Jazz Agenda

il viaggio dei F.R.A.M.E. al Nuovo Teatro Colosseo

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Una voce fuori campo apre il concerto dei F.R.A.M.E., venerdì 1 luglio al Nuovo Teatro Colosseo. La voce, a suo modo, ci avvisa del viaggio che stiamo per compiere tra le culture e le coscienze, citando Shopenhauer (o l’induismo) e le 101 storie zen. All’apertura del sipario l’impatto è forte. Veniamo letteralmente investiti dalla musica, non facendo in tempo a capire che siamo già partiti. F.R.A.M.E. è un progetto che spazia nelle sonorità più disparate, dai forti rimandi alla musica Gnawa marocchina, a quella carnatica o al Nadanpattu indiano, con la predominanza di percussioni di ogni foggia, fino alle forme più conosciute di funk, progressive e jazz-rock. Un modo di incontrare culture vicine e lontane attraverso un mezzo sublime qual’è la musica. Ma anche il tentativo di tirar fuori all’ascoltatore emozioni recondite, che scivolano sullo spur of the moment. La voce ritorna, a momenti, giusto per non farci dimenticare la componente “spirituale” di questa esperienza. Così, proprio come la Maya citata, gli strumenti si compattano in un suono unico, completo, nel quale anche il cantato si relativizza. I ragazzi non hanno bisogno di sguardi d’intesa; ognuno, solo col proprio strumento, si lega perfettamente all’altro in maniera quasi inconscia. Sono belli persino da vedere, mentre se la ridono con lo sguardo perso. Il ritmo instancabile e a tratti frenetico proprio non ti lascia la possibilità di star fermo, così i seggiolini rossi non la smettono di vibrare e i piedi accennano quello che tutto il corpo vorrebbe fare. È il richiamo delle percussioni, molto presenti per tutto il concerto, che affascinano con la loro impronta rotonda. È il fascino del laud che tanto ci ricorda i Buena Vista Social Club. E quell’eco che rimanda al progressive italiano della PFM. Due omaggi a chiudere questa serata: il pensiero che tutti i musicisti in questi giorni dedicano ad Alberto Bonanni (giovane musicista picchiato a rione Monti e in gravi condizioni), e a Michael Brecker. F.R.A.M.E. è un’esperienza a più livelli, coraggiosa e di successo. È un giro di montagne russe “sonore”; quando si scende lo si vuole riprovare.

 

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

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Il viaggio dei F.R.A.M.E. prosegue – intervista a Roberto Lo Monaco

In un periodo certamente non facile per la musica dal vivo, noi di Jazz Agenda, che per vocazione abbiamo sempre cercato di dare spazio a formazioni emergenti, non possiamo che essere felici di presentare nuovi progetti. La formazione di cui vogliamo parlarvi questa volta è quella dei F.R.A.M.E., composta da Roberto Lo Monaco al basso elettrico, Federico Procopio alla chitarra elettrica e laud,Stefano Profazi alla chitarra acustica e classica, Federico Di Maio alle percussioni e al flauto,Martino Onorato al piano e sinth e Alessandro Pizzonia alla batteria. E visto che domenica 15 gennaio suoneranno nell’ambito della rassegna Spazio Jazz, nella splendida location delteatro lo Spazio, abbiamo deciso di focalizzare la nostra attenzione su questo progetto così originale ed evocativo. Roberto Lo Monaco, bassista che ha dato i natali a questa formazione, ci ha parlato volentieri di questa avventura che dura ormai da qualche anno.

Partiamo proprio dal nome della formazione, ovvero F.R.A.M.E., che tradotto in italiano vuol dire “fotogramma”, “istantanea” che in un certo senso ci è sembrato esplicativo del progetto. Partendo da questo punto ci vuoi raccontare la filosofia che lo ispira?

In realtà il nome è nato da una casualità. L’idea iniziale era, infatti, quella di usare un acronimo coi nostri nomi, ma alla fine siamo arrivati proprio a chiamarci F.R.A.M.E. perché questa parola ha un significato particolare che ci è sembrato adatto a rappresentare al meglio il nostro progetto poiché vuole provocare emozioni come le evoca in modo immediato un’immagine o una fotografia. Abbiamo lavorato molto tempo per assemblare in una struttura le idee dalle quali hanno preso vita i brani, partendo dall’essenziale per poi svilupparle al massimo delle nostre potenzialità. Diciamo che spesso siamo partiti da una matrice sonora o anche da un semplice groove, per poi lavorarci sopra. Quindi, da una semplice casualità si è creato un significato ben preciso.

Quindi, quali sono le diverse anime, o se preferisci le diverse sonorità, che possiamo trovare all’interno del progetto F.R.A.M.E.?

In realtà quando compongo i miei brani non mi pongo alcun limite. I generi che preferisco sono, infatti, il jazz-rock e la fusion (che é un’evoluzione del primo), stili che raccolgono diverse matrici musicali dove si può trovare tutto e il contrario di tutto, tanto sono vari e complessi. I richiami stilistici partono dal funk, dal rock, fino ad arrivare al jazz e alla musica classica e contemporanea. L’unione di questi generi dà vita ad un linguaggio senza confini la cui vera difficoltà è soprattutto riuscire a padroneggiare con cognizione i differenti stili.

Quindi, se ti dovessi chiedere un termine per spiegare la tua musica quale useresti?

Senza dubbio evocativa!

E visto che in questa formazione ci sono musicisti con estrazioni diverse, ma anche simili per certi versi, quali sono, secondo te, gli stimoli che si possono trovare in un progetto del genere?

Gli stimoli sono tantissimi perché si può attingere ad un bagaglio pressoché infinito e perché la stessa idea può essere suonata in centinaia di modi differenti in base al background di ognuno. In questa formazione, infatti, c’è chi ha un retaggio classico, chi jazz, funk, pop e anche rock. Chiaramente ci sono anche degli aspetti in comune tra i singoli, ma il background di ognuno è comunque differente e questo è il motivo per cui riusciamo a toccare più stili contemporaneamente. Il vero stimolo, quando capita di suonare in formazioni del genere, è dato quindi dalla fusione di questi linguaggi che uniti creano nuove sonorità.

Quindi, possiamo dire che per voi c’è sempre una ricerca continua?

Assolutamente! Questo fa parte della ricerca del singolo musicista, che è sempre curioso, non si ferma mai e assorbe come una spugna qualsiasi cosa, anche dal punto di vista umano.
Ci siamo reciprocamente stimolati moltissimo e col tempo abbiamo anche ampliato il line-up iniziale per completare ulteriormente il nostro bisogno di ricerca espressiva.

Ci vuoi raccontare, allora, l’evoluzione dei F.R.A.M.E.?

Quando abbiamo cominciato, eravamo in quattro: io ho composto i brani e in un certo senso sono il papà del progetto, ma gli altri tre componenti, ovvero Federico Procopio alla chitarra, Martino Onorato al piano e Alessandro Pizzonia alla batteria, hanno contribuito ad arrangiare e definire i brani. Ci sono voluti due anni di assestamento ed un gran lavoro di sala che ci ha permesso di affinare i particolari e poi abbiamo fatto moltissime jam, come resident-band, in un locale di San Lorenzo, il 360 Gradi. Dopo due anni è entrato nella band Federico Di Maio, che suona le percussioni e il flauto traverso, e poi Stefano Profazi alla chitarra classica ed acustica.

E per quanto riguarda i vostri punti di riferimento musicali, c’è stato un punto di partenza? O meglio ci sono stati dei musicisti o delle formazioni da cui avete preso spunto?

Quando ho iniziato a comporre i brani non mi sono ispirato pressoché a nulla, sono sgorgati in maniera prepotente dal mio background formatosi negli anni anche dall’ascolto di artisti come gli Uzeb, Tribal Tech, Yellowjackets e il Pat Metheny Group. Non ho avuto l’idea o l’esigenza di darmi dei punti di riferimento veri e propri comunque. La cosa che mi ha dato gioia è stata scrivere tutti i brani uno di seguito all’altro, dando vita ad una sorta di concept-album in cui tutte le melodie sono legate fra loro. Tutto questo mi ha profondamente entusiasmato ed ho sentito che avevo effettivamente parecchio materiale su cui lavorare.

E visto che siete un gruppo formato da elementi molto giovani, volevo chiedervi quale è, secondo voi, l’attuale situazione culturale in Italia, chiaramente dal punto di vista della musica…

Guarda, noi abbiamo partecipato a molti Festival, siamo stati diverse volte a Villa Celimontana Jazz &Image, al Parco della Musica e in i vari ed importanti club romani. La situazione di certo non è rosea e ci sono molte difficoltà che rendono la strada impervia. E’ difficile suonare dal vivo e visto che facciamo una musica di “nicchia” per un pubblico di appassionati, gli spazi sono veramente pochi, soprattutto suonano sempre gli stessi nomi da molti, troppi anni. C’è davvero poco spazio per le nuove proposte e ci sono alcuni giovani artisti che andrebbero davvero ascoltati e seguiti!!!

Lasciamo stare per un momento le difficoltà di questo momento e parliamo un po’ del vostro futuro. Quali sono i progetti più immediati a cui state lavorando?

Il progetto immediato è quello di registrare il disco, perciò stiamo cercando di trovare un’etichetta. Qualora non fosse possibile tutto questo vedremo di autoprodurlo noi, la nostra intenzione comunque e’quella di fare un CD ed un DVD live di questo progetto il cui titolo sarà “’TEN”. Ci stiamo attivando anche per uscire fuori dall’Italia per proporre la nostra musica in posti dove c’è un mercato più attento e un pubblico più sensibile a questo tipo di sonorità.

Allora in bocca al lupo e grazie mille per l’intervista!

Grazie a voi e un saluto ai lettori di Jazz Agenda!

Carlo Cammarella

Foto di Valentino Lulli

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