Jazz Agenda

La nascita del progetto Majaria Trio – intervista a Lucrezio de Seta

Pubblicato recentemente dalla Headache Production, il Majaria trio è un progetto che vede accomunati tre musicisti d’eccezione: ovvero il batterista e percussionista Lucrezio de Seta, il bassistaAlessandro Patti e il pianista poli strumentista Primiano di Biase. Insieme hanno dato vita ad un progetto che, partendo dalle musiche popolari e del profondo Sud, si muove verso nuovi territori in cui non manca un intento esplorativo vivace e moderno. Lucrezio de Seta ci ha raccontato in prima persona questa nuova avventura.

Ragazzi, per cominciare una domanda forse un po’ banale che, però, ci incuriosisce. Come è nato il progetto Majaria trio?

“Il gruppo ha inizio da una telefonata di Alessandro Patti (Basso e Contrabbasso) che mi proponeva di vederci per suonare un po’ assieme ad un musicista di sua conoscenza (Primiano Di Biase: Pianoforte, Tastiere e Fisarmonica). Il caso voleva che io avessi conosciuto Primiano qualche mese prima per un gig in trio per un festival romano, per cui fui felice di accettare l’invito. Ci sono voluti da lì circa un anno di prove e concerti per iniziare a capire dove volevamo andare a parare, musicalmente parlando. Le prime prove erano pesantemente caratterizzate da suoni elettrici (synth, basso elettrico) che pian piano sono andati sempre più convergendo naturalmente verso una dimensione più acustica, che ci vede oggi in una configurazione da Trio Jazz classico con l’aggiunta della Fisarmonica.”

Ascoltando il disco ho percepito molte influenze che provengono dalla musica popolare e forse dal profondo Sud: quale è stato il vostro punto di partenza?

“Da subito l’idea di provare a incorporare elementi ‘ethno’ nel nostro linguaggio ci ha convinti tutti, ed è stato il Leitmotiv di tutta la nostra evoluzione degli ultimi 3 anni. Il nostro CD di esordio è sicuramente anche il più ‘colorato’ in quanto a visoni musicali ed estetiche. Ci sono elementi che vanno dalla musica nordafricana, ma anche richiami al fado portoghese  e il tango argentino che, assieme a reminiscenze nostrane delle terre del sud d’Italia, hanno dato l’anima a questo lavoro.”

Oltre a questo, però, non ho potuto fare a meno di notare anche la presenza di sonorità innovative che si potrebbero definire avanguardistiche: alla luce di questo come potreste definire questo progetto?

“Queste non sono altro che espressioni del nostro essere musicisti del 21°secolo… Sarebbe stato poco credibile, per quello che abbiamo tutti e tre come bagaglio musicale e professionale, partire con un progetto di musica Folk acustica… Il bello della nostra continua metamorfosi è proprio il dare il giusto tempo alle naturali evoluzioni che di volta in volta la musica e le nostre esigenze espressive ci suggeriscono. Personalmente credo che sia di estrema importanza rimanere sempre fedeli ai propri principi come alle proprie radici, pur spingendosi sempre più in là attraverso l’esplorazione di nuove modalità compositive e sonore. In questo non saremmo stati onesti verso noi stessi se avessimo creato un gruppo da una idea precostituita, semplicemente affidandoci alle nostre capacità di musicisti professionisti. Quando si ‘tira su’ un progetto, credo sia fondamentale partire da se stessi. Dove poi si può arrivare, non si sa ed è salutare non porre limiti. Ma la base deve essere quella del nostro bagaglio personale.”

Una curiosità: guardando i titoli in copertina, ho letto dei titoli molto particolari e allo stesso tempo evocativi, alcuni dei quali anche in dialetto. C’è un filo conduttore che avete seguito a livello compositivo?

“I titoli dei brani, da sempre sono spesso dei pretesti. A volte invece fanno riferimento ad immagini o suggestioni che hanno dato vita alle composizioni. Nel caso di ‘Harissa’, ad esempio, è evidente il riferimento al nordafrica e le sue ‘spezie’… Altri brani come ‘Ciauru i Mari’ o ‘Vedanta’ fanno invece riferimento a dialetti o concetti astratti. Insomma, i titoli possono dir tutto e niente, ed è anche giusto che l’ascoltatore si senta libero di interpretarne il significato derivandolo dall’ascolto della musica. Questo almeno in un contesto di musica strumentale come il nostro!”

Una mia considerazione personale: non ho potuto fare a meno di percepire delle sonorità decisamente mediterranee. Alla luce di questo, giusto o sbagliato che sia, c’è anche un intento di recupero della tradizione nel vostro disco?

“Se c’è, su ‘Majaria Trio’, questo era ancora una intenzione allo stato embrionale. Come detto prima, da subito abbiamo iniziato a strizzare l’occhio alle sonorità della musica popolare, ma senza mai divenire filologici o attenti al rispetto dei canoni della stessa musica. Diversamente è andata nel caso del nostro secondo CD ‘La Custodia del Fuoco’, uscito da poco e nato dalla collaborazione del Trio con la cantante Eleonora Bordonaro. In questo lavoro abbiamo ‘pescato’ dalla tradizione dei canti popolari siciliani, arrivando a musicare testi del ‘700 oltre a classici del secolo scorso resi celebri dalla divina Rosa Balistreri. Un progetto forse audace, ma di cui siamo tutti estremamente soddisfatti e che ha funto da punto di partenza per la realizzazione di uno spettacolo teatrale, che ha debuttato lo scorso 28 Dicembre a Roma, in collaborazione con la compagnia teatrale ‘La Bottega del Pane’.”

In un periodo come questo, dato che il vostro è un progetto sperimentale, ci sono delle difficoltà oggettive nel proporre qualcosa di nuovo?

“Le difficoltà sono quelle di chiunque oggi cerchi di portare avanti una visione. Questo discorso lo si può applicare tanto alla musica quanto a qualunque altro ambito della vita civile contemporanea. Nonostante questo, e grazie alla perseveranza di tutti i componenti e collaboratori che abbiamo coinvolto, i risultati sono molto incoraggianti. E’ sicuramente vero che proporre novità in questi anni sia una delle cose più difficili da fare, ma è anche vero che spesso ci si ferma al primo imprevisto, o alla prima aspettativa disattesa. Se alla base c’è una idea chiara, o perlomeno una volontà di portare avanti un progetto comune, rispettando i tempi necessari affinché un buon prodotto divenga una realtà oggettiva e riconoscibile, l’impresa è sicuramente meno ardua. Dico questo perché spesso ho contribuito anche io a ‘buone intenzioni progettuali’, che però avevano necessità di realizzare subito un riscontro positivo. Credo fermamente che la musica, o la cultura in generale, sia come un buon vino: Se non si ha la pazienza necessaria per farlo maturare, ci si deve accontentare di un buon novello…”

E allora vi faccio un in bocca al lupo per il futuro, ma prima di lasciarvi volete dirci quali saranno i prossimi appuntamenti in cui potremo ascoltare il trio?

“Abbiamo appena concluso un primo tour al sud, toccando Campania, Calabria e Sicilia. Non è una scelta casuale, ma un consapevole tributo alle terre che, più di altre, ci hanno dato ispirazione attraverso la loro storia e ricchezza. Saremo di nuovo ‘on the road’ da Aprile per una serie di date che riguarderanno tuta la penisola e che saranno intervallate dagli importanti appuntamenti del 15 Maggio all’Auditorium Parco della Musica di Roma e dalla Casa del Jazz in apertura della stagione estiva, durante la quale speriamo di arrichire il nostro calendario con partecipazioni ai vari Festival Italiani e Internazionali. Tutte le nostre attività sono consultabili sul web o sul nostro sito www.majariatrio.com o tramite la nostra pagina Facebookwww.facebook.com/majariatrio e su Twitter @majariatrio”

 

Grazie, per l’intervista, allora, e di nuovo in bocca al lupo!

“Viva sempre il Lupo! ;-)”

Carlo Cammarella

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