Zanchini, Tommaso si muove nei territori dell’improvvisazione, della melodia e della cantabilità, in un viaggio che esalta completamente le sue doti di compositore. «Il nome di questo progetto – racconta lo stesso Tommaso – non è solo un’allusione al fatto che io suoni il basso, e che l’amico Gabriele si chiami Mirabassi. È anche un “atteggiamento” musicale che parte dal basso, senza porsi vincoli o condizionamenti stilistici.

Non a caso andiamo da un brano di impostazione contemporanea a una mazurka, se pur riletta in maniera personale. Insomma, con questo trio proponiamo un repertorio che ho scritto in totale libertà e disinibizione, ispirandomi anche a ricordi adolescenziali. Fortunatamente ho trovato Gabriele e Simone che mi hanno subito assecondato. Il loro talento e creatività hanno reso tutto molto spontaneo, senza di loro non sarebbe stata la stessa cosa». È effettivamente un piacere unico il gioco a tre che si crea tra questi artisti sempre sorprendenti che spaziano tra stili, generi e suggestioni con una semplicità che stupisce e sorprende traccia dopo traccia. Una gamma di colori e umori, quelli che danno vita a questo nuovo lavoro targato CAMJazz, che rende questo album uno dei più belli degli ultimi tempi.

Museo di Roma- Palazzo Braschi, cortile (in caso di pioggia, androne al coperto)
Piazza Navona 2

ore 21.00 concerto – ore 22.00 visita guidata

Sbigliettamento dalle ore 20.00 fino ad esaurimento posti
Biglietto integrato concerto e visita guidata al Museo di Roma: € 10; solo concerto: € 8.

Info: 060608

Evento a cura di “èarrivatoGodot”.

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Life Variations: il nuovo progetto di Enrico Zanisi pubblicato da Cam Jazz

Succede ancora, forse solo nel jazz. La storia del giovanissimo pianista Enrico Zanisi appartiene a quella letteratura musicale che racconta in maniera universale il talento, gli incontri e le occasioni non perse dell’artista che non rinuncia ai suoi sogni. Dopo una serie innumerevole di concerti e gigs nei piccoli locali della capitale, Enrico viene inizialmente notato da un giornalista che, forte del talento provato, decide di presentarlo a un discografico. Nel giro di un anno, Enrico Zanisi, classe 1990, da alla luce Life Variations, progetto in trio uscito il 9 settembre 2012 per la Cam Jazz. Il titolo fa riferimento proprio ai cambiamenti vitali, a quelle inaspettate quanto sorprendenti variazioni di vita. Tutto funziona, nella musica che Enrico ha pensato per questo suo nuovo album nel quale si fa accompagnare da Joe Rehmer al contrabbasso e Alessandro Paternesi alla batteria. Uno strano florilegio di idee, tante, copiose, con una varietà anch’essa insolita: la riproposizione di In the wee small hours of the morning e dieci composizioni originali, scritte con quella gioiosa, irrefrenabile leggerezza che appartiene a quei rari, fortunati artisti per cui creare è un fatto naturale, come bere, mangiare: uno stato di grazia, per l’appunto. Una musica che dà un ritmo diverso al nostro cuore.

Enrico Zanisi ha una scrittura che sa farsi riconoscere senza gli ornamenti di chi cerca visibilità ora e una collocazione indiscussa per sempre. Scrive di quello che conosce in prima persona. Certe asperità iniziali cedono il passo a una calligrafia decisa, essenziale, che sta pian piano scivolando verso un modo di comporre elementare, al modo dei grandi e non degli ignari. Presto si capisce che il personaggio non è convenzionale: di questi tempi titolare un disco a una vocazione di romanticismo risulta strano, a dir poco controcorrente. Enrico Zanisi, a cui piace nuotare in direzione opposta, si spinge nel panorama segreto della sua interiorità attraverso esplorazioni dai contorni ora ascetici ora persino spirituali: gioca in un ambito in cui il romanticismo regna sovrano. In realtà tutto è lo specchio del suo modo di suonare il pianoforte e di concepire la musica. ll pianista da bambino suonava classico, si è laureato con lode al conservatorio de L’Aquila, una specie a rischio di estinzione. A quindici ha incrociato il jazz e, poco dopo, si è mostrato in pubblico, lasciando subito presagire un gran futuro. Un futuro fatto di sublimi istanti di poesia, momenti licenziosi e ironici. Che lui non si vergogna a far emergere sotto il pentagramma allestito per riempire questo Life Variations. Enrico Zanisi si è esibito in piano solo il 10 agosto 2012 al Festival Internazionale Time In Jazz di Berchidda (dir. Artistico Paolo Fresu). Life Variations è il suo secondo album, nel 2009 ha pubblicato il suo esordio discografico Quasi troppo serio assieme al contrabbassista Pietro Cincaglini e al batterista Ettore Fioravanti.

FORMAZIONE

Enrico Zanisi: piano

Joe Rehmer: contrabbasso

Alessandro Paternesi: batteria

TRACCE

Life variations

The artisan

Lied

Spread

Inno

Il popolo sovrano

Carosello/Troppo scuro

Piciula song

Aufklarung

The fable of Mr. Low

In the wee small hours of the morning

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Torna ‘Odio l’estate’ a Villa Carpegna

Torna nello straordinario parco di Villa Carpegna ODIO L’ESTATE, in una veste rinnovata, un mese di musica con oltre 50 concerti; sul palco nomi intriganti del jazz, del blues, della musica d’autore e popolare italiana e internazionale, una rassegna viva e innovativa, per la presenza di straordinari artisti da tutto il mondo, per le produzioni originali, per la qualità della proposta che dal jazz risale controcorrente fino alle tradizioni della tarantella, alla ricerca dell’istinto musicale in cui affondano le nostre radici. Per il coinvolgimento di oltre cento giovanissimi artisti, l’unica risorsa in grado di riqualificare il nostro Paese e sulla quale valga la pena di investire. Per l’organizzazione artistica del Festival, una squadra di menti giovani e fresche neanche quarantenni, diretta da Stefano Mastruzzi, tutti con una straordinaria esperienza alle spalle. Una direzione energica che ha il coraggio di sperimentare e di cambiare pelle ogni stagione, in una dialettica ricerca di nuovi mondi. Il Festival di Villa Carpegna “Odio l’Estate” realizzato con il sostegno dell’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico, è prodotto dall’Associazione Il Trattato del Capitano con l’immancabile e prezioso supporto del Saint Louis di Roma, una scuola con più di 1.800 allievi ogni anno che sforna i musicisti di oggi e di domani, è una manifestazione che ospita diverse rassegne: CAM JAZZ NIGHT: 6 e 7 luglio – I edizione ROMA TARANTELLA FESTIVAL: 8 e 9 luglio – II edizione ROMA JAZZ’S COOL: dal 10 al 18 luglio – VII edizione BLUES KNIGHTS: 20 e 21 luglio – I edizione ODIO L’ESTATE – parte prima dal 22 al 25 luglio UNA STRISCIA DI TERRA FECONDA: 26 – 30 luglio – XIV edizione ODIO L’ESTATE – parte seconda dal 31 luglio al 5 agosto. Odio l’Estate, offre ben 20 concerti gratuiti, dimostrando di svolgere una funzione di promozione sociale e culturale di spessore, in linea con i principi divulgativi che caratterizzano il Saint Louis College of Music, da 35 anni fra le più note realtà europee.

Anche quest’anno numerose sono le proposte di concerti originali, con artisti internazionali e musicisti italiani, in formazioni nuove e inusuali, nate e pensate appositamente per il Festival di Villa Carpegna:

Sheila Jordan con Enrico Zanisi Trio: un concerto che ha generato grandi aspettative per il contrasto generazionale fra l’ottantaduenne ben nota cantante di Detroit Sheila Jordan e il trio di un pianista poco più che ventenne, un talento precoce e geniale.

Carta bianca – Enrico Pieranunzi: in collaborazione con CAMJAZZ, tre serate dedicate al pianista romano più famoso nel mondo, in un duo straordinario con Danilo Perez, con il trio John Patitucci e Joe La Barbera e con un quintetto di star, Rosario Giuliani, Flavio Boltro, Dedè Ceccarelli, John Patitucci.

Lage Lund: un giovanissimo chitarrista d’avanguardia apprezzato in tutto il mondo con un altrettanto giovane quartetto italiano.

Rosario Giuliani in una formazione internazionale con Joe La Barbera, Roberto Tarenzi e Darryl Hall. E non poteva mancare fra le giovani proposte la straordinaria pianista Chihiro Yamanaka.

CAMJAZZ: L’etichetta jazz che si è sempre contraddistinta per la raffinatezza e la ricercatezza delle proprie produzioni, partner e sponsor tecnico del festival di Villa Carpegna, propone oltre alla carta bianca di Enrico Pieranunzi, due serate esclusive con le ultime produzioni di artisti d’avanguardia del jazz scandinavo e il quintetto del giovane Fulvio Sigurtà.

ROMA TARANTELLA FESTIVAL: a seguito dell’enorme riscontro di pubblico dello scorso anno, oltre 4000 persone in due giorni, Odio l’Estate ripropone una doppia serata con sei orchestre originali provenienti dalla Calabria e dalla Campania, con Mimmo Cavallaro & Taranproject feat. Bungaro e Carlo D’Angiò, Sciarabballo e molti altri e la direzione artistica di Eugenio Bennato.

BLUES KNIGHTS: il primo appuntamento con il Blues a Villa Carpegna, con il quintetto di Roberto Ciotti e la collaborazione internazionale del chitarrista Lello Panico con il cantante e autore Tollak.

GIOVANI ARTISTI: la grande forza promozionale attivata dal Saint Louis negli ultimi anni ha portato alla ribalta centinaia di musicisti, creando opportunità di lavoro e di carriera professionale. Oltre 120 i ragazzi coinvolti in apertura dei concerti e in alcuni casi anche al fianco di artisti affermati. In un contesto nazionale dove si ascoltano spesso gli stessi progetti che girano l’Italia, la musica dei giovani al Festival di Villa Carpegna costituisce un’importante occasione per il pubblico, per conoscere e apprezzare le nuove tendenze e le nuove voci della musica contemporanea. Le proposte di giovani talenti spaziano dal jazz alla canzone d’autore.

STRISCIA DI TERRA FECONDA: La quattordicesima edizione del Festival franco-italiano diretto da Paolo Damiani e da Armand Meignan, un esempio di prolifica e duratura collaborazione internazionale. Di altissimo livello la proposta artistica all’interno della quale anche la giovanissima e premiata contrabbassista Silvia Bolognesi e l’affascinante voce di Ludovica Manzo, cresciuta nelle fila del Saint Louis, ora al fianco di Paolo Damiani. Un totale di 5 doppi concerti, un gruppo francese e un gruppo italiano ogni sera, fra cui Antonello Salis, Danilo Rea, Dado Moroni.

ROCK&SOUL: Unica esibizione nel centro Italia per Frank McComb e il suo progetto “A new beginning”. Da notare il 3 agosto “Shining-il cineconcerto”, la proiezione del film di Kubrick con una colonna sonora riconcepita live in chiave rock dal gruppo Ranestrane del batterista Daniele Pomo. Odio l’Estate propone inoltre concerti di musica d’autore, con Filippo Tirincanti e Fabrizio Bosso e il giovanissimo Davide Di Lecce. E ancora Frankie & Canthina Band con la presentazione dell’ultimo lavoro discografico e una speciale serata dedicata agli artisti provenienti da Martelive in chiusura del Festival, il 5 agosto.

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