Jazz Agenda

Fabio Zeppetella racconta Wordless Song: “La ricerca melodica è un valore al quale siamo fedeli”

Pubblicato da Emme Record Label, Wordless Song è l’ultimo disco che porta la firma dei due maestri Fabio Zeppetella ed Umberto Fiorentino. A 12 anni di distanza dal primo disco in duo, intitolato Temi Variazioni e Metamorfosi, un progetto interamente composto da composizioni originali. Un lavoro caratterizzato da una spiccata ricerca armonica, da grande senso melodico con un’apertura al jazz contemporaneo e all’elettronica. Fabio Zeppetella ha raccontato a Jazz Agenda questo ultimo disco.

Fabio, per cominciare l'intervista parliamo subito del disco “Wordless Song”: quali sono le differenze innanzitutto rispetto al precedente “Temi Variazioni E Metamorfosi”?

La differenza fondamentale è che il primo cd era un album basato su 4 classici del jazz; ognuno di questi 4 brani aveva una variazione, che molto spesso era tematica, ed una metamorfosi, che si allontanava completamente dal brano originale. Mentre in Wordless Song abbiamo solo scritto brani originali e anche provato ad improvvisare e sperimentare in studio. Alcuni brani sono nati proprio cosi.

Un disco in cui sono presenti diversi linguaggi, dove non manca l’utilizzo dell’elettronica e dove tradizione e sperimentazione si fondono: Vuoi descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Come dicevo prima ci siamo lanciati in una zona dove abbiamo sperimentato. Sì, anche l’uso degli effetti e dei loop ci ha aiutato ma è stato un lavoro in divenire. 

Possiamo dire che la ricerca melodica è uno dei tratti distintivi del vostro personale percorso musicale e anche di quello che avete svolto insieme?

Sicuramente la ricerca melodica è un valore al quale siamo molto fedeli. A mio avviso è un valore assoluto ed è qualcosa che in qualche modo restituisce alla musica il valore della poesia cosa che spesso viene poco considerata.

Sappiamo che la tua collaborazione con Umberto Fiorentino è nata diverso tempo fa: ci vuoi raccontare come è nata e poi come si è evoluta nel corso del tempo? 

Innanzitutto devo dire che conosco Umberto da fine anni 70 quindi da una vita. Ci scambiavamo dischi, anzi era più lui che mi prestava i suoi dischi perché era molto curioso di conoscere nuovi jazzisti mentre io avevo solo dei classici Coltrane, Davis, Rollins etc. Inoltre suonavamo spesso insieme. Poi dopo tanti anni abbiamo deciso di fare un disco in duo e così è nato “Temi variazioni e metamorfosi”.  Poi abbiamo detto che avremmo fatto anche il secondo è dopo 12 anni, abbiamo dei tempi molto dilatati, è nato Wordless Song.

Un disco è per voi un punto di partenza o rappresenta invece un punto di arrivo?

Che domanda... (ride) Il disco è un punto. È qualcosa che lasciamo agli altri in un determinato periodo storico. Come si fa a pensare che possa essere un punto di arrivo o di partenza. È una fotografia che riprende l’artista in un momento del suo percorso un po’ come un quadro per un pittore.

Facciamo un paragone fra voi due: cosa vi contraddistingue principalmente, quali sono le vostre affinità artistiche e soprattutto le peculiarità che contraddistinguono ognuno di voi?

Amiamo la musica entrambi e abbiamo dei gusti musicali che si incontrano spesso ma poi subentra la personalità, anzi direi la struttura di ognuno. Umberto ha una struttura che per sua natura è molto scientifica e razionale ed io più istintiva e intuitiva. Ovviamente ognuno di noi due conoscendo se stesso, cosa fondamentale per un musicista e non solo, e ha il compito di lavorare su quello che gli viene meno naturale per avere un’evoluzione più completa.

Anche se è un periodo piuttosto difficile ci piace chiudere sempre le nostre interviste con una proiezione verso il futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

In verità avremmo dovuto presentare il nuovo cd alla Casa del Jazz e non solo ma per ora è tutto in standby. Abbiamo diverse richieste per l’estate ma speriamo che la situazione che stiamo vivendo in questo periodo possa finire al più presto e ci possa far tornare tutti alla normalità.

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Reunion Quartet: Zeppetella/Gatto/Tarenzi/Deidda live al Fara Music Festival

  • Pubblicato in Pagina News

Un quartetto formato da musicisti che collaborano tra loro in formazioni sempre diverse e che hanno alle spalle un cospicuo numero di incisioni discografiche. Si presenta così il Reunion Quartet che sarà di scena al Fara Music Festival 2017 venerdì 28 luglio. La band nasce proprio in occasione della rassegna ed è formata da grandi artisti del jazz italiano: tra questi Fabio Zeppetella alla chitarra, Roberto Tarenzi al pianoforte, Dario Deidda al basso elettrico e Roberto Gatto alla batteria.

Un’occasione, dunque, per una “reunion” in grande stile con una formazione composta da artisti eclettici che fanno dell’improvvisazione e dell’interplay uno dei propri cavalli di battaglia. Per l’occasione il quartetto eseguirà brani originali del chitarrista e compositore Fabio Zeppetella riproposti in una chiave di lettura completamente nuova.

Fara Music Festival, 21/30 Luglio, XI Edizione

Inizio concerti ore 21:30, ingresso Gratuito

Piazzale Roma, parco antistante la pineta di Fara in Sabina

 

 28/07: 28/07: Reunion Quartet - Zeppetella/Gatto/Tarenzi/Deidda

Fabio Zeppetella (chitarra elettrica)

Roberto Gatto (batteria)

Roberto Tarenzi (pianoforte)

Dario Deidda (basso)

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Fabio Zeppetella e la didattica al Fara Music: "scambiare punti di vista e idee musicali"

Anche quest'anno una parte preponderante del Fara Music Festival sarà costituita dalla didattica e dai seminari che prenderanno piede all'interno della manifestazione. Saranno tanti i docenti che si alterneranno nelle classi e che saranno a contatto con gli allievi per trasmettere il loro sapere e le loro conoscenze. Tra questi ci sarà Fabio Zeppetella che ha raccontato a Jazz Agenda come organizzerà le sue lezioni in questa estate musicale sabina che ormai è alle porte.

Fabio, per cominciare, la didattica inserita nel Fara Music Festival credi che contribuisca a renderlo unico?

La didattica è certamente importante. Il Fara Music è molto ben organizzato da questo punto di vista, il punto di forza di questi incontri è il potersi scambiare punti di vista e idee musicali con tante persone. Ci sono ragazzi che si trovano nella stessa condizione, quella di intraprendere un percorso; un percorso lungo ma molto bello. Il tutto accompagnato dall'aspetto umano: amicizie che si creano o rapporti di collaborazione con altre persone che magari vivono a centinaia di km di distanza.

Come hai organizzato le tue giornate di workshop al Fara Music Festival? E Quale sarà il diverso approccio ai tre livelli di preparazione degli studenti?

Cercherò di lavorare su della musica che fa parte della tradizione del jazz o del suo aspetto più moderno, a seconda dei vari livelli ovviamente. Nel livello più alto conto di lavorare anche su brani originali dei ragazzi stessi.

Sai che ci sono sia le sessioni di insegnamento, dove i studenti dovranno seguirti, sia il momento in cui interagiranno tra di loro suonando. Cosa hai pensato di fargli fare nei momenti di gruppo, in che modo li dirigerai?

Il mio lavoro di direzione consisterà soprattutto nella coesione del lavoro di insieme, non soltanto leggendo il brano da suonare ma anche interagendo tra loro affinando quello che viene chiamato "interplay" ovvero una mutua interazione, un’influenza reciproca.

Cosa rende un musicista come te, un insegnante?

Inizialmente una necessità economica, quindi unicamente un sostegno alla mia figura di musicista. Dopodiché è diventato un lavoro anche di una certa rilevanza, in quanto, come dice la parola stessa, devi dare un segno da seguire ai ragazzi e questo segno deve essere indiscutibilmente valido; così da accompagnarli ad un’evoluzione di se stessi, tenendo coscientemente conto delle caratteristiche strutturali interiori della personalità del singolo individuo.

E per concludere, un piccolo focus su di te, cosa ha reso determinante il tuo rapporto con la chitarra? Un bisogno di espressione? O al contrario la necessità di interiorizzare?

Sinceramente un'urgenza. Forse un’urgenza di esprimere chi realmente fossi, al di là della struttura famigliare da cui provengo, dove la musica non era di casa. Al tempo stesso, l’urgenza di interiorizzare tramite quello strumento magico il feeling che avevo sempre sentito con esso.

Virginia Moretti

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Fabio Zeppetella racconta Handmade: “Il mio linguaggio si basa sul binomio tra musica e poesia”

E’ senza dubbio uno dei chitarristi più noti e apprezzati del panorama italiano ed internazionale. Parliamo di Fabio Zeppetella, artista dalla grande sensibilità e dal tocco raffinato che ha tra i suoi progetti di spicco Handmade, disco pubblicato da Via Veneto Jazz / Jando Music al quale hanno partecipato Aaron Goldberg al pianoforte, Matt Penman al contrabbasso e Greg Hutchinson alla batteria. Zeppetella porterà in concerto questo progetto uscito diversi anni fa al Caffè Bugatti di Terni il giorno 28 settembre 2016. Insieme a lui una formazione tutta italiana composta da Roberto Tarenzi al pianoforte, Dario Deidda alla chitarra e Fabrizio Sferra alla batteria. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la nascita di questo progetto e non abbiamo potuto fare a meno di fare un parallelismo tra Stati Uniti ed Italia.

Partiamo dal titolo Handmade, che letteralmente vuol dire “Fatto in Casa”. Perché la scelta di questo nome che ha un effetto così forte?

Il titolo del disco è venuto fuori da un’idea del produttore. Dal momento che ho seguito il lavoro passo dopo passo ed è stata una mia creazione mi è sembrato più che azzeccato, anche perché ho pensato alla musica, allo studio di registrazione e ai musicisti da inserire all’interno del progetto. Le composizioni, infatti, sono state pensate in modo da avvalorare gli artisti che hanno suonato con me e che hanno partecipato all’incisione del disco. Tutto questo senza dimenticare che i musicisti con cui collaboro ora, ovvero Roberto Tarenzi al pianoforte, Dario Deidda alla chitarra e Fabrizio Sferra alla batteria sono di livello mondiale e non hanno nulla da invidiare agli americani.

Parliamo adesso delle caratteristiche del disco. Quali sono quelle che possiamo riscontrare in Handmade?

La musica del disco si basa completamente su mie composizioni originali, eccezion fata per un brano del grande John Coltrane. Diciamo che in linea di massima c’è un occhio che guarda alla contemporaneità del jazz, uno che guarda al lirismo che appartiene alla nostra cultura mediterranea e un’altra ancora che guarda alla tradizione. Diciamo, però, che il mio linguaggio si basa principalmente sul binomio tra musica e poesia, un ingrediente che per me è fondamentale.  I miei grandi eroi, infatti, sono Bill Evans eTom Harrell, musicisti che hanno la capacità di toccarti il cuore. Io sento di appartenere a questa fascia di artisti umani e comunicativi che oggi sono quasi scomparsi lasciando lo spazio ad un jazz probabilmente più cerebrale. La musica deve toccarti l’anima, deve entrarti dentro: è la cosa più importante!

Visto che abbiamo parlato di musicisti italiani ed americani vogliamo fare un paragone tra essi?

Diciamo subito che gli americani sono super efficienti, macinano una quantità di palchi incredibile, fanno tantissime sessioni, tanti dischi in maggior misura di noi. Questa è una differenza sostanziale che sussiste perché in America i musicisti, per i costi della vita e degli affitti, sono costretti a lavorare davvero molto. Per contro posso dirti che i musicisti italiani, a partire da quelli che fanno parte del mio gruppo, sono davvero di grande livello: Roberto Tarenzi, Fabrizio Sferra e Dario Deidda non hanno bisogno di presentazioni e sono consideranti a livello mondiale. E’ chiaro, quindi, che la differenza sostanziale sta nel fatto che gli statunitensi sono grandi professionisti, sempre e abituati a lavorare tanto. Questo, però, non vuol dire che hanno più estro artistico degli italiani che a mio avviso meritano di suonare nei gruppi e nelle formazioni migliori al mondo.

Quindi cosa ne pensano gli americani del jazz italiano?

Gli americani pensano senza dubbio che il jazz italiano sia uno dei migliori al mondo. Hanno un’alta considerazione soprattutto perché in Italia c’è un forte lirismo e c’è grande grande feeling. La bravura o la perfezione nel fraseggio puoi trovarli in tanti altri artisti di altre nazioni ma quest’altra caratteristica che appartiene alla nostra cultura e soprattutto al nostro passato è davvero un marchio di fabbrica. Secondo me è il nostro punto di forza e il nostro valore aggiunto nella musica!

Spostiamo per un attimo l’attenzione alla chitarra come strumento. E’ vero che in passato non ha avuto forse lo spazio che meritava rispetto ad altri strumenti?

Diciamo che la chitarra storicamente è stato uno strumento che non ha mai avuto il ruolo del sideman come invece è successo al pianoforte. I grandi gruppi, infatti, hanno sempre avuto quest’ultimo come strumento armonico per cui i chitarristi per emergere dovevano sempre incarnare il ruolo del leader o dovevano essere dei solisti. Questa condizione, però, per certi versi ha dato il via al jazz contemporaneo  e infatti ci sono dei chitarristi che sono diventati delle vere e proprie star come Wes Montgomery che ha aperto la strada alla fusion ed è arrivato al grande successo, aprendo la strada a musicisti come Pat Metheny e John Scofield. Tutto questo paradossalmente ha dato la possibilità ai grandi chitarristi di fare strada e di riscattarsi.

Possiamo dire anche che la chitarra di oggi risente di questa condizione che c’era in passato?

Diciamo che anche in Italia la chitarra risente ancora del suo passato e sicuramente il sassofono e la tromba sono strumenti che vengono utilizzati maggiormente nel ruolo del leader. Tradizionalmente, per riallacciarsi al discorso di prima, la chitarra è uno strumento che in passato stava dietro, vicino al contrabbasso e alla batteria. Ha cominciato a fare soli in un secondo momento perché ha sempre fatto parte della sezione ritmica. Ora, però, a distanza di anni le cose sono cambiate e anche la chitarra nel jazz è molto apprezzata.

                

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Fabio Zeppetella Quartet "Handmade" in concerto al Caffé Bugatti

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Handmade è un'emozione che ci porta direttamente nell'anima dell'autore con 9 tracks (tranne la 8 del grande John Coltrane) tutte composte "a mano" da Zeppetella il cui nuovo progetto lo ritrova leader di un quartetto di jazzisti di livello internazionale. La band, composta da Roberto Tarenzi al piano, Dario Deidda al basso, e Fabrizio Sferra alla batteria, sarà in concerto al Caffé Bugatti di Terni mercoledì 28 settembre. Nel suo fraseggio si scoprono gli aspetti dominanti di un linguaggio mai scontato, a volte virtuoso a volte dolce ma sempre essenziale.

Le sue caratteristiche dominanti sono costituite dalla dolcezza e dalla forza insite nel modo originale di interpretare la musica, nel quale appare evidente la volontà di ricercare un legame virtuale con la poesia. L'originalità del suono che sprigiona dalle dita di Fabio Zeppetella in questo suo ultimo progetto sembra creato dall'artista e cesellato a sua immagine. Dotato di una tecnica ineccepibile e di grande sensibilità musicale, si avvale di un linguaggio unico e personale, frutto di uno studio sempre votato alla ricerca di uno stile che negli anni ha reso proprio. È arrivato all'elaborazione di un suono del tutto originale passando dalla tradizione e dalla musica di maestri come Charlie Cristian e Wes Montgomery all'evocazione del be-bop e dell'hard-bop degli anni sessanta. Il progetto è firmato Jando Music con Via Veneto Jazz.

Caffé Bugatti
via fratini 13, 05100 Terni
Inizio concerto ore 21:30

Fabio Zeppetella chitarra
Roberto Tarenzi piano
Dario Deidda basso 
Fabrizio Sferra batteria

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