BARI IN JAZZ live diary – 1 luglio 2011
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Al Bari in Jazz l’incontro è di casa. L’incontro. Quella straordinaria possibilità che è l’incontro. Accade. Per strada, da una bicicletta. Davanti a una birra, rigorosamente ghiacciata. Sotto il tetto d’un paradiso d’ombrello, mentre di là dal cielo si scatena l’inferno. All’ombra di un fazzoletto di bistecca, che sarebbe più facile da stracciare, ad averci il coltello giusto. Momenti. Rari. Unici. Non solo jazz. O magari, anche questo è jazz. D’altronde, la musica come la vita, e la vita come la musica, «sono solo questioni di stile», diceva Miles.
Al Piccinni c’è il Blake Allison Drake Trio. Bella l’atmosfera. Si inizia così, d’impatto. L’energico assolo dei drums di Hamid Drake scalda. Si va di stop. È una presenza convinta. Entusiasta. Entra nel vivo. C’è empatia. Il sax di Michael Blake è intenso. Forte. Avvolgente. I colori sono accesi. Poderose e sicure le linee tracciate dal contrabbasso di Ben Allison. C’è carattere. È un carisma perforante, che penetra, di netto. È una sinergia perfetta. Il varco è aperto. Il sax di Blake accede, arruffato, sui ribattuti e i percorsi cromatici di Allison. Caldi. Pastosi s’innervano, esplorando il registro più scuro. Il tema progredisce. Ed è una dolce salita, rotta, ispida sul finale. La percussività mimica di Drake incuriosisce e affascina. Blake ci imbastisce su un ricamo. Soffuso. Fermo immagine. Blake si incaglia su un modulo semplice, ritmicamente segnato, melodicamente circoscritto. È un labirinto che non pare conosca via d’uscita. Soffoca. L’esigenza è la fuga. Ed è un lungo vagare, fatto di passi stanchi e trascinati. Stenta. Esanime. Sfilacciato. Desiste. Cambia l’angolo di campo. Il sax lascia spazio ad una melodica. È quasi un reggae time. Scanzonato. L’interplay è naturale, luminoso. Il racconto avvince. Non ci sono fronzoli. Nessun inutile e frustrante virtuosismo. Le linee sono spezzate, posizionate con cura in uno spazio definito e guidano l’andare. Passa e va. Scompare all’orizzonte. Montreal midnight. Nuovo set. Drake lascia i drums e avanza sulla scena. La pelle del tamburo è una luna. L’archetto di Allison si arma di sonagli, e ne costruisce i bagliori. Illumina Montreal. È una notte ispirata. È un sogno urbano, che conosce possibilità di fuga. È la magia dei rhythmic noises. Il sax asseconda l’idea di Allison e copre il ritorno di Drake ai drums. Risveglio metropolitano. Conquista.
Un isolato più avanti i Camilloré incendiano il campo ferrarese. Ed è una cascata di colori. Ceddia è un divoratore. Consuma a morsi la piazza. Scatena l’incendio «e confonde il mondo con il suo kazoo». Circense. Chiude l’omaggio al Principe De Curtis. È un teatro. E Ceddia ne tiene le fila. Pochi minuti e arriva. Caldo. Lucente. Denso. È Argento vivo che scorre e riempie i vuoti. Cambio d’abito per piazza Ferrarese. Raffaele Casarano presenta il suo ultimo progetto discografico, Argento (Tuk Music, 2010). Suade, ispirato. L’elettronica di Marco Rollo entra, e sfida l’immaginario. È un collage perfetto. Il dialogo con Greco si fa intenso e il groove cresce. Anni settanta. Carla Casarano spinge, preziosa. Ed è una dichiarazione d’eleganza. Un amalgama che si lascia fendere dalle atmosfere andaluse della chitarra di Checco Leo. Bardoscia sostiene, discorsivo. Pressurizza. Il cielo partecipa. È un’intesa che non t’aspetti. Splendida. Argento sul palco, argento nell’aria. Argento è il lampo che all’improvviso squarcia. Argento ogni goccia che raggiunge, inesorabile, le lastre granitiche di piazza Ferrarese. Specchia. Scompone. Segue in ogni riflesso i colori del palco. L’acqua non ha nemici. Monteduro carica, fitto. Il cielo con lui.
https://youtu.be/8KOXlGN-oGo
Eliana Augusto
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