Pubblicato dall’ etichetta romana Via Veneto Jazz, Ari’s Desire è l’ultimo lavoro generato dall’estro di Paolo Recchia, sassofonista virtuoso e raffinato molto attivo nella scena capitolina e nazionale. Un disco che vede la partecipazione di Nicola Angelucci alla batteria, Nicola Maresu al basso e anche la collaborazione del talentuoso trombettista russo, Alex Sipiagin. E’ una musica che si muove verso l’improvvisazione e verso territori a volte inesplorati, quella che Paolo Recchia ci propone con questo nuovo progetto. E noi siamo stati ben lieti di approfittare della sua disponibilità per parlare insieme di questo suo ultimo disco.
Paolo, in questo tuo ultimo lavoro, Ari’s Desire, abbiamo notato una forte tendenza verso l’improvvisazione e soprattutto, nei tuoi brani originali, la voglia di esplorare nuovi territori. Cosa rappresenta per te questo disco? Un punto di partenza o un punto di arrivo?
“Ari’s Desire rappresenta tre importanti anni ricchi di concerti, di viaggi, di esperienze, di nuovi incontri musicali ed umani; è un disco di jazz, quindi oltre ad organizzare il repertorio e gli arrangiamenti, l’improvvisazione la fa da padrone; quello che ho dato ai miei brani è quello che ho dato agli altri brani del disco. Approccio ed esploro “Pent-up house” allo stesso modo di come esploro un mio brano, magari semplice, scritto sulle armonie di uno standard per esempio! Quello che mi interessa è l’idea musicale, è creare un sound originale e comunicare insieme e ciò è riuscito bene con questo trio perché abbiamo avuto la fortuna di suonare con una certa frequenza. “Ari’s Desire” è sicuramente un punto di arrivo poiché è un disco che ho tanto desiderato ma è uno di qui punti di arrivo che prelude ad una nuova partenza, insomma la voglia di fare meglio con qualche altro progetto in cantiere.”
Oltre alle tue composizioni inedite in questo disco ci sono anche alcuni brani di John Coltrane e Sonny Rollins. Quale è, invece, il tuo rapporto con la tradizione?
“Profondo amore. Vengo da studi classici ma per quanto riguarda il jazz sono un autodidatta e quando incominciai a tentare di praticare l’omnibook di Charlie Parker ascoltavo qualche suo disco come quelli di Massimo Urbani, di Michael Brecker, di Kenny Garrett, di Rosario Giuliani, di Stefano Di Battista, di Bob Mintzer. In maniera del tutto naturale la mia curiosità si è andata ad incanalare sempre più verso i grandi del passato: mi sono innamorato di Coleman Hawkins ascoltando una sua versione di “There Will Never Be Another You”e dei vari Sonny Rollins, Lester Young, Stan Getz, Oscar Peterson, Don Byas, Johnny Hodges, Bobby Hackett ,Poul Gonzalves per molti motivi. Per me è stata una scoperta meravigliosa, un mondo pieno di dettagli avvolti da sincerità unica e genialità irripetibile che sono prerogativa di quegli anni. Attualmente studio con costanza ciò che appartiene alla tradizione, pozzo interminabile di ispirazione, ma ascolto con curiosità ed interesse anche Sipiagin, Marsalis, Meldhau e tutta la nuova scena musicale newyorkese ed internazionale.”
Una delle prime cose che abbiamo notato ascoltando il disco è sicuramente l’assenza del pianoforte. Quali sono, secondo te le, potenzialità di questa formazione?
“In un lavoro come questo ciò che salta all’orecchio è il sound complessivo della band: il pianoless ha un suono più “asciutto” e l’assenza dello strumento armonico se da un lato ha messo alla “prova” la forza di coesione e l’ascolto reciproco di noi musicisti dall’altro ci ha permesso la ricerca di soluzioni armoniche e ritmiche con maggiore libertà. Ed in questo credo risiedano le potenzialità di questa formazione.”
C’è forse una maggiore libertà?
“Esatto!”
Ci vuoi raccontare, invece, come è nata la collaborazione con Alex Sipiagin?
“L’incontro con Alex Sipiagin è avvenuto nel febbraio del 2010 a Roma: suonavo all’Alexanderplatz con il mio Trio e tra il pubblico c’era Alex con il resto della sua band (Clarence Penn, Adam Rogers e Boris Klozov). Un paio di sere dopo il palco era il suo ed io ero tra il pubblico; in quel periodo stavo organizzando la registrazione del nuovo disco ed Alex sembrò immediatamente l’ospite ideale, per fantasia ed apertura musicale. Gli proposi l’ingaggio alla fine del suo concerto e accettò subito con entusiasmo!”
E visto che il titolo rappresenta anche una dedica, potremmo dire che stia vivendo un periodo positivo sia sotto il profilo artistico, ma anche sotto quello sentimentale…
“Direi proprio di si! Sono innamorato della mia famiglia, che è per me il porto sicuro, la confidenza e lo stimolo a fare sempre meglio ed alla mia famiglia dedico l’album, che potrei definire l’album dell’”attesa” visto che molto del lavoro svolto ha coinciso con l’attesa della nascita di mia figlia. Sotto il profilo artistico mi sento un fortunato perché riesco a condividere il mio lavoro con musicisti di cui ho molta stima, anche umana; il Paolo Recchia musicista ha voglia di migliorare e di crescere e sa che c’è tanto lavoro da fare.”
E per il futuro? Quali sono i tuoi prossimi progetti?
“Progetti? Suonare sempre … fino alla fine!”
Paolo, allora, grazie mille per l’intervista…
“Grazie a voi e vi aspetto il primo dicembre a Roma all’Alexanderplatz con il mio Trio con Pietro Ciancaglini al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria … non mancate!”