Jazz Agenda

Dario Chiazzolino racconta Red Cloud: “Scrissi quel pezzo dopo un insolito temporale primaverile!”

Un disco dal sapore internazionale, che racconta gli stati d’animo del cielo e che si caratterizza per un repertorio variegato, dal carattere evocativo ed emozionale. Si presenta così Red Cloud, disco che porta la firma di Dario Chiazzolino, talentuoso musicista italiano trapiantato a new York da diverso tempo. Un progetto che ha visto la partecipazione di Antonio Faraò al pianoforte, Dominique Di Piazza al basso e Manhu Roche alla batteria. E’ Dario Chiazzolino in persona a raccontarci la genesi, lo sviluppo e le contaminazioni presenti in questo lavoro.

Dario, per cominciare parliamo subito del tuo ultimo progetto Red Cloud attraverso il quale hai disegnato grazie alla tua chitarra i diversi stati d’animo del cielo. Ci vuoi raccontare il punto di partenza e in seguito lo sviluppo di questo progetto?

“Tutto nasce quando composi il brano Red Cloud. In quel momento non avevo ancora idea che avrei realizzato un intero album, né che avrebbe avuto questa featuring sugli umori del cielo. Red Cloud era solo una composizione, come tante altre che scrivo. La particolarità fu però che scrissi quel pezzo dopo un insolito temporale primaverile. Fui colpito dal colore stupendo delle nuvole dopo la tempesta. Il tramonto stava per sopraggiungere e l’orizzonte assumeva un colore rossastro. Era un panorama stupendo. Un ottimo spunto per dipingere un quadro, se ne fossi stato capace, ma di solito prediligo le note della mia chitarra. Le prime note di Red Cloud sgorgarono spontaneamente e con fluidità. Fu uno di quei brani composti di getto, senza pensarci troppo. Dopo averlo composto pensai dentro di me: “Che bello sarebbe scrivere dei brani che descrivano il cielo e tutti i suoi umori”. Red Cloud fu il primo della track list che oggi compone l’intero album.”

Quali sono state, quindi, le tue principali fonti di ispirazione che ti hanno permesso di portare alla luce il tuo ultimo disco Red Cloud?

“Principalmente è stata proprio l’idea di realizzare una musica che avesse una capacità descrittiva ed evocativa. Mi proponevo di creare un repertorio variegato; ogni pezzo doveva in qualche modo suscitare una diversa emozione. La rabbia contrapposta alla pace, elementi descritti rispettivamente da Storm e Placid Sky. La tensione e la serenità sonorizzate da Lightning e Twelve Colors. Il crepuscolo misterioso e tenebroso interrotto dalla luce paradisiaca dell’alba, in riferimento alle   composizione Twilight ed Eternity.”

Le tracce del disco sono tutte originali eccezion fatta per Solar, composta dal grande Miles Davis: perché la scelta di questo brano? E soprattutto come hai lavorato per arrangiarlo?

“Solar è uno standard al quale sono molto legato. Ha una struttura armonica apparentemente tonale, legata alle principali cadenze jazzistiche. Se affrontato però con una visione più aperta dell’armonia, ci si accorge come facilmente i suoi confini armonici possano essere sormontati e per un certo verso anche abbattuti, tutto ciò al fine di creare un’improvvisazione più libera e spontanea.  Non c’è un vero e proprio arrangiamento di questo brano. Ho deciso di registrare Solar nella maniera più spontanea possibile. Il brano inizia con un’ introduzione di batteria, a cui segue un solo di chitarra prima ancora di arrivare ad interpretare la linea melodica del tema. Il basso elettrico entra poi sull’esposizione tematica. Questo tipo di incastro strumentale è avvenuto senza averlo deciso prima. Fu uno dei momenti magici che il jazz spesso regala. Si suona insieme, senza sapere esattamente dove si andrà a finire. Ma il focus è che ovunque si vada, si è una cosa sola.”

Antonio Faraò al pianoforte, Dominique Di Piazza al basso e Manhu Roche alla batteria: quali sono state le ragioni che ti hanno spinto a collaborare con questi musicisti?

“I musicisti sono stati scelti ad hoc. Sono artisti che non hanno bisogno di presentazione, ognuno di loro ha alle spalle 30/40 anni di carriera con collaborazioni che raggiungono l’olimpo jazzistico e non solo. Sapevo che le loro caratteristiche avrebbero dato un plus valore alla mia musica. Le loro personalità, tutte molto particolari, hanno saputo interpretare oltre ogni aspettative il messaggio che volevo dare con questo progetto.”

A New York sei senza dubbio uno dei musicisti italiani più apprezzati: ci vuoi raccontare, quindi, cosa dicono del jazz italiano dall’altra parte dell’oceano?

“Il jazz italiano è davvero molto apprezzato. Secondo la critica statunitense, il jazz italiano è il più interessante sulla scena internazionale. Questo ovviamente rende orgoglioso me e tutti coloro che hanno intrapreso questa strada. Il made in Italy in generale è sinonimo di eccellenza in America. Ogni tanto forse occorrerebbe ricordarcelo anche noi. La tendenza a mitizzare tutto ciò che esotico   non sempre ci porta verso la verità. In campo musicale per esempio, siamo molto apprezzati, e non mi riferisco solo al jazz.”

Se dovessi trovare delle differenze e delle analogie tra i musicisti italiani e quelli statunitensi cosa diresti?

“Forse l’unica vera differenza, sostanziale anche direi, è il modo di sentire il tempo. Il feeling che i musicisti hanno con il timing è più rilassato e naturale. In sintesi è più swing. La categoria di musicisti che ho riscontrato essere molto diversa è proprio quella dei batteristi. Forse un po’ per cultura, un po’ per disciplina insita nel loro modus operandi, trovo che i batteristi americani, Newyorkesi nello specifico, abbiano una totale devozione verso il groove. Senza troppi fronzoli lavorano sulla solidità del comping, raggiungendo livelli di fluidità davvero notevoli. Più in generale, l’approccio americano è più pragmatico, non solo nella musica ovviamente. Probabilmente l’italiano è più poetico, “filosofico” in tutto ciò che fa.”

Spesso si dice che la musica italiana e la stessa industria del settore sia in crisi di idee: cosa ne pensi tu del jazz italiano?

“Penso che il jazz italiano goda di un’ottima salute. Sento spesso, grazie anche ad internet, numerosi progetti davvero considerevoli. Trovo in particolare che le ultime generazione suonino ad un livello davvero alto. Questo fa ben sperare per un longevo jazz italiano, in continua espansione. La crisi vera è quella discografica, non quella delle idee e dell’arte. Con l’avvento di interne, di Youtube e di tutti i vari music store, il mercato dei dischi è via via andato in estinzione, non solo in Italia ma a livello globale. La nota positiva è che i concerti dal vivo ci sono sempre e sempre ci saranno: questa è il vero canale con il quale  la musica ed i musicisti possono esprimersi.”

Ultima domanda: progetti per il futuro? Dove suonerai e soprattutto avremo il piacere di vederti in qualche data italiana?

“I progetti sono sempre tanti. Ho recentemente collaborato alla realizzazione discografica dell’album Polyrhythmic nei prestigiosi Spheres Studios di Hollywood, LA, con Greg Spero, Hadrien Feraud e Michael Mitchell. Un disco di jazz moderno molto articolato sotto il profilo ritmico, da qui il titolo dell’album. Saremo in Tour tra ottobre e Novembre nelle principali città statunitensi, quali Los   Angeles, Chicago, New York e molte altre. Sto già lavorando alla scrittura del mio prossimo album da leader e nel frattempo sarò impegnato anche in Italia tra concerti e master class. Segnalo volentieri un concerto che farò con il mio quartetto al Francavilla é Jazz, il 4 settembre, pochi giorni prima di tornare nella grande mela.”

 

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Dario Chiazzolino - Red Cloud - una recensione

Un progetto dal sapore internazionale, dove non manca un’accentuata dose di virtuosismo e in cui si alternano brani dal ritmo incalzante a composizioni dal forte lirismo. Si presenta in questo modo Red Cloud, ultimo lavoro che porta la firma del talentuoso chitarrista torinese Dario Chiazzolino che da tempo ha scelto come fissa dimora la città di New York.

Un disco fresco, dinamico, ricco di sfumature che vede la partecipazione di Antonio Faraò al pianoforte, Dominique Di Piazza al basso e Manhu Roche alla batteria. Red Cloud è un concept album all’interno del quale Chiazzolino dipinge a suon di note i diversi stati d’animo del cielo che molto spesso mutano dando vita a fenomeni di grandi intensità. E’ per questo motivo, probabilmente, che i linguaggi che ritroviamo all’interno del disco sono molteplici e lasciano spazio ad un jazz dal sapore moderno in cui sono il virtuosismo chitarristico e l’improvvisazione pura a farla da padrona.

Title track dell’album è Red Cloud, brano caratterizzato da un ritmo cadenzato e disteso in cui il chitarrista torinese esordisce con un fraseggio chitarristico dalla tecnica sublime. Lighting è invece un brano caratterizzato da un walking bass adrenalinico in cui esce fuori un accentuato interplay tra musicisti capaci di dialogare insieme in perfetta armonia. Si passa, poi, dai ritmi sincopati di Placid Sky, dove la chitarra di Chiazzolino è più cantabile ed immediata alla dolcezza di Starry, composizione in cui il chitarrista torinese dipinge con maestria un cielo stellato disteso ed armonioso.

Unico omaggio presente in questo progetto è Solar del grande Miles Davis, una rivisitazione moderna che senza tradire la poetica del brano esalta le doti di arrangiamento e inventiva del quartetto. In sintesi Red Cloud è un disco in cui convivono più linguaggi, dove spiccano tecnica, eleganza negli arrangiamenti e un sapore internazionale che ci avvicina a quel jazz che si respira nella grande mela.

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Red Cloud, il nuovo disco di Dario Chiazzolino

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Uscito ufficialmente il 12 marzo 2016 su tutte le piattaforme digitali e prossimamente anche in copia fisica, Red Cloud è il nuovo album a cura del chitarrista jazz e compositore torinese, ma di stanza a New York, Dario Chiazzolino. Per questo nuovo disco prodotto dall’etichetta Tukool Records il giovane jazzista si affida a un parterre di blasone internazionale, costituito da Antonio Faraò al pianoforte, Dominique Di Piazza al basso e Manhu Roche alla batteria.

I nove brani contenuti nel CD sono frutto dell’ingegnosità compositiva del leader, ad eccezione di Solar, celeberrimo standard siglato da Miles Davis. Virtuosismo mai scipito, nerbo espressivo, carezzevole cantabilità, sobria melodiosità e sussultante groove rappresentano la spina dorsale di un album concepito in pieno solco contemporary jazz, impreziosito da un utilizzo abbondante, quanto intelligente, di metriche dispari.

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Dario Chiazzolino racconta la genesi di Lost in The Jungle, ultimo disco dei Principles Sound

Chitarrista giovanissimo Dario Chiazzolino è un musicista completo che ha all’attivo tantissime collaborazioni con artisti di livello internazionale. Una di queste è con la formazione Principles Sound che oltre alla partecipazione del talentuoso chitarrista italiano gode della presenza di alcune leggende quali Bob Mintzer al sax, Russel Ferrante al piano, Pino D'Eri al basso, Jimmy Haslip al basso e Gianni Branca alla batteria. L’ultimo disco della band si intitola Lost in The Jungle e ce lo presenta Dario Chiazzolino in persona.

Principles Sound - ci spiega Dario - è un progetto al quale sono molto legato, emotivamente​ ed artisticamente. La sua genesi risale al novembre 2011, quando insieme al batterista ed amico Gianni Branca, purtroppo tragicamente scomparso lo scorso anno, e al produttore discografico della Tukool Records, Pino D'Eri cominciavamo a scrivere le prime bozze dei sette brani che oggi sono contenuti nel disco "Lost in the Jungle". Avevamo in mente di creare un disco che abbattesse le barriere stilistiche in cui la musica spesso viene catalogata. Anche il jazz viene etichettato in vari modi, in relazione al tipo di fraseggio o al tipo di suono che i musicisti tirano fuori dal proprio strumento. Trovo sia sempre rischioso porre dei confini e limiti a ciò che si fa. Certamente ci proponevamo di fare musica improvvisata in cui la melodia fosse la protagonista; mentre abbiamo ricercato un sound aperto e proiettato ad accogliere diverse contaminazioni, oserei direi che il sound del disco è a tratti etnico e world, vedi ad esempio l'uso di percussioni africane. Il disco è stato realizzato insieme a musicisti leggendari che non hanno bisogno di presentazione. Bob Mintzer al sax tenore, Russell Ferrante al piano e sinth e Jimmy Haslip al basso elettrico. Insieme a loro è nata una forte collaborazione ed una amicizia che va oltre la musica.”

Del resto non capita a tutti di condividere un progetto musicale con artisti che oltre ad essere dei grandi professionisti sono degli ottimo amici. A proposito Chiazzolino prosegue dicendo che:

Principles Sound ha un valore emotivo elevatissimo. Quando si suona non sempre si ha la fortuna di condividere il palco e la musica con amici. Spesso si è solo colleghi con i quali si sta lavorando.  Questo album è per me simbolo di una forte coesione tra persone che stanno bene insieme, nella vita come nella musica. Andando ad analizzare l'aspetto musicale posso raccontarti questo. Le canzoni sono state scritte di getto, in maniera piuttosto impulsiva. Solo in fase successiva abbiamo arrangiato e quindi pre-prodotto i brani. La partecipazione di Mintzer, Ferrante ed Haslip ha dato alla nostra musica la possibilità di evolvere e di arricchirsi del loro background musicale. Nonostante le composizioni contengano molta scrittura ed obbligati, siamo riusciti a gestire gli spazi solistici in maniera uniforme; l' esposizione dei temi è invece assegnata al sax ed alla chitarra, che a volte cantano all'unisono, a volte si inseguono quasi a creare un effetto contrappuntistico.  Sotto il profilo professionale Principles Sound è stata un' esperienza che mi ha arricchito moltissimo e di cui sono molto fiero.”

A questo punto Dario ci racconta anche il percorso musicale che lo ha portato a diventare un professionista.

Tutto ha avuto inizio nel Natale del 1996​ quando ricevevo in regalo una chitarra classica dai miei genitori. Non so se l'amore a prima vista esista sul serio tra le persone, ma posso essere certo che con la chitarra mi sia successo veramente! In effetti ho un ricordo piuttosto lucido della sensazione che provai nell'imbracciare per la prima volta la chitarra. Fu un momento di gioia immensa. Iniziai presto ad esibirmi con i primi gruppi quando ero adolescente. Solo qualche anno dopo, grazie all' ascolto di un disco di Charlie Parker, mi appassionai furiosamente al jazz e cominciai presto a suonarlo. Ho sempre amato l'improvvisazione, anche quando ero a digiuno di jazz. Trovo che sia l'aspetto musicale più affascinante e mistico che un musicista possa esplorare nel suo percorso. Iniziai così a collaborare con musicisti di Jazz, in un primo momento locali, poi nazionali ed internazionali. Sicuramente tra i vari musicisti con cui ho avuto il piacere di suonare non posso non menzionare Dominique Di Piazza, Andy Sheppard, Billy Cobham, Willie Jones III, William Kennedy, Horacio "el negro" Hernandez e Antonio Faraò. Ogni esperienza musicale, se vissuta intensamente ha un peso determinante nella propria crescita musicale ed umana. Ho sempre avuto come primario obiettivo quello di migliorarmi, giorno per giorno, insomma, andare sempre avanti.”

Carlo Cammarella

 

 

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Dario Chiazzolino ospite di Jazz Train su Radio Città Aperta

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Martedì 29 settembre alle ore 22:00 torna il consueto appuntamento con Jazz Train la trasmissione condotta da Francesco Sciarretta che porterà il meglio del jazz italiano ed internazionale a casa vostra. In questa puntata ospite d'eccezione del programma sarà Dario Chiazzolino, chitarrista torinese classe 1985 che fin dalla tenera età si è distinto per un talento fuori dal comune.

Chiazzolino vanta già tantissime collaborazioni tra cui spicca quella del 2012 con il progetto Principles Sound, affiancato dal sassofonista Bob Mintzer, dal pianista Russell Ferrante e dal bassista Jimmy Haslip, che ha portato alla genesi del disco Lost in The Giungle. Il suo stile è raffinato, virtuoso e allo stesso tempo incisivo e ricco di melodia. A soli 21 anni, infatti, vince il prestigioso Berklee Umbria Jazz Award, che lo ha consacrato come miglior chitarrista di quell'edizione dell'Umbria Jazz Festival.

Jazz Train

In onda su Radio Città Aperta

Dalle 22:00 alle 24:00

Frequenza FM: 88.9

 

 

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