Jazz Agenda

Live Report: Lorenzo Tucci Trio – un esordio al Music Inn

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Seguire un concerto in un jazz club è sempre un’esperienza particolare. C’è sempre una forte intimità (o empatia se preferite) fra pubblico e musicisti e c’è sempre l’occasione di osservare tante cose che in un altro tipo di locale sarebbe più difficile notare. Dai semplici sguardi di intesa che potrebbero scambiarsi un bassista e un pianista prima di passare da un assolo al tema principale, dai sussurri con cui alcuni musicisti accompagnano il suono dello strumento, dalle contrazioni dei muscoli che avvengono quando un batterista percuote il suo strumento. Questa atmosfera l’abbiamo percepita in pieno sabato scorso alMusic Inn, storico locale di Roma che, con nostra grande gioia, ha da poco riaperto i battenti.

E nella serata di cui vi stiamo per parlare, in questa splendida cornice situata nel centro di Roma, hanno suonato dei giovani musicisti che, armati di tanto talento e voglia di fare, hanno voluto cimentarsi con uno dei mostri sacri del Jazz, John Coltrane. Il progetto si chiama per l’appunto Tranety, un gioco di parole che deriva proprio da Trane, soprannome che gli amici davano a questo sassofonista geniale. E i musicisti di cui vi stiamo per parlare, invece, sono tre: Lorenzo Tucci, batterista e leader di questa formazione, Claudio Filippini al pianoforte e Luca Bulgarelli al contrabbasso, tutti giovanissimi, affiatati e ansiosi di cimentarsi in un progetto così coraggioso affidandosi proprio ad un trio, formazione essenziale, ma perfetta ed autosufficiente.

Insomma, un tuffo nell’universo di Coltrane! Così possiamo descrivere un concerto che fin dai primi brani ci ha fatto capire lo stile deciso con cui Lorenzo Tucci e il suo trio hanno affrontato la serata. Un’empatia perfetta che abbiamo compreso fin da subito grazie al ritmo incalzante, alla velocità di esecuzione, alla sincronia perfetta con cui sono stati riproposti brani come Moment’s Notice, Lonnie’s Lament, oppure Afro Blue, scritto da Mongo Santamaria, suonato spesso da Coltrane e riprodotto in maniera eccellente con ampio spazio all’improvvisazione. C’è tempo anche per alcuni brani inediti di Lorenzo Tucci, come Hope e Soltice e per una struggente Ivre in Paris di Claudio Filippini; c’è tempo anche per ascoltare un gioiellino come Over The Rain e per raccontare la storia di John Coltrane con musica e parole.

Ascoltando Cousin Mary, infatti, brano che il sassofonista ha dedicato alla cugina e che Lorenzo Tucci ha presentato personalmente al pubblico, noi, con un po’ di fantasia, ci siamo immaginati un ragazzo tenace seduto su uno sgabello con davanti uno spartito aperto. Un ragazzo che studia fino a tarda sera e che vuole a tutti i costi suonare davanti ad un pubblico che prima o poi lo adorerà, proprio come il trio di Lorenzo Tucci che di voglia di stare su di un palcoscenico ne ha veramente tanta. E forse questa musica martellante che sembra non fermarsi mai, che sfocia nell’improvvisazione e che si risolve spesso in ritmi incalzanti e sincopati, per un momento ci ha trasportato con la mente da un’altra parte, in un’altra epoca, o in un altro continente… Magari quando John Coltrane suonava nei locali più in dell’epoca deliziando il pubblico con quello stile innovativo che tutti gli amanti del Jazz a posteriori ricorderanno per sempre.

Carlo Cammarella  

Foto di Valentino Lulli

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Fabrizio Bosso Quartet feat. Roberto Cecchetto all’Auditorium

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In una serata romana gelida e piovosa, di quelle in cui farebbe piacere stare sotto le coperte a guardare un buon film, abbiamo avuto la fortuna di poter fare qualcosa di diverso, qualcosa che veramente abbiamo il piacere di potervi raccontare. Giovedì scorso, infatti, ci siamo recati all’Auditorium per il Roma Jazz Festival e con grande sorpresa abbiamo scoperto una lunga fila di attesa per l’evento di Fabrizio Bosso Quartet feat. Roberto Cecchetto. Ancora più stupiti ci siamo resi conto che la sala dove si sarebbe svolto il concerto (Sala Petrassi) era già esaurita mezz’ora prima dell’inizio dell’evento.  Bene, anche se quel giorno il tempo atmosferico è stato a dir poco tremendo, nella sala Petrassi c’era un’atmosfera calda, viva e vivace. Il pubblico attendeva trepidante l’inizio del concerto che come in tutte le grandi occasioni si è fatto attendere un po’.

Ma appena è entrato in scena Lorenzo Tucci (batteria), la sala si è acquietata e si è lasciata trasportare da un assolo di batteria che ha funzionato da richiamo per tutti gli altri componenti di un quartetto che forse si potrebbe definire quintetto, dato che Roberto Cecchetti (chitarra) per le innumerevoli partecipazioni non può essere più considerato come uno special guest. Sul palco la formazione si è presentata cosi: Fabrizio Bosso al centro della scena a dirigere la musica, dietro Luca Bulgarelli(contrabbasso), sulla sinistra Luca Mannutza (pianoforte e fender rhodes), a muoversi tra le tastiere , e in fine sulla desta Lorenzo Tucci e Roberto Cecchetto un po’ in disparte.

Il quartetto segue le evoluzioni alla tromba di Bosso che ci trascinano tra il jazz e lo swing, che ci lasciano incantati e rapiti dalle sue sonorità così coinvolgenti. E nel momento in cui Bosso smette di suonare entra prepotentemente Roberto Cecchetto onirico, sentimentale che ci avvolge con la sua chitarra. Quello che sembrava non far parte del gruppo, vista anche la disposizione sul palco, diventa parte integrante del tutto e quello che fuoriesce dalla miscela di questi 5 artisti è un sonorità del tutto particolare che porta con se le radici di ognuno dei musicisti, dal drumming di matrice nera di Lorenzo Tucci all’esperienza variegata di Roberto Cecchetto, passando per l’impostazione puramente jazzistica di Luca Mannutza e alla freschezza di Luca Bulgarelli. Il tutto unito dalla bravura di Fabrizio Bosso. Una serata da ricordare a da incorniciare tra gli eventi più belli del Roma Jazz Festival e se mai avrete la possibilità e la fortuna di imbattervi ancora in Fabrizio Bosso Quartet  feat. Roberto Cecchetto non lasciatevelo scappare, sicuramente non ne rimarrete delusi.

Valentino Lulli

Foto di Valentino Lulli

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Fabrizio Bosso: live a Ballarò

 

Fra i tanti meriti che possiamo attribuire a Fabrizio Bosso, musicista ormai di fama internazionale, c’è sicuramente quello di essere riuscito a portare il linguaggio del jazz al grande pubblico. Martedì 26 giugno, infatti, il trombettista torinese ha aperto l’ultima puntata di Ballarò interpretando la sigla in chiave jazz assieme al pianista Claudio Filippini, al contrabbassista Luca Bulgarelli e al batteristaLorenzo Tucci. Dunque, il conduttore Giovanni Floris ha voluto regalare, in occasione dell’ultima puntata della stagione, un live al quale hanno partecipato, insieme a Fabrizio Bosso, alcuni dei musicisti più talentuosi del panorama jazzistico italiano (e non solo). Vi abbiamo incuriosito? E allora date un’occhiata al video di sopra.

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The Enchanted Garden – Claudio Filippini si racconta

Giovane e talentuoso pianista originario di Pescara, Claudio Filippini è un musicista che nonostante la giovane età dimostra già una maturità fuori dal comune. Il suo ultimo lavoro da studio, dal titolo The Enchanted Garden, pubblicato nel settembre 2011 da Cam Jazz, rappresenta forse appieno il percorso musicale ed interiore che ha portato avanti in questi ultimi anni. Ad acompagnarlo in questa avventura Luca Bulgarelli al contrabbasso e Marcello di Leonardo alla batteria, due musicisti che collaborano con Claudio già da diverso tempo e che saliranno insieme a lui sul palcoscenico della Casa del Jazz, domani 5 gennaio 2012, per presentare questo progetto. Con l’occasione Claudio Filippini ci ha raccontato volentieri la genesi e lo sviluppo di questo suo “giardino incantato”.

Claudio, The Enchanted Garden è il tuo ultimo progetto che ti vede come leader. Come è nata questa avventura?

“The Enchanted Garden” nasce fondamentalmente come un’esigenza, un bisogno di voler finalmente testimoniare il lavoro di un trio iniziato 7 anni fa e che non era mai entrato in studio di registrazione. Quando iniziammo a suonare insieme, nel 2004, ogni concerto era diverso dall’altro; tutto era improvvisato e seguiva un corso molto naturale. Il nostro sound si è formato così, grazie all’improvvisazione ci siamo conosciuti sempre di più. Nell’ultimo anno ho scritto alcuni brani, di lì il passo è stato breve, una volta decisa la musica siamo entrati in studio.”

Il titolo di questo disco ci è sembrato fin da subito molto suggestivo e allo stesso tempo ci ha dato l’opportunità di viaggiare anche un po’ con la fantasia in territori nuovi che forse si nascondono solo nell’anima. Ci vuoi raccontare il percorso musicale ed interiore che ha portato alla nascita di questo tuo “Giardino Incantato”?

“E’ difficile rispondere a questa domanda! Il lavoro di composizione è stato molto lento, ho cercato di mettere insieme un repertorio che rispecchiasse la mia storia ed il mio mondo musicale, in tutte le sue sfaccettare; per fare questo ho deciso di prendermi tutto il tempo di cui avevo bisogno. L’idea del “Giardino Incantato” mi è venuta cercando di mettere in musica le mie ultime esperienze di vita. Da qualche anno abito in una casa in campagna, lontano da tutto e da tutti. Essendo abituato a stare nel caos della città praticamente da quando sono nato, questa mia nuova dimensione mi ha fatto scoprire molte cose nuove. Il “Giardino Incantato” è il posto nel quale torno dopo i vari tour, il mio spazio senza tempo nel quale posso concentrarmi e scrivere musica in tutta tranquillità.”

E le tue fonti di ispirazione?

“Musicalmente parlando sono una persona molto curiosa. Mi piace ascoltare di tutto senza pregiudizi, prendendo ciò che c’è di buono in ogni cosa. A volte scelgo che musica ascoltare in base all’umore, un po’ come quando si sceglie quale vestito indossare. Tuttavia credo che la vera ispirazione venga dalle esperienze che ognuno fa nella propria vita; dai viaggi, dalle passioni, dallo stress, dalle conquiste, dalle sconfitte, dalle gioie e dalle delusioni. E’ difficile che io mi sieda al piano e pensi “Ok, adesso scrivo un pezzo”. La maggior parte delle volte succede che sviluppo una semplice idea che già mi canticchio nella testa, che siano semplicemente tre note o una figurazione ritmica, un intervallo o qualsiasi altra cosa.”

Quali sono stati per te i più grandi maestri, quelli che davvero hanno lasciato il segno in tutta la tua esperienza nella musica?

“Non saprei stilare un elenco di chi abbia lasciato il segno nella mia esperienza musicale. Posso solo dire che nel mio percorso ho avuto la fortuna di incontrare tantissime persone, che hanno contribuito a fare di me ciò che oggi sono. E non parlo esclusivamente di musicisti. Viaggiando molto ho avuto la fortuna di conoscere esseri umani eccezionali, persone di grande cultura, grande carisma e ampie vedute. Spesso basta una frase detta in un modo particolare, un’occhiata, un semplice consiglio, che ci si aprono subito delle porticine. Io ho imparato molto da tante persone con più esperienza di me ma anche da chi con la musica non ha niente a che fare. Spesso si incontrano persone illuminanti quando meno te l’aspetti.”

Come vedi l’attuale panorama musicale italiano? E soprattutto è difficile per un giovane emergere in un periodo forse così difficile?

“L’Italia non sta vivendo un periodo felice di per sé, ci troviamo in un momento storico molto particolare e ovviamente la musica ne risente di conseguenza. E’ sempre più difficile fare musica dal vivo in Italia, ma credo che il problema principale sia il problema culturale. Il musicista in Italia viene ancora considerato come il giullare di corte (se gli va bene), e molti non sanno che per diventare un musicista professionista ci vuole fatica, studio e tanti sacrifici. Molta gente non sa che suonare un concerto per pianoforte e orchestra può avere lo stesso coefficiente di difficoltà che eseguire un trapianto a cuore aperto. Certo, i rischi non saranno gli stessi, di musica non è mai morto nessuno, ma la difficoltà può essere la stessa se non addirittura superiore. La musica è una cosa seria. Gli enti pubblici non finanziano più i festival, le rassegne, le mostre, gli spettacoli teatrali. L’Italia che era la culla delle arti in generale è diventata la patria della mediocrità e del pressappochismo. C’è anche il problema “televisione” che riguarda soprattutto i giovani. Al ragazzino che va ancora a scuola gli viene inculcata l’idea che la musica siano solo i Talent Show, e che vincere “X-Factor” sia il punto di arrivo di chi vuole fare musica nella vita. Il ragazzino non ha idea di come si accordi la chitarra ma a lui non interessa, il ragazzino vuole vendere milioni di copie. Il ragazzino non ha capito che se vuole cantare bene o suonare bene uno strumento e fare un disco deve stare zitto, ascoltare, e schiumare il sangue su quello strumento per anni. E che i risultati si vedono dopo anni e anni di fatica e sudore. La rovina di tutto è questa voglia sfrenata di successo. Per quanto riguarda la professione del musicista, spesso mi chiedono se si può vivere di sola musica. La mia risposta è sì a patto che non si abbiano le fette di prosciutto sugli occhi o ancora peggio nelle orecchie. Bisogna non avere pregiudizi, e cercare di suonare quanta più roba possibile con quanta più gente possibile. Un musicista, o nel mio caso un pianista, se vuole vivere di musica deve saper leggere bene la musica, conoscere gli stili e suonare in molte situazioni musicali diverse tra loro, conoscere l’armonia, avere nozioni di arrangiamento, conoscere gli strumenti musicali (o quantomeno i loro timbri e le loro estensioni), saper accompagnare, saper improvvisare, ma anche saper guidare un’automobile per molte ore di fila, riuscire a dormire 5 ore a notte, saper usare internet in modo intelligente, saper rispondere alle e-mail, avere un sito internet, curare i contatti, fare public relations, saper stare sul palco, essere sempre garbato con gli altri sul posto di lavoro e generalmente non rompere mai le palle se non è strettamente necessario, saper usare software per registrare musica, conoscere un minimo le tastiere e soprattutto avere molta molta pazienza.”

C’è un musicista in particolare con cui prima o poi ti piacerebbe suonare almeno una volta? Diciamo un sogno nel cassetto…

“Bella domanda, ce ne sono tantissimi! In particolare mi piacerebbe suonare con Brian Blade, Avishai Cohen, Wayne Shorter, oppure duettare con Herbie Hancock (in verità è già successo molti anni fa, a Sacile nella fabbrica dei Fazioli) o andare in tour con i Chemical Brothers, con gli Air, con Bjork, con Fiona Apple. Beh, direi che può bastare.”

E per quanto riguarda i prossimi progetti? Stai già pensando a qualcosa di nuovo?

“Sto già lavorando contemporaneamente a due dischi nuovi, sempre con la Camjazz. Il primo l’ho già registrato ed uscirà a Marzo, il secondo lo registrerò a metà gennaio e uscirà quest’estate, ma per il momento non voglio svelare niente!”

Grazie per la tua disponibilità e in bocca al lupo

“Crepi il lupo e grazie a voi di tutto!”

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Tranety, un tributo a John Coltrane – intervista a Lorenzo Tucci

Circa un mese fa vi avevamo parlato del nuovo progetto di Lorenzo Tucci, Tranety (un tributo a John Coltrane) di cui abbiamo visto la presentazione al Music Inn (per leggere il live clicca qui). Insieme a lui sono saliti sul palcoscenico di questo Jazz Club, che in quell’occasione abbiamo avuto l’occasione di visitare per la prima volta, Claudio Filippini al piano e Luca Bulgarelli al contrabbasso. E alla fine di questa splendida serata, che ci ha trasportato nell’universo di uno dei più grandi jazzisti del mondo, abbiamo voluto fare qualche domanda a Lorenzo che ha risposto volentieri alle nostre curiosità

Lorenzo per cominciare volevo chiederti una curiosità. Solitamente ci si aspetterebbe un tributo a Coltrane da un sassofonista non da un batterista. Come mai questa scelta?

Diciamo che se avessi dovuto fare un tributo ad uno strumento chiaramente lo avrei fatto deciso di farlo alla batteria. Invece ho voluto basare la mia scelta sulle musiche e più in generale sullo sullo spirito “coltraneiano” vero e proprio. In altre parole ho deciso di scavalcare la questione legata alla strumento musicale, guardando direttamente alla musica, ovvero quello che realmente mi interessa.

Cosa pensi di condividere dello spirito di John Coltrane?

In questo caso io mi sono avvicinato a quei brani in maniera molto spirituale. L’approccio del disco, infatti, rispetto a quello del live è molto più spirituale perché mi interessava cogliere l’anima di Coltrane. La scelta di non avere un sax è legata proprio a questo aspetto. perché con il timbro del pianoforte riuscivo ad avere un approccio più morbido. Quindi, non è stata una scelta casuale anche perché di sassofonisti bravi ce ne sono veramente tanti e a livello musicale li rispetto anche molto.

E un approccio alla musica di Coltrane con un trio senza sassofono potrebbe anche essere uno stimolo di ricerca in più?

Sicuramente è una situazione che ti porta anche a suonare in modo diverso perché chiaramente hai degli stimoli nuovi. Per questo progetto non ho avuto bisogno del sax così come non ho avuto bisogno del pianoforte quando ho fatto un tributo a Thelonius Monk con un trio composto da batteria, contrabbasso e tromba. Le composizioni di Monk, infatti, si prestavano benissimo a quella situazione perché, essendo anche più scarne rispetto a quelle di Coltrane, funzionavano benissimo anche senza il supporto armonico del pianoforte.

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