
Il basso di Dario Deidda è inconfondibile. Forse anche per questo non ha mai avuto paura di tuffarsi nei progetti più diversi, sicuro che la propria personalità sarebbe rimasta comunque inconfondibile anche nel gioco dell'incontro. È sempre stato spinto dalla propria curiosità a cambiare e a ricercare, mettendosi costantemente in gioco, incontrando nel corso degli anni grandi artisti molto diversi tra loro. Ora torna a pubblicare un album a proprio nome, "My Favourite Strings Vol 1". Anche stavolta ha avuto un complice, Gegè Telesforo, col quale l'amicizia e la gioia di fare musica insieme durano da una vita. Telesforo ha prodotto l'album e ha suonato le percussioni, accompagnando Deidda in una nuova tappa fondamentale di un lungo cammino musicale. Abbiamo contattato Dario per qualche domanda sul nuovo disco, sulla sua formazione e sulle sue passioni.
Che ricordo hai della musica che ascoltavi in casa quando eri bambino? Come hai deciso di suonare il basso?
Ho iniziato a suonare da piccolo, a sei anni, alla batteria. Studiavo un po' e accompagnavo mio padre quando suonava il piano a casa. Suonavo quasi sempre con le spazzole. La musica era un gioco come altri, mio padre è stato perfetto nel non metterci pressione, pur facendoci sempre capire che la musica era una cosa seria. Non dimenticherò mai i suoi occhi chiusi a godersi un bel disco seduto sul divano. Erano altri tempi, la tv spesso di sera era spenta. C'erano solo i dischi, e che dischi: Frank Sinatra, Doris Day, Ella Fitzgerald, Glenn Miller, Tommy Dorsey, Benny Goodman, senza disdegnare artisti come Mina, Bruno Martino, Luigi Tenco, Ornella Vanoni, Jobim, Joao Gilberto, la canzone napoletana e un po' di musica classica. Poi a undici anni mi innamorai del basso e cominciai a strimpellare le note basse di qualunque strumento incontrassi. Inizialmente era la pedaliera dell'organo Vox di mio padre. La passione stava prendendo il sopravvento su di me, cominciando a farmi trascurare le partite di calcio.
Quale è stata la tua formazione? Che cos'è che deve assolutamente sapere un bassista?
Ho studiato un po' di tecnica a Salerno con Mario Ferrigno, mentre a casa suonavo con mio padre e i miei fratelli. Dopo le scuole medie me ne sono andato dritto al conservatorio di Salerno per iniziare col contrabbasso il percorso accademico classico. Mi sono diplomato a ventun anni, ma durante quegli anni avevo ormai deciso cosa volevo fare nella mia vita musicale. Non volevo fare il contrabbassista di fila in un'orchestra, anche se un po' di concerti fatti in quella veste mi sono piaciuti. Ma io avevo imparato il pianoforte, mi studiavo gli assoli di John Coltrane e Clifford Brown, conoscevo la musica dei Weather Report e scimmiottavo tutte le linee di Jaco. Amavo il basso elettrico e il contrabbasso jazz, ero continuamente affamato di conoscenza. Suonavo tutti i giorni con qualcuno, andavo a trovare a casa i musicisti di Salerno che ne sapevano più di me. È stato bellissimo, nonostante tutto ciò accadesse nei limiti di una piccola città come Salerno. Penso che un bassista – come qualsiasi strumentista – debba avere assolutamente questo tipo di passione. Frequentavo poi un circolo Arci nel quale ho imparato a suonare e apprezzare anche blues e rock. Tutto accadeva solo per passione, senza alcuna aspettativa per il futuro. Questo è tutto ciò che serve.
Quali sono i concerti che ricordi con più piacere, come spettatore e come musicista?
Ricordo con piacere soprattutto i concerti da spettatore, che adesso mi mancano molto perché ho sempre meno tempo. Ho avuto la fortuna di assistere ai concerti di Michael Brecker, che per noi giovani negli anni Ottanta era praticamente il nuovo Coltrane. Ho visto Jaco nell'86, ma purtroppo non era più lui e uscii dal concerto molto triste. Comunque da Salerno con i miei amici partivamo spesso per assistere a concerti in giro per l'Italia. Tra i nostri preferiti c'erano anche gli italiani, come Pieranunzi, Massimo Urbani, Larry Nocella, i Lingomania, (Giammarco, Gatto, Rea, Pietropaoli, Fiorentino), tutti musicisti con i quali ho poi avuto il piacere e l'onore di collaborare, e che sono diventati miei amici: un sogno che si è avverato. I concerti ai quali ho preso parte come musicista li ho amati tutti allo stesso modo.
My Favourite Strings Vol. 1 è un nuovo album a tuo nome a molti anni di distanza da 3 From the Ghetto. Come mai hai deciso proprio ora di firmare un nuovo disco in prima persona?
Le ragioni sono diverse. Quando non lavoro mi piace tanto studiare, ascoltare musica, leggere biografie e aneddoti dei grandi musicisti di ogni epoca. Queste passioni rubano tempo prezioso che magari puoi dedicare allo scrivere musica e all'ideazione di nuovi progetti. A questo ci aggiungo una pigrizia atavica! Un disco è una cosa seria. In fondo ho ancora tanto da imparare dal passato e dalla musica già esistente. Quindi se non fosse stato per il mio amico Gegè Telesforo, che mi ha quasi costretto ad andare a casa sua a registrare delle idee che già avevamo, My Favourite Strings sarebbe ancora nelle mie fantasie.
Come si è svolta la tua collaborazione con Gegè Telesforo, sia nella fase di concezione del disco, sia in studio di registrazione con Riccardo Bomarsi?
Io e Gegè siamo amici e colleghi dai tempi di DOC. Abbiamo spesso suonato insieme, lui ha prodotto il mio primo cd, mi conosce bene e conosce la mia evoluzione musicale, che fortunatamente sento essere ancora in atto. Pertanto avevamo già le idee chiare su come lavorare, sulla scelta dei brani, sul fatto di sfruttare la mia capacità di suonare vari strumenti senza mai ostentare virtuosismo da circo, semplicemente al servizio della musica. Poi, con grande naturalezza e umiltà, Gegè si è aggiunto alle percussioni, dando alla musica esattamente quel che serviva. Poi con lo straordinario Riccardo Bomarsi è stato un gioco da ragazzi fare le riprese audio, tutto con un solo microfono. È stata una bella esperienza e siamo appena al volume 1.
Nel disco, accanto a pezzi di grandi firme del jazz come Marcus Miller, Benny Goodman o John Coltrane, c' anche la tua versione di Until di Sting. Quali artisti pop e rock ti piace ascoltare?
Sono sempre stato dell'idea che se hai un tuo stile, una tua poetica, puoi davvero suonare tutto ciò che ti piace e che ti emoziona. Secondo me sarebbe stato bellissimo ascoltare Charlie Parker suonare sulla musica di James Brown, per esempio. Ciononostante, non mi piace molto stravolgere le composizioni altrui, probabilmente non ne sono neanche capace. Lo lascio fare agli altri e apprezzo comunque chi sa farlo. Mi piace tutta la musica, penso di avere una discreta cultura e cerco di tenermi aggiornato. Non è facile alla mia età, quando hai poco tempo. Ripeto: c'è ancora tanto da imparare e ascoltare dal passato. Fare una lista degli artisti preferiti è impossibile, però si parte sempre da Bach.
Che ne pensi del successo che tra i più giovani riscuote una musica basata sul groove come l'hip hop? Pensi che possa avvicinarli al jazz?
Domanda difficile. Sinceramente credo che il vero jazz sia una cosa diversa. Ha una storia importante dietro, i musicisti devono avere una preparazione tecnica e armonica, non puoi bluffare. E chi ascolta deve sforzarsi un po' e calarsi nell'umore, nella concentrazione, nella ricerca di qualcosa che in quel preciso momento il musicista sta creando. È musica colta che può essere ascoltata da tutti, perché carica di ritmo e di swing, ma è anche fatta di composizioni, arrangiamenti, improvvisazioni e interplay tra i musicisti. Non sta a me e non credo che ci sia nessuno capace di spiegare il jazz. L'hip hop prende in prestito qualche sonorità, qualche linea di contrabbasso qua e là, qualche assolo di sassofono, quasi sempre su un accordo, nessun interplay vero con la ritmica. A me a volte piace, ma come un altro genere musicale, non come jazz. Lo vedo più imparentato col rhythm and blues e il funk. In ogni caso avvicina a una buona musica. Così come per noi fu Pino Daniele. Ci fece conoscere e amare le sue influenze black, tra le quali ovviamente non c'era l'hip hop.
C'è qualche progetto artistico che per mancanza di tempo o per qualche altro motivo hai finora rimandato e che ti piacerebbe realizzare in futuro?
Da molti anni ho in mente di omaggiare la musica di Donny Hathaway. È importante innanzitutto trovare una buona voce, probabilmente femminile, proprio per evitare i paragoni con la grandezza infinita della sua voce. E quindi dare spazio ad assoli sulla sua musica con strumenti che lui non usava, come sassofoni, trombe e perché no anche il basso. Forse l'unico limite della musica di Donny era proprio questo: i soli erano sempre di piano o wurlitzer, raramente di qualche chitarra. In particolare penso all'album Extension of a Man, dove secondo me sono racchiuse le sue composizioni più belle. Non è un progetto facile, ma spero di riuscirci. Intanto credo che andremo avanti con i prossimi volumi di My Favourite Strings, magari aggiungendo via via altri ospiti, ma sempre lasciando i bassi come protagonisti principali.