Jazz Agenda

Alfonso Deidda presenta il disco “Lucky Man” alla Casa del Jazz

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Sabato 14 febbraio, alla Casa del Jazz Alfonso Deidda presenterà in concerto il suo nuovo lavoro discografico “Lucky Man”, realizzato con Jando Music e Via Veneto Jazz. Il disco esce a febbraio 2015 per Jando Music e Via Veneto Jazz ed è il primo album da leader di Alfonso Deidda, sassofonista, polistrumentista e compositore-arrangiatore salernitano. Il repertorio è improntato su brani originali di chiara matrice jazz con varie influenze contemporanee (latin, jazz europeo, free, funk), dove l’interplay tra i musicisti è assoluto protagonista. I brani in questione hanno una verve molto spiccata, con melodie semplici ed efficaci, con armonie talvolta complesse dove l’emozione è palpabile. La band fornisce al solista di turno un sostegno di grande finezza e profondità, ed è composto da musicisti di eccezionale bravura ognuno dei quali leader nel proprio strumento. Spicca, infatti, la presenza di un interprete maturo e affermato come il pianista anglo-italiano Julian O. Mazzariello, nonché quella di uno fra i grandi virtuosi del basso elettrico e contrabbasso contemporaneo, Dario Deidda, e quella di un batterista straordinario quanto originalissimo come Alessandro Paternesi. Nel cd, infine l’ eccezionale presenza di un grande solista come Fabrizio Bosso, trombettista ormai consacrato sulle scene nazionali ed internazionali, virtuoso e lirico come pochi, di grande impatto e carica emotiva che riesce a dare al sound generale un imprinting assolutamente determinante.

 

Casa del Jazz: viale di Porta Ardeatina, 55

Info: 06/704731

Ingresso 10 euro

 

Sabato 14 febbraio 2015 ore 21 (sala concerti)

 

ALFONSO DEIDDA

“Lucky Man”

Alfonso Deidda sax e clarinetto basso

Julian O. Mazzariello pianoforte

Dario Deidda contrabbasso e basso elettrico

Alessandro Paternesi batteria

Ingresso euro 10

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Max Ionata Quartetto – Dieci – una recensione

Matteo Pagano e Via Veneto Jazz presentano Max Ionata Quartetto. Max Ionata (sax tenore), Luca Mannutza(piano), Nicola Muresu(contrabbasso) e Nicola Angelucci (batteria) per questa produzione di rara bellezza, un “complealbum” per e da festeggiare. Dieci è straordinariamente jazz. Un jazz autentico che riconosce e si riconosce. Sin da Astobard(Muresu). L’ingresso è trionfale e rivela subito il featuring. La tromba di Fabrizio Bossosvetta. Il dialogo col sax di Ionata si fa d’intesa. Ionata e Bosso direzionano, puntano e conquistano. Angelucci macina uno swing spassoso che viaggia come un treno. Il pianismo di Mannutza è discreto, morbido, un velluto. Gioca di stop. E ogni fermata riparte con uno slancio che appassiona. Ionata, funambolico e disinvolto, crea edifici melodico-armonici di un fascino raro. Entrano subito in testa. L’attenzione per la linea e la discorsività dei fraseggi spingono l’interplay in uno spazio empatico totale e totalizzante, dove tutto è univocamente percepibile. Perfetto il timing. Un dialogo a tre, fatto di entusiasmati personali e ben sostenute confidenze sax-tromba. La traccia 2 è un omaggio a due grandi del jazz. Coltrane meets Evans (Mannutza) è un incontro per incontrare. Scorre, vivo. Bosso lancia note a cascata. Mannutza incasella, parsimonioso. È un singhiozzo che arresta e spinge. La talpa (Ionata) inverte la marcia. È un cambio di rotta. Scanzonato e disinvolto. Mannutza conquista un assolo ricco ed estremamente vario, sostenuto da un walking bass sempre presente, discreto, stabile. Pochi secondi e si riconquista il tempo. Ionata detta il riff. Mannutza segue, a mani slegate. Il basso provoca. Il fraseggio della destra è fitto e ricco, un ricamo. Turn around (Mannutza) sollecita un’atmosfera da promenade. Gira intorno. Uno standard dedicato, Who can I turn to (Bricusse-Newley), ripensato in tempo medio, raccoglie e a metà strada prepara il giro di boa. Finalmente emerge, timido, Muresu. Lode 4 Joe (Ionata) è la ballata che resta, di un lirismo che consola. Carezzevole e intimo. Con Altalena (Mannutza) ritornano i giochi a due. Il contrappunto è intrigante e sintonico. La voce di Ionata incontra quella di Bosso, in uno scambio amabile d’eleganza e raffinatezze. È un fluire di suggestioni. Chiude l’album Attila (Lease) (Muresu), dai contenuti che non t’aspetti, a confidare nel titolo, ma che comprendi con l’ascolto. Un abbraccio da congedo, che lascia nelle orecchie, mistico e dolce, il desiderio del re-start. Evapora, fino a scomparire in uno spazio immobile, quello, stanco, che ha visto il passaggio e ha vissuto le turbolenze di un’emozione che non torna. Ionata distende il pensiero, mentre Mannutza, sullo sfondo, ne conserva, vivo e in moto perpetuo, il ricordo. Tace.

Eliana Augusti

(VVJ Records 2011)

Max Ionata – sax tenore

Luca Mannutza – piano

Nicola Muresu – contrabbasso

Nicola Angelucci – batteria

Special guest Fabrizio Bosso – tromba e flicorno

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Paolo Recchia racconta il suo… “Ari’s Desire”

Pubblicato dall’ etichetta romana Via Veneto Jazz, Ari’s Desire è l’ultimo lavoro generato dall’estro di Paolo Recchia, sassofonista virtuoso e raffinato molto attivo nella scena capitolina e nazionale. Un disco che vede la partecipazione di Nicola Angelucci alla batteria, Nicola Maresu al basso e anche la collaborazione del talentuoso trombettista russo, Alex Sipiagin. E’ una musica che si muove verso l’improvvisazione e verso territori a volte inesplorati, quella che Paolo Recchia ci propone con questo nuovo progetto. E noi siamo stati ben lieti di approfittare della sua disponibilità per parlare insieme di questo suo ultimo disco.

 Paolo, in questo tuo ultimo lavoro, Ari’s Desire, abbiamo notato una forte tendenza verso l’improvvisazione e soprattutto, nei tuoi brani originali, la voglia di esplorare nuovi territori. Cosa rappresenta per te questo disco? Un punto di partenza o un punto di arrivo?

“Ari’s Desire rappresenta tre importanti anni ricchi di concerti, di viaggi, di esperienze, di nuovi incontri musicali ed umani; è un disco di jazz, quindi oltre ad organizzare il repertorio e gli arrangiamenti, l’improvvisazione la fa da padrone; quello che ho dato ai miei brani è quello che ho dato agli altri brani del disco. Approccio ed esploro “Pent-up house” allo stesso modo di come esploro un mio brano, magari semplice, scritto sulle armonie di uno standard per esempio! Quello che mi interessa è l’idea musicale, è creare un sound originale e comunicare insieme e ciò è riuscito bene con questo trio perché abbiamo avuto la fortuna di suonare con una certa frequenza. “Ari’s Desire” è sicuramente un punto di arrivo poiché è un disco che ho tanto desiderato  ma è uno di qui punti di arrivo che prelude ad una nuova partenza, insomma la voglia di fare meglio con qualche altro progetto in cantiere.”

Oltre alle tue composizioni inedite in questo disco ci sono anche alcuni brani di John Coltrane e Sonny Rollins. Quale è, invece, il tuo rapporto con la tradizione?

“Profondo amore. Vengo da studi classici ma per quanto riguarda il jazz sono un autodidatta e quando incominciai a tentare di praticare l’omnibook di Charlie Parker ascoltavo qualche suo disco come quelli di Massimo Urbani, di Michael Brecker, di Kenny Garrett, di Rosario Giuliani, di Stefano Di Battista, di Bob Mintzer. In maniera del tutto naturale la mia curiosità si è andata ad incanalare sempre più verso i grandi del passato: mi sono innamorato di Coleman Hawkins ascoltando una sua versione di “There Will Never Be Another You”e dei vari Sonny Rollins, Lester Young, Stan Getz, Oscar Peterson, Don Byas, Johnny Hodges, Bobby Hackett ,Poul Gonzalves per molti motivi. Per me è stata una scoperta meravigliosa, un mondo pieno di dettagli avvolti da sincerità unica e genialità irripetibile che sono prerogativa di quegli anni. Attualmente studio con costanza ciò che appartiene alla tradizione, pozzo interminabile di ispirazione, ma ascolto con curiosità ed interesse anche Sipiagin, Marsalis, Meldhau e tutta la nuova scena musicale newyorkese ed internazionale.”

Una delle prime cose che abbiamo notato ascoltando il disco è sicuramente l’assenza del pianoforte. Quali sono, secondo te le, potenzialità di questa formazione?

“In un lavoro come questo ciò che salta all’orecchio è il sound complessivo della band: il pianoless ha un suono più “asciutto” e l’assenza dello strumento armonico se da un lato ha messo alla “prova” la forza di coesione e l’ascolto reciproco di noi musicisti dall’altro ci ha permesso la ricerca di soluzioni armoniche e ritmiche con maggiore libertà. Ed in questo credo risiedano le potenzialità di questa formazione.”

C’è forse una maggiore libertà?

“Esatto!”

Ci vuoi raccontare, invece, come è nata la collaborazione con Alex Sipiagin?

“L’incontro con Alex Sipiagin è avvenuto nel febbraio del 2010 a Roma: suonavo all’Alexanderplatz con il mio Trio e tra il pubblico c’era Alex con il resto della sua band  (Clarence Penn, Adam Rogers e Boris Klozov). Un paio di sere dopo il palco era il suo ed io ero tra il pubblico; in quel periodo stavo organizzando la registrazione del nuovo disco ed Alex sembrò immediatamente l’ospite ideale, per fantasia ed apertura musicale. Gli proposi l’ingaggio alla fine del suo concerto e accettò subito con entusiasmo!”

E visto che il titolo rappresenta anche una dedica, potremmo dire che stia vivendo un periodo positivo sia sotto il profilo artistico, ma anche sotto quello sentimentale…

“Direi proprio di si! Sono innamorato della mia famiglia, che è per me il porto sicuro, la confidenza e lo stimolo a fare sempre meglio ed alla mia famiglia dedico l’album, che potrei definire l’album dell’”attesa” visto che molto del lavoro svolto ha coinciso con l’attesa della nascita di mia figlia. Sotto il profilo artistico mi sento un fortunato perché riesco a condividere il mio lavoro con musicisti di cui ho molta stima, anche umana; il Paolo Recchia musicista ha voglia di migliorare e di crescere e sa che c’è tanto lavoro da fare.”

E per il futuro? Quali sono i tuoi prossimi progetti?

“Progetti? Suonare sempre … fino alla fine!”

Paolo, allora, grazie mille per l’intervista…

“Grazie a voi e vi aspetto il primo dicembre a Roma all’Alexanderplatz con il mio Trio con Pietro Ciancaglini al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria … non mancate!”

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Enzo Pietropaoli Quartet – Yatra – una recensione

Se ci fermiamo a riflettere per qualche istante e pensiamo a tutte quelle persone che amano cimentarsi con uno strumento, possiamo facilmente concludere che molte di esse sapranno suonare molto bene. Tuttavia, dopo averci pensato ancora un po’, arriveremmo sicuramente alla conclusione che non tutte hanno la capacità di ricreare attraverso ciò che suonano luoghi, scenari e atmosfere come se al posto del loro strumento avessero un pennello. E’ la prima riflessione che ci è venuta in mente dopo aver ascoltatoYatra, un cd prodotto da Jando Music e Via Veneto Jazz che porta la firma di Enzo Pietropaoli, musicista dalla carriera pluridecennale che in questo lavoro, dopo anni di esperienza nella musica, esordisce come leader di un quartetto. Insieme a lui Fulvio Sigurtà alla tromba, Julian Mazzariello al piano e Alessandro Paternesi alla batteria.

Ma fermiamoci per un secondo sul titolo di questo lavoro. Yatra, nel linguaggio urdu hindustani, significa per l’appunto viaggio ed è sicuramente la fonte ispiratrice di un lavoro registrato in Italia dopo una serie di concerti che hanno avuto luogo proprio in India. Un disco in cui è presente tutta la sensibilità di un musicista esperto che riesce a infondere originalità e delicatezza allo stesso tempo. In Yatra tutto diventa semplice, le melodie non vengono appesantite e si respira un’atmosfera di  piacevole sintonia fra tutti i musicisti che vi prendono parte. I brani che compongono questo Cd (tra cui vi segnaliamo Il mare di fronte, Smooth and Blue, Il cuore e l’azzurro) più che delle composizioni musicali sembrano degli affreschi disegnati da un abile pittore che muove il suo pennello sulla tela forse per riportare proprio le sue esperienze di viaggio.

E visto che tutto è cominciato da alcuni concerti in India, non ci sembra un caso che il filo conduttore di questo progetto, così leggero ma anche così incisivo, sia proprio il viaggio, inteso come mentale, fisico, e perché no anche sonoro. Fra tutti i musicisti spicca sicuramente Fulvio Sicurtà che, senza togliere nulla agli altri, attraverso la sua tromba arricchisce la tela del pittore con colori frizzanti e con un timbro forte, deciso, leggero. Bellissima anche la riproposizione del brano di Camille “Por Que l’Amour me quitte” in cui Pietropaoli raccoglie l’archetto e si sostituisce alla voce della cantante francese, e quella di  Tum Ko Dheka, del musicista indiano Jagjit Singh, che date le origini del disco, arricchisce ancor di più un lavoro comunque organico e di pregevole fattura. E cosa possiamo dire di più se non che è stato veramente un piacere ascoltare un disco che finalmente porta la firma di Enzo Pietropaoli. E che disco!

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