Jazz Agenda

Dialolgue’s Delight: “Quando la musica celebra la bellezza della connessione umana”

Si intitola Dialogue’s Delight il nuovo disco del duo composto dalla pianista e cantante Olivia Trummer e dal batterista Nicola Angelucci pubblicato il 5 maggio 2023 da A.D.A. Music Italy/Warner Music Italy. Una formazione atipica, per certi versi sperimentale, che attraverso le sue composizioni esprime gioia e libertà ma senza mai dimenticare il rispetto per quella tradizione che è sempre dietro l’angolo. Special guest d’eccezione in questo progetto è Luciano Biondini alla fisarmonica che impreziosisce alcuni dei brani presenti in questo lavoro. Ecco cosa ci hanno raccontato i protagonisti di Dialogue’s Delight.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco. Dialogue’s Delight prima di tutto esprime gioia e sottolinea senza dubbio la bellezza del dialogo. Vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Attraverso la musica riusciamo sempre a sentire ed esprimere un senso di gioia e libertà. "Dialogue’s Delight" non è un incontro tra due strumenti ma tra due personalità che hanno trovato nella musica una dimensione ideale per celebrare la bellezza della connessione umana. Una connessione che tra di noi è nata sin dal primo incontro, in modo molto naturale.

Una domanda per entrambi: il fatto di non avere il basso o contrabbasso, che viene sostituito dal pianoforte alla perfezione, vi ha consentito una maggiore libertà?

Non pensiamo al nostro duo come un trio senza basso. Il progetto è nato più come un piano e voce solo arricchito dalla presenza della batteria, che aggiunge ritmo, colori e dinamica ma, soprattutto, crea la possibilità del dialogo come continua fonte d’ispirazione. Ci divertiamo molto perché abbiamo tanto spazio per esprimerci e non siamo costretti a ruoli prefissati. È una sfida che ci fa crescere molto musicalmente.

A livello compositivo, quindi, cosa cambia e come vi siete comportati durante la fase creativa?

Una parte del compito nel costruire il nostro repertorio è stato scegliere i brani che potevano funzionare per il duo. Infatti, alcuni di essi li avevamo già, altri li abbiamo scritti appositamente, con l’idea di usare e dare spazio a tutti “colori” a disposizione, inclusa la fisarmonica del nostro ospite speciale, Luciano Biondini. Il titolo "Dialogue’s Delight" ha anche ispirato la creazione di alcuni testi, provando a creare un filo tematico: Incoraggiare il dialogo tra le persone.

Un duo piano e batteria è senza dubbio una formazione insolita: cosa ha reso attraente per voi, a livello musicale, questo incontro?

Potremmo dire l'idea di "Less is more"! In realtà, il nostro primo pensiero non sono stati gli strumenti ma il motore di tutto è stata solo la voglia di creare qualcosa insieme.

Questo progetto nasce nel 2016 dal vostro incontro. Raccontateci a questo punto anche il vostro percorso artistico…

Il nostro incontro musicale è iniziato quando io (Olivia) sono venuta in Italia per la prima volta per fare dei concerti. Mi proposero di suonare con una ritmica italiana e scelsi Nicola come batterista. È stato un incontro molto intenso sia a livello musicale che personale, che nel corso degli anni si è approfondito e si è trasformato in progetti e albums, come “Changes” in quartetto a nome di Nicola, "For You” in trio a nome mio ed ora quest’ultimo, "Dialogue’s Delight", che condividiamo in tutto e per tutto e del quale siamo orgogliosissimi.

Dialogue’s Delight rappresenta per voi un punto di partenza o un punto di arrivo?

Tutt’e due! È un punto di arrivo poiché siamo riusciti a creare un progetto molto equilibrato dove siamo "co-leader", contribuendo alla pari anche a livello compositivo, e trovando insieme ogni soluzione. Allo stesso momento è un punto di partenza poiché, finalmente, possiamo condividere con il pubblico questo risultato esibendoci live e ogni concerto è una esperienza che ci fa crescere. Sentire la reazione della gente, spesso commossa e sorpresa, ci sprona a continuare a credere in questo nostro progetto.

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Ora pensiamo a lavorare su "Dialogue’s Delight" nel migliore dei modi, è appena uscito e ci piace concentrarci su questo. Le evoluzioni potrebbero essere tante, abbiamo già altra musica pronta su cui lavorare, vedremo quale strada prenderà!

Avete anche qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Dopo l’uscita del disco abbiamo suonato a Roma, all’Auditorium, e poi a Berlino, a Stoccarda e domenica 21 al Blue Note. Porteremo Dialogue’s Delight anche a Umbria Jazz l’11 luglio e in diverse altre città, non solo italiane. Il cammino è appena cominciato. Nel frattempo continuiamo anche gli altri progetti e le altre collaborazioni. E’ un futuro intenso, di cui daremo notizia via via, anche sui nostri canali social.

 

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B.I.T. e il nuovo album Equilibrismi: “la ricerca dell’espressività melodica”

Pubblicato dall'etichetta Filibusta Records, Equilibrismi è l'ultimo progetto discografico del duo B.I.T, composto dalla pianista Manuela Pasqui e dalla sassofonista Danielle de Majo, uscito il 28 aprile del 2023. ll procedente lavoro discografico, con il quale la band ha esordito, era incentrato sulla rivisitazione di materiale proveniente dal repertorio classico. Questo secondo album è invece composto esclusivamente da brani originali. Un terreno fertile sul quale poter approfondire la dialettica fra i due strumenti e l'espressività melodica. Ecco il racconto di questa seconda avventura attraverso protagoniste.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Questo nostro secondo album è composto esclusivamente da brani originali, scelta determinata dalla necessità di condividere un terreno fertile sul quale poter approfondire la dialettica fra i due strumenti e l'espressività melodica; è frutto di una continua e profonda ricerca sia compositiva che improvvisativa; è cuore e fondamento del nostro lavoro e può essere perfettamente riassunto da questa parola: EQUILIBRISMI. Cercare e trovare l'equilibrio tra i molti elementi in gioco, mo(vi)mento dopo mo(vi)mento, istante dopo istante. Ci muoviamo così, come trapeziste su di una corda, alla continua ricerca di quell’equilibrio che fa dimenticare la paura del vuoto.

Raccontateci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Lavoriamo sul duo da circa quattro anni; già dal nostro primo incontro è scaturita una grande sintonia, l'evidenza di una condivisione di obiettivi artistici che ha dato la scintilla ad un vero e proprio “ricercare” . Il primo disco del duo B.I.T. era incentrato sulla rivisitazione di materiale proveniente dal repertorio classico e su brani originali, con l'intento di costruire un sound specifico e di sviluppare un linguaggio comune; il risultato lo potete ascoltare su COME AGAIN (Filibusta Records). La storia prosegue con EQUILIBRISMI (sempre Filibusta Records) e perchè privarvi del piacere della scoperta? Ascoltate anche questo secondo disco e dateci una vostra opinione!

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

Sicuramente una fotografia del momento, dato l'approccio totalmente live dell'incisione, ma ne' un punto di partenza (siamo già in viaggio da 4 anni) ne' uno di arrivo. Abbiamo intenzione di continuare ad andare avanti!

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

Il musicista di riferimento di Danielle è senza dubbio suo marito, Giancarlo Maurino, con il quale condivide la vita privata ma anche musicale. Giancarlo è un musicista di grande peso nella scena italiana (ha collaborato con musicisti del calibro di Mingus, Don Cherry, Elsa Soraes, Rava, Fresu, e molti molti altri); I riferimenti di Manu sono svariati, e nei confronti di tutti la stessa intensa gratitudine: primi amori pianistici sono stati per Chopin, Skryabin, Grieg, Bach e poi Pieranunzi, Marcotulli, Venier, Tylor.

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Come dicevamo precedentemente, abbiamo intenzione di continuare ad andare avanti. Aspettatevi un nuovo lavoro presto, sempre con Filibusta.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Molti concerti, seguite la programmazione sui nostri siti personali o su IG o FB. Il prossimo concerto a giugno al Writer Monkey di Monterotondo, vi aspettiamo!

 

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Dreams in a Spiral, il nuovo singolo di Sergio Casabianca dal carattere notturno e onirico

Pubblicato dall’etichetta TRP Music Dreams in a Spiral è il nuovo singolo di Sergio Casabianca che anticipa nuovo album intitolato “De Visu” previsto per il 1° settembre 2023. Un brano dal carattere notturno e onirico. Ecco il racconto di Sergio Casabianca!

Per cominciare l'intervista parliamo subito di questo singolo dal carattere notturno e onirico: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Dreams in a Spiral è un brano nato quasi casualmente, come diversi altri brani di mia composizione. Il carattere onirico e notturno scaturisce sicuramente da due fattori, uno ambientale ed uno più semplicemente tecnico: la notte, il silenzio e la penombra da un lato; la ripetizione di una cellula melodica semplice, quasi ad essere una sorta di mantra, dall’altro.

Non a caso, il titolo cerca di comunicare questa immagine di sogni, più o meno comprensibili, che roteano in una spirale lenta nella penombra. E’ questa l’immagine del brano nella mia testa.

La verità è che cercavo una sorta di costante trasformazione melodica che potesse arrivare una risoluzione, pur tuttavia attraversando numerose zone di chiaro-scuro. L’armonia usata per esprimere tutto ciò, e la forma abbastanza semplice del brano, sono la conseguenza di queste mie necessità artistiche in quel momento. Il tema è stato scritto ed armonizzato in poco tempo. Poi sono andato a dormire, finalmente!

Visto che a settembre uscirà anche il disco vuoi darci anche qualche anticipazione a riguardo?

Sicuramente il singolo rappresenta una parte importante delle sonorità contenute nel disco, ma non mancheranno momenti musicali diametralmente opposti. Per questa produzione discografica non ho voluto escludere a priori alcune idee in termini di mood e sound. E’ come se ci fossero 2 o 3 personalità artistiche e compositive che coesistono fondendosi in un sola. In fondo, tutti noi sappiamo sia essere seri e concentrati quanto vivaci, scherzosi e talvolta sopra le righe.

Parlaci anche del percorso che ha portato alla nascita di questo singolo e in seguito del disco...

Il processo che mi ha portato a poter registrare questo disco è sicuramente stato lungo. Nell’album ci saranno brani composti anche 6-7 anni fa ed altri, invece, composti negli ultimi mesi.Questo indica sicuramente la necessità di affinare idee, sound, linguaggio e controllo sugli stessi brani nel corso del tempo. Senza dubbio ho voluto mettere a nudo il sound della chitarra jazz nel trio. Questo è sicuramente uno dei miei principali obiettivi: usare la chitarra come strumento in grado di raccontare, costruire, connettere, ovviamente in sinergia con altri strumenti.

Negli anni ho avuto la fortuna di collaborare con diversi musicisti organizzando il materiale compositivo e suonando in giro con il mio trio. La formazione con Peppe Tringali e Riccardo Grosso rappresenta il punto di snodo per lo sviluppo di questo sound. E’ ovviamente stato fondamentale l’incontro con Riccardo Samperi e lo staff di TRP, per consolidare e dare realtà a questa idea progettuale.

Le atmosfere di Dreams in a Spiral sono minimali e rarefatte: quanto è stata importante per te anche la ricerca dei suoni giusti in questo progetto?

Per anni ho suonato jazz, e non solo, con strumenti diversi per cercare di trovare un sound che mi potesse soddisfare in termini comunicativi. Tra  2018 e 2020 mi sono esibito diverse volte col mio trio utilizzando una Fender Stratocaster, chitarra che amo. E non è detto che sia una strada da escludere nel futuro: lo stanno facendo in tanti, infatti.

Tuttavia, la voglia di avere un suono più acustico e caldo mi hanno riportato a scegliere per una archtop. In questo disco ho usato una Peerless Monarch. Anche l’effettistica, non usata in modo massiccio, ha per me il suo peso. Non sono un chitarrista che ama ballare il tip-tap tra i pedali ma alcune volte ho il piacere di esprimere alcuni momenti con l’uso di Delay, Wah, Octaver o altro. E’ chiaro come nel sound di un guitar trio, il suono dello strumento principale abbia un ruolo importante, ma ancora di più lo è ciò che esprime il sound generale e l’interplay.

Su alcuni brani, in fase di arrangiamento, sono state fatte le più svariate prove in termini ritmici, timbrici e stilistici grazie all’aiuto degli altri musicisti. La progressione armonica dei brani, invece, è rimasta praticamente quasi del tutto invariata dal momento della scrittura a quello della realizzazione.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

Il mio background musicale non è totalmente settoriale. Sin da bambino ho avuto la fortuna di apprezzare il Pop mondiale, sfociando naturalmente in un adolescenza più Rock. L’ascolto di Jazz e Classica hanno poi dato una sguardo di rispetto e meraviglia verso tutto ciò che possieda una dignità artistica che sia piccola o immensa. Nonostante io possa sembrare a tratti schizzinoso in termini di gusto, non amo davvero porre confini ai generi musicali.

Di sicuro la chitarra jazz oggi è decisamente in espansione grazie alla presenza, negli ultimi 20 anni, di chitarristi come Kurt Rosenwinkel, Jesse Van Ruller, Peter Bernstein prima,  e poi Gilad Hekselman, Lage Lund, Mike Moreno, Yotam Silberstein, Rotem Sivan, Romain Pilon , Julian Lage e tanti altri. Chissà quanti altri ne dimentico. Impossibile escludere Metheny o Scofield o Wes o Jim Hall dalla libreria degli ascolti.

Ma non è da sottovalutare come io possa essere stato direttamente  o indirettamente influenzato da Stevie Wonder, Jimi Hendrix, Beatles come da Beethoven, Bach o  Ravel, o ancora da Billy Strayhorn, Horace Silver, Cole Porter, Bille Evans, Coltrane, Shorter,  Joe Henderson e Charlie Parker.

Oltre a questo nuovo disco hai già altri progetti in cantiere?

Decisamente sì. Sicuramente continuerò la mia attività didattica e divulgativa su Guitarprof.com, oggi uno dei maggiori blog chitarristi in Italia. Dal punto di vista artistico ci sono tante idee. La necessità di portare avanti il mio sound in trio - e non solo - si fa sentire nella mia testa e nel mio cuore. Vedremo cosa succederà nel 2024. Intanto però, mi godrò l’uscita di De Visu in modo da poter convivere la mia musica con chi l’ascolta.

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La Tempête il nuovo singolo del Dos Duo Onirico Sonoro di Annalisa de Feo

Pubblicato dall’etichetta Filibusta Records, La Tempête è l’ultimo singolo del DOS Duo Onirico Sonoro, progetto ideato dalla pianista, vocalist e artista a tutto tondo Annalisa de Feo che anticipa la pubblicazione del prossimo disco. Un brano cameristico, cantato in francese, dove i suoni contemporanei si mescolano con la musica classica, con i ritmi balcanici e con l’elettronica in un unico flusso sonoro. Ecco cosa ci ha raccontato Annalisa de Feo.

Ciao Annalisa cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Ciao, questo nuovo singolo prende spunto da un concetto di duplicità che a mio avviso accomuna l'essere umano con la natura. Il titolo La Tempête è  piuttosto emblematico, per cui mi piace individuare in questo fenomeno naturale un'evoluzione che potrebbe essere paragonabile a quella di una forte emozione, positiva o negativa che sia. A livello più strettamente musicale il brano è caratterizzato da un ritmo serrato di piano e percussioni che improvvisamente lascia spazio ad una dilatazione sonora in cui si manifesta il canto sui versi di Jean Philippe Descoins; un gioco di alternanza tra quiete e tempesta, tra movimento e stasi.

Come tutti i tuoi brani anche questo è contaminato da vari stili. Rispetto alle tue composizioni precedenti cosa c'è di diverso in questo?

Si anche qui ci sono contaminazioni, a partire dalla pulsazione ritmica  del pianoforte che ricorda quella tipica del tango argentino, ai suoni elettronici che simulano sonorità più orientali.

Raccontaci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Il progetto DOS nasce con brani pensati essenzialmente per piano, voce e percussioni; l'idea del contrasto, delle contrapposizioni e delle sovrapposizioni è sempre stata centrale; con il tempo poi, e con il desiderio di sperimentare, si sono aggiunte sonorità più elettroniche da una parte (sintetizzatori e altre strumentazioni) e acustiche come gli archi, dall' altra.

E parlaci anche dalla tua storia artistica personale. Sappiamo che hai viaggiato molto...

Sì, il tutto è iniziato nel 2011, quando ho deciso di realizzare il classico sogno nel cassetto che ognuno di noi ha in serbo; e cioè quello di soggiornare per un periodo all'estero. Credo che viaggiare sia un tipo di esperienza ben diversa dal soggiornare. Nel primo caso tutto appare perfetto; una situazione ideale! Nell'altro invece, ci si confronta realmente con il quotidiano, con la vita di tutti i giorni, nel bene e nel male.

Artisticamente l'aver trascorso diversi anni fuori dall'Italia; prima a New York, poi negli UAE e infine a Berlino mi ha dato tanto: in primis aver fatto una scorpacciata di live pazzeschi; quando ero a New York capitava di vederne anche tre al giorno; in secondo luogo ho avuto la possibilità di rendermi conto personalmente delle realtà artistiche e musicali del luogo in cui mi trovavo al momento, a livello internazionale;

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

Ce ne sono alcuni che mi hanno incuriosito più di altri; tra questi posso citare: Bjork, Sakamoto, i Portishead, Jun Miyake.

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Uno dei prossimi passi sarà la pubblicazione di un nuovo brano inedito, per proseguire con la realizzazione del mio il mio terzo album con l'etichetta Filibusta Records. Sul piano musicale ho in mente di aprirmi a nuove collaborazioni, anche per ampliare sempre di più il sound e l'immaginario del DOS.

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Un’orchestra di chitarre nell’ultimo disco di Daniele Morelli intitolato Ars Musica

 

Si intitola Ars Musica l’ultimo disco del chitarrista Daniele Morelli uscito ad aprile del 2023 per l’etichetta Off Records. Un progetto in cui il chitarrista toscano, trapiantato in Messico da diversi anni, presenta quindici composizioni originali interamente riprodotte con la chitarra. Attraverso il suono di questo strumento che diventa ritmo, melodia e percussione allo stesso tempo, riprendono nuova linfa vitale alcune delle culture più antiche della storia. Un album, dunque, che rappresenta un viaggio verso un mondo ancestrale, tra suoni rarefatti e melodie sospese che spesso trascendono nella psichedelia.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Ars Musica è un album dedicato alle divinità della musica, dell’arte e della creatività del mondo antico, dai Sumeri all’antico Egitto, dalla Grecia ai Maya. Un album visuale, esteticamente inspirato a varie regioni del mondo cercando, attraverso il suono della chitarra, di rievocare sensazioni sconosciute e perdute nel tempo.

Rispetto alle tue produzioni precedenti cosa c’è di nuovo?

Ars musica è stato registrato completamente con chitarre elettriche, dalle percussioni ai rumori che si possono ascoltare. È il primo album che registro da solo concentrandomi in ogni brano sul suono il ritmo e il concetto de ripetitività richiamando appunto cerimonie e emozioni antiche, quindi ho volutamente trascurato per la prima volta l’armonia. Vi lascio scoprire il resto.

Raccontaci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Volevo registrare un album da solo, solo con chitarre, quindi ho iniziato a immaginare una orchestra di chitarre elettriche ognuna con un compito ben preciso. La prima idea è stata quella di sfruttare la chitarra come strumento esclusivamente ritmico per poi sviluppare delle melodie e improvvisazioni a tema.

Quanto ha influito la tua permanenza in Messico in questo disco?

Il Messico è un paese surreale ancora oggi dove si incrociano tante culture antiche e moderne, una kermesse di credenze direttamente connesse alle culture precolombiane messicane. Dopo tanti anni ancora mi sorprendo di situazioni che in Europa sarebbero improbabili se non impossibili. Poi chiaramente è una zona dove si respira ancora tanta spiritualità o comunque emozioni profonde fonte di ispirazione. Sappiamo molto poco a livello storico sui Maya o gli Zapotechi, quindi le rovine, le piramidi e il sincretismo attuale delle varie etnie lasciano spazio alla immaginazione. Adesso che ci penso ha influito anche ad abbassare il livello di auto giudizio sulla mia proposta musicale, voglio dire che mi aiuta a non giudicar la musica che faccio secondo un criterio occidentale, ma a concentrarmi sull’emozione che il suono provoca.   

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Mi piace vederlo come una fotografia del momento. Per me è un omaggio personale ad antiche culture e al fatto che in ogni angolo del pianeta gli esseri umani hanno sempre scelto una figura, a volte semi umana, come rappresentante della musica e dell’arte, divinità che insegnavano a cantare o a far musica e che si trasformano nella musica stessa. Uno sguardo personale al passato. 

Raccontaci anche come ci hai lavorato nella registrazione

Come dicevo sono partito quasi in tutti i brani da un’idea ritmica, poi ho sovra-inciso le chitarre melodiche, sempre rimanendo in un contesto modale, e una volta finito il brano ho registrato, sempre con la chitarra e l’uso di alcuni pedali come il Freeze e il Malekko delay, i rumori che fanno da paesaggio sonoro alla musica. Questo per ricreare l’ambiente necessario all’immaginazione auditiva e visuale della divinità o della cultura che ne fa parte. A livello compositivo ho giocato tanto con poliritmi e tempi diversi. È stato interessante usare ritmi diversi, una base in un tempo e una melodia in un altro, suonati insieme, a volte mi sorprendevo io stesso del risultato e immaginavo di scoprire la spiritualità della divinità attraverso l’applicazione matematica sul ritmo, così come possiamo usare la matematica per scoprire la bellezza e le immagini della natura ed era proprio qui che mi sorprendevo dell’emozione che provocano certi poliritmi, prima sconosciuta.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

In generale si, ci sono tanti artisti che sono stati importanti nella mia carriera di chitarrista e compositore, ma per quanto riguarda questo album non saprei indicare qualche riferimento sonoro o compositivo. Mi sembra e spero che sia un album diverso e originale in molti sensi.   

Come vedete questo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate aa questa musica?

Su questo ho sentimenti contrastanti, a volte credo che il concetto di questo album si possa suonare liberamente con altri strumenti e in gruppo, a volte immagino che ci vorrebbe una orchestra di chitarristi per riprodurlo come nel disco. Ma a parte le esibizioni live penso che sia un album talmente visuale che potrebbe avere evoluzioni nel cinema e magari in film di animazione.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Concerti in questo periodo non mancano anche se non sono legati a questo album. Tanti progetti in divenire ma soprattutto sto registrando con altri musicisti già il prossimo album che sarà totalmente diverso e un album in duo con Miguel Alzerreka, geniale vibrafonista messicano.

 

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Tape Songs, il disco d’esordio di Dario Troisi nasce dalla passione per il nastro

Pubblicato da Filibusta Records, Tape Songs è l’album d’esordio del pianista Dario Troisi. Un album che nasce dalla passione per il nastro, partendo dal sound tipico degli anni ’50 e ’60 che rappresenta le sue radici musicali. Insieme a lui hanno partecipato alla realizzazione di questo progetto Giuseppe Talone al contrabbasso e Massimiliano De Lucia alla batteria. Ecco il racconto di Dario Troisi a Jazz Agenda.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Il disco nasce dall’idea di recupero di materiale musicale da me composto negli anni, e tradurlo in un progetto discografico. Tape songs che letteralmente tradotto significa “canzoni a nastro” sta ad indicare la passione per un tipo di tecnica di registrazione utilizzata negli anni ’50 e ’60. Proprio per questo l’intento è quello di partire dal sound di quegli anni per poter sviluppare un’idea personale.

Raccontaci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Come spesso succede nella musica jazz, ci si trova a suonare in contesti lavorativi senza necessariamente conoscersi, senti subito se un musicista è affine al tuo linguaggio. In questo modo ho scelto i due componenti che formano la ritmica di questo disco. Giuseppe Talone al contrabbasso e Massimiliano De Lucia alla batteria. Le prime esibizioni sono state fatte in alcuni locali romani e da lí è nata l’idea di incidere un disco.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

Come detto in precedenza per me questo disco rappresenta l’organizzazione di materiale composto negli anni. Anni in cui si sono alternati periodi in cui questa musica veniva suonata meno a periodi in cui, invece, veniva utilizzata continuamente per essere modificata ogni volta fino a trovare quella che per me è considerata una giusta linea.

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

Per quanto riguarda l’aspetto compositivo autori come Paul Bley e Thelonious Monk hanno influito molto. Per quanto riguarda l’idea di suono che volevo ottenere sicuramente lo sguardo è rivolto verso quei musicisti degli anni ’50 e ’60 che più mi hanno influenzato (ne dico alcuni poiché sarebbe impossibile nominarli tutti): Bill Evans, Winton Kelly, Red Garland, Kenny Barron, Bill Charlap, Bud Powell, Bobby Timmons, Tommy Flanagan, Hampton Hawes, Cedar Walton.

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Non so, mi piace pensare di mantenere questo sound e cercare di evolverlo e svilupparlo nel tempo cercando nuovi stimoli attraverso generi che conosco meno.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Per ora stiamo organizzando dei concerti di presentazione ma ancora niente di definitivo.

 

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Lorenzo Bisogno racconta il nuovo disco Open Spaces uscito per Emme Record Label

Pubblicato dall’etichetta Emme Record Label, Open Spaces è il disco d’esordio di Lorenzo Bisogno alla testa di un quartetto completato da Manuel Magrini al pianoforte, Pietro Paris al contrabbasso, Lorenzo Brilli alla batteria e lo special guest Massimo Morganti al trombone. Un lavoro elegante e dall’innato senso melodico dove il contemporary jazz si sposa alla perfezione con i suoni della tradizione. Ecco il racconto di Lorenzo Bisogno.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Nel disco sono presenti 8 tracce di cui 5 brani originali composti nell'ultimo anno, una composizione scritta durante il mio soggiorno a New York ("Searching for the next") e due arrangiamenti di standards ai quali sono molto legato: "The Moontrain" di Woody Shaw e " 317 East 32nd Street" di Lennie Tristano. A completare la band ci sono Manuel Magrini al pianoforte, Pietro Paris al contrabbasso, Lorenzo Brilli alla batteria e la special guest Massimo Morganti al trombone.

Raccontaci adesso la storia di questo progetto: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Volevo incidere un disco ormai da diverso tempo, soprattutto al ritorno dal mio lungo periodo a New York dove ho frequentato il master in jazz Studies presso il Queens College in cui ho avuto molti stimoli ed incontri importanti. Grazie alla vittoria del premio Massimo Urbani nel 2021 ho avuto la possibilità di registrare e produrre questo album presso il Tube Recording studio per l'etichetta discografica Emme record Label di Enrico Moccia. Ho voluto subito coinvolgere dei musicisti ai quali sono sempre stato legato sia umanamente che professionalmente: Manuel Magrini al pianoforte, Pietro Paris al contrabbasso e Lorenzo Brilli alla batteria. Mi piaceva l'dea di registrare questo album insieme a loro perché sono diversi anni che cerchiamo di costruire insieme un suono in quartetto; inoltre ad impreziosire il tutto ho voluto inserire uno dei musicisti che più ammiro nella scena internazionale, il trombonista, arrangiatore e compositore Massimo Morganti.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

Per me questo disco rappresenta un nuovo punto di partenza; per un artista registrare un disco significa mettere un punto fermo per la carriera, una fotografia di quel particolare momento, raccogliendo i pregi e i difetti che ne derivano. Essendo molto critico con me stesso, questa opportunità è stata l’occasione per decidere di incidere questo primo disco da leader. Il disco oggigiorno è un biglietto da visita per il musicista, un modo per far conoscere la propria musica, quindi mi sto impegnando molto per portarlo in giro nei vari festivals jazz.

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

Sicuramente il primo grande impatto con il jazz è stato grazie all’incontro con Ramberto Ciammarughi, che mi ha fatto capire come raccontare una storia mentre si improvvisa, sviluppando una personalità e un suono proprio. Più tardi grazie all’esperienza newyorkese ho avuto modo di conoscere musicisti incredibili come Antonio Hart, sassofonista che è stato la spalla di Roy Hargrove per tanti anni; Tim Armacost uno dei tenoristi più apprezzati della scena jazz internazionale che è stato per me un grande coach musicale e non solo; Jeb Patton, pianista dal quale ho imparato la vera essenza dello swing; poi ce ne sono tantissimi altri che sono stati di grande impatto per il mio percorso come ad esempio Joel Frahm, Mark Turner, Ari Hoenig, Tom Harrell, Lee Konitz. Ovviamente poi ci sono tutti i musicisti che hanno fatto la storia del jazz e che tutti abbiamo trascritto e studiato almeno una volta per capire a fondo questo linguaggio come S. Rollins, D. Gordon, F. Hubbard, J. Coltrane, B. Powell etc.

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Spero di portare avanti questo quintetto, suonando la mia musica nei vari festival jazz d’Italia e d’Europa; veniamo da un’estate intensa dove abbiamo suonato un’anteprima del mio album in Italia, in Svizzera e in Spagna e spero di poter continuare con questo progetto.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

C’è già l’idea di un nuovo album, magari con una formazione diversa. La dimensione del duo con pianoforte o fisarmonica mi affascina molto e mi piacerebbe cimentarmi in un nuovo progetto così diverso; ma anche la formazione trio con contrabbasso e batteria è sempre stato un suono molto affascinante per me, essendo più libero armonicamente e ritmicamente. Ora sto lavorando per cercare concerti da fare con questo quintetto e il prossimo appuntamento sarà a Roma presso ‘Il Cantiere’’, un posto fantastico gestito dal collettivo Agus.

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