Jazz Agenda

Bari in Jazz, un estratto dall’edizione 2010

Ormai manca poco all’inizio della manifestazione estiva Bari in Jazz che anche quest’anno, grazie alla partecipazione di grandi artisti di fama internazionale, colorerà di jazz il cielo della Puglia (per leggere il programma clicca qui). Pertanto vi proponiamo un estratto dell’edizione del 2010 con il video di un concerto della Nicola Conte Jazz Combo esibitosi l’anno scorso proprio nel centro storico della città…

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BARI IN JAZZ live diary – 1 luglio 2011

Al Bari in Jazz l’incontro è di casa. L’incontro. Quella straordinaria possibilità che è l’incontro. Accade. Per strada, da una bicicletta. Davanti a una birra, rigorosamente ghiacciata. Sotto il tetto d’un paradiso d’ombrello, mentre di là dal cielo si scatena l’inferno. All’ombra di un fazzoletto di bistecca, che sarebbe più facile da stracciare, ad averci il coltello giusto. Momenti. Rari. Unici. Non solo jazz. O magari, anche questo è jazz. D’altronde, la musica come la vita, e la vita come la musica, «sono solo questioni di stile», diceva Miles.

Al Piccinni c’è il Blake Allison Drake Trio. Bella l’atmosfera. Si inizia così, d’impatto. L’energico assolo dei drums di Hamid Drake scalda. Si va di stop. È una presenza convinta. Entusiasta. Entra nel vivo. C’è empatia. Il sax di Michael Blake è intenso. Forte. Avvolgente. I colori sono accesi. Poderose e sicure le linee tracciate dal contrabbasso di Ben Allison. C’è carattere. È un carisma perforante, che penetra, di netto. È una sinergia perfetta. Il varco è aperto. Il sax di Blake accede, arruffato, sui ribattuti e i percorsi cromatici di Allison. Caldi. Pastosi s’innervano, esplorando il registro più scuro. Il tema progredisce. Ed è una dolce salita, rotta, ispida sul finale. La percussività mimica di Drake incuriosisce e affascina. Blake ci imbastisce su un ricamo. Soffuso. Fermo immagine. Blake si incaglia su un modulo semplice, ritmicamente segnato, melodicamente circoscritto. È un labirinto che non pare conosca via d’uscita. Soffoca. L’esigenza è la fuga. Ed è un lungo vagare, fatto di passi stanchi e trascinati. Stenta. Esanime. Sfilacciato. Desiste. Cambia l’angolo di campo. Il sax lascia spazio ad una melodica. È quasi un reggae time. Scanzonato. L’interplay è naturale, luminoso. Il racconto avvince. Non ci sono fronzoli. Nessun inutile e frustrante virtuosismo. Le linee sono spezzate, posizionate con cura in uno spazio definito e guidano l’andare. Passa e va. Scompare all’orizzonte. Montreal midnight. Nuovo set. Drake lascia i drums e avanza sulla scena. La pelle del tamburo è una luna. L’archetto di Allison si arma di sonagli, e ne costruisce i bagliori. Illumina Montreal. È una notte ispirata. È un sogno urbano, che conosce possibilità di fuga. È la magia dei rhythmic noises. Il sax asseconda l’idea di Allison e copre il ritorno di Drake ai drums. Risveglio metropolitano. Conquista.

Un isolato più avanti i Camilloré incendiano il campo ferrarese. Ed è una cascata di colori. Ceddia è un divoratore. Consuma a morsi la piazza. Scatena l’incendio «e confonde il mondo con il suo kazoo». Circense. Chiude l’omaggio al Principe De Curtis. È un teatro. E Ceddia ne tiene le fila. Pochi minuti e arriva. Caldo. Lucente. Denso. È Argento vivo che scorre e riempie i vuoti. Cambio d’abito per piazza Ferrarese. Raffaele Casarano presenta il suo ultimo progetto discografico, Argento (Tuk Music, 2010). Suade, ispirato. L’elettronica di Marco Rollo entra, e sfida l’immaginario. È un collage perfetto. Il dialogo con Greco si fa intenso e il groove cresce. Anni settanta. Carla Casarano spinge, preziosa. Ed è una dichiarazione d’eleganza. Un amalgama che si lascia fendere dalle atmosfere andaluse della chitarra di Checco Leo. Bardoscia sostiene, discorsivo. Pressurizza. Il cielo partecipa. È un’intesa che non t’aspetti. Splendida. Argento sul palco, argento nell’aria. Argento è il lampo che all’improvviso squarcia. Argento ogni goccia che raggiunge, inesorabile, le lastre granitiche di piazza Ferrarese. Specchia. Scompone. Segue in ogni riflesso i colori del palco. L’acqua non ha nemici. Monteduro carica, fitto. Il cielo con lui.

https://youtu.be/8KOXlGN-oGo

Eliana Augusto

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BARI IN JAZZ live diary – 30 giugno 2011

«Water no get enemy». Fela Kuti. Una bottiglia e via. Acqua. E anche del temporale di qualche ora fa non resta che l’odore. Sospiro di sollievo. L’acqua non ha nemici. Nella sede dell’Abusuan di Strada Vallisa ci si incontra, appena il tempo di un bicchiere in compagnia. Sorrisi. Frammenti di vita. Incroci di lingue. C’è tutto un mondo in quest’angolo di Bari vecchia. L’Auditorium è colmo. Michele Giuliani & Reunion Platz sono pronti. Sonorità afro-cubane. Sapore di Sud. Si leva un inciso intenso, tribale. Avvolgono le voci. È un amalgama che consola e riscalda. Secondo intervento. Altra dimensione. Il piano di Giuliani porta lontano. Il pubblico è lì. Inchiodato. Distende. Calma. È un ascolto piacevole. E quando parte Step by Step la voce di Giuliani scava, sensuale. È un pensiero metropolitano che attraversa spazi esotici.  E viceversa. La  rigidità del suo attacco al tasto aggancia l’anima. Poche note. Scalfite. Il basso elettrico di Piarulli è morbido, avvolgente. Le percussioni di Pastanella spingono. C’è sound. L’album da cui sono tratti i brani proposti, tutti a firma Giuliani, è Roots (Zeitgeist Records, 2010). L’esperimento, «creare sonorità e ambienti etno-afro impiegando strumenti della tradizione europea, come il pianoforte o il basso elettrico», nota a margine Giuliani. L’impressione è che, al di là dei contesti geografici che si tenti di raggiungere o creare, Giuliani e i Reunion Platz conquistino un sound raffinato, personale, particolarmente piacevole, che prende, accompagna e appassiona. Ispirato e ottimista. Ovunque.

Piove. Ma al riparo. L’acqua non ha nemici. Approccio veloce ad un cibo che lamenta attenzioni e si corre verso il Piccinni. Appena arrivati l’atmosfera è incandescente. Si celebra il sodalizio Slettino – Bari. IlSylwester Ostrowsky & Piotr Wojtasik Quintet è lì. Francesco Angiulli è il quinto uomo d’una formazione tutta polacca. Perfetto. Il pianismo di McClung corre. È un suono che percorre, vivacizzato da sequenze elettriche, incandescenti. È un delirio di contrasti. I drums di McCraven rincorrono e distendono. La tromba di Wojtasik arriva puntuale, effervescente. Misurato e monocromo l’approccio di Ostrowsky. Gelido. Fitto il tessuto improvvisativo. Lunghi periodi, senza alcun cedimento. Divertente il dialogo a due, drums-tromba. Si va per piccoli moduli imitativi, scanzonati. Il risultato è febbricitante. Il tema acquieta, memorie jazz standard. Wojtasik è magnetico, intimo. Costruisce degli edifici sonori estremamente raffinati. Bello l’assolo del contrabbasso di Angiulli. La tavolozza dinamica è ricchissima. Si cambia sound. Si abbandonano le atmosfere dense per un respiro più leggero, distratto dallo scambio tromba-sax. Ostrowsky è più incisivo nel registro grave. Trascinante il tema. Il sincopato spinge. Pausa.

I tempi sono strettissimi. Il calendario rispettato al millesimo. Si apre il sipario. L’Apulian Orchestraè pronta, schierata. Luci basse. Ralph Alessi descrive da protagonista l’approccio ad una produzione speciale, dedicata all’edizione BIJ 2011. Dark Magus Walkin’ Out Of The Cool. È una presenza scenica forte, le dinamiche sono tutte spinte. È l’esasperazione di una terra che conosce l’orgoglio e sa farne la sua forza. Ed è inevitabile il confronto con sonorità, e personalità, diverse. Ottaviano conduce. È un gioco di stop e presenze, ricche, fittissime, dense. Debordante. Le dinamiche controllano e si controllano. Chiude. Si apre l’assolo della chitarra elettrica di Pino Mazzarano. Balbetta, distonica. Variazioni di intensità e piccoli delay. Tutto è scandito, percussivamente. È un gioco di pieni e vuoti. Ondeggia. Sinuoso. Rientra Alessi e distende. Giorgio Vendola, al contrabbasso, gli prepara un tappeto ritmicamente interessante e detonante. Ottaviano coordina i fiati, li raccoglie, li plasma. E sono vele che si levano. Da una parte Alessi. Dall’altra tutta la potenza percussiva delle sezioni ritmiche (D’Ambrosio-Accardi-Lampugnani) e l’intensità personale di Vendola. Le vele dei fiati, lì, nel mezzo. Gradino dinamico. Ed è ancora Vendola a sostenere, discreto, l’intervento lirico del piano di Mirko Signorile. Carica ancora. È un equilibrio di forme, timbri, colori. Ottaviano miscela, dosa e libera gli assoli. Ed è il piano a fare da ponte. Questa volta è Ottaviano stesso, direttamente dal suo sax soprano, a dare la direzione. Sicura, ricca, avvincente. Riempie a livelli. È un crescendo. E quando interrompe, a lampo si apre davanti un nuovo ambiente, fatto di echi, imitazioni e passi all’unisono con la tromba di Giorgio Distante. È l’elettronica, ora, a fare da ponte. I keyboards creano spazi che avanzano e retrocedono, in un singhiozzo dinamico che prepara l’ingresso della sezione dei fiati. Caldo l’intervento al sax di Vincenzo Presta. Ed è ancora Vendola a dettare il suo stile. Personalissimo. Quando si apre il suo assolo il silenzio è totale. Il respiro si fa affannoso. Palpita. È un percorso emozionale che cattura. È Vendola, sicuramente, una delle presenze più ricche dell’edizione di quest’anno del festival. Ritorna la tromba di Alessi, ritorna la chitarra elettrica di Mazzarano. Scala, fin su in cima. Ed è quasi rock. Divertenti i giochi di stop. Scanditi i quattro tempi di Ottaviano. Bloccano. Variano. Inseriscono un tema ponte. Ed è la volta della tromba di Distante. Il sound si fa quasi latin. Caratterizzata. Carismatica. Emerge, anche nel dialogo a due con Alessi. Si cambia ancora, ora per stop, ora per gradini dinamici. Ritorna il quaternario di netto, e la spensieratezza d’un tema di strada. Va di percussioni. Buio. Maurizio Lampugnani intona un frammento che ha colori d’Africa. Spazio percussivo. Si animano le sezioni ritmiche. È un ménage à trois. Iridescente.

Dal Piccinni a Piazza Ferrarese il passo è breve. Ma il salto di genere è forte e destabilizzante. È uno stato di trance permanente, a firma Anthony Joseph & Spasm Band.

È un cocktail acido che porta, immediato, in un’altra dimensione. Alcolica la chitarra elettrica di Christian Arcucci. Convulso lo scambio percussivo Martinez-Castellanos. Antony è vorticoso, prende, travolge, devasta. È un ipnosi di gruppo. «Mi porta una birra?». Miscela esplosiva. Danza.

Eliana Augusti

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BARI IN JAZZ live diary – 29 giugno 2011

Un tavolo per tre. The in ghiaccio. L’atmosfera è quella della festa. Quella di ieri. E l’eco ne partecipa ancora i luoghi. La calura è invadente. Caffetteria del Ferrarese, oggi. Si gusta l’attesa. È lo scambio, piacevole, di impressioni su quello che è stato. È lo scambio, piacevole, di sensazioni su quello che sarà. Secondo giorno. Si riconoscono i volti. Il clima è familiare. Di là dagli spazi, si alzano, curiosi, i suoni della prova finale. Ed è un non-luogo, quello delle voci, dei pizzichi, dei fiati, dei rullati, delle risa, delle indicazioni di scena, quello che non si vede perché non accade, non per tutti, non ora. Il programma è densissimo. Manca poco.

Via di corsa. Sala Murat. Bitches Brew è pronto, come il suo autore. Enrico Merlin, milanese, racconta il suo Miles. Bitches Brew. Genesi del capolavoro di Miles Davis (Il Saggiatore, 2009). Un lavoro complesso, schietto, efficace e originale. Un lavoro che riattualizza la necessità atavica dell’uomo, e del musicista più dell’uomo, di comprendere, di ridurre e contenere quelle strategie, ove ve ne fossero, legate al magico «caleidoscopio» dell’improvvisazione. The Man sapeva. The Man faceva. I suoi colori. Le sue espressioni. È un Davis inedito, quello più discusso e controverso, quello del periodo elettrico. Merlin e Ottaviano si incontrano nel ricordo della storia del jazz e, meglio, di un uomo che ha fatto la storia del jazz. Un uomo raccontato dalle tracce che ha lasciato, quelle rimaste per anni negli archivi polverosi della Columbia Records e riscoperte, ora, dal genio indagatorio di Merlin, dalla sua sensibilità di musicologo, di musicista. Enrico ha ripercorso chilometri di nastri, passato al vaglio frequenze, scovato una fortunosa e fittissima rete di anonimi «scambisti» di rare registrazioni di ancor più rari concerti di Davis. E ha tessuto la rete, ricostruito il genio, intuito il black code e ipotizzato e verificato un linguaggio non verbale dell’improvvisazione, un linguaggio in grado di svelare il mistero di lunghissime sessions, in cui tutto si svolgeva entropicamente, empaticamente. Tutto raccontato con straordinaria e devota dedizione. È un viaggio intimo, fatto di voci e immagini sonore. Oltre lo spazio, oltre i colori dell’Enucleare della Murat, Miles Davis e i suoi, da Hancock a Carter, a Williams, arrivano e vivono, intensi. É una migrazione, affascinante. È un’intuizione, straordinaria. E straordinario è il racconto diBitches Brew, «non la fotografia di un evento sonoro, ma la costruzione tutto a taglio di un film» (E. Merlin). È questa la provocazione di Miles. È questa l’intuizione di Merlin. Suona. Di là dai codici, i piani si manifestano, invertiti. Ed è l’improvvisazione a guidare. Non è preventivato l’errore semplicemente perché non esiste. La composizione segue, in sala editing e montaggio, tutto il resto. Come in un film. Avvincente. «La musica viene prima», ammoniva Frank Zappa. Come dargli torto.

Via per l’Auditorium. Vallisa. Rino Arbore Quartet e le sue Suggestions From Space. Il leitmotiv è ancora lui, Miles. Ma non è un Miles che racconta. Questa volta. È un Miles che ascolta, dedicato, e che ispira. I brani, tutti a firma Arbore, vengono da lontano. Ed è quello stesso “lontano” il luogo in cui la chitarra lirica di Arbore e la tromba boreale di Nikolaisen convergono, e raccontano di un’esperienza intima, che vive ancora. Orgoglio del vivaio pugliese, il quartetto conta Vendola, al contrabbasso. E non inganna la sua giovane età. Conquista, immediato. I drums di Liberti scivolano, netti, ordinanti. È il lato di Miles più intimo, quello che ispira e raccoglie, quello che pervade mistico il racconto del flicorno di Nikolaisen. C’è spazio per la sperimentazione. Ed è Vendola ad osare. Seguono i flussi ventrali della chitarra di Arbore, e il contrasto accattivante coi picchi ispidi della tromba nordica di Roy. È un eloquio acrobatico, è un lirismo avvolgente. Cattura. Gonfiano le dinamiche. La comunione è eclettica. L’interplay definito, geometricamente. Si liberano le linee, gradualmente. È uno spazio, ora, quasi esotico, che si lascia assecondare con audacia e sfrontatezza e che esplode nel grido della tromba, dritto al cielo. Arbore c’è, profondo, personale. E gli armonici ne arricchiscono le tessiture. L’intenzione. «Soffermarsi sull’attimo che viene prima della creatività. Uno spazio dilatato. Una creatività che forse viene dall’alto. Dallo spazio. O che magari, invece, è dentro di noi» (R. Arbore). Suggestions From Space. Risponde. Deciso. Si torna al Piccinni. Ventagli e flash. C’è sound. La Mauro Gargano Reunionfeat. Bojan Z è schierata. Suggestivo il progetto. Ritorna Miles. Ritorna il tema del film. Ritorna l’intuizione registica. È un incontro di anime. Sono due lottatori. Il ring come il palco. Battling Siki. Miles Davis. E la boxe incontra il jazz. Il match è esplosivo. Un viaggio. Dal Senegal agli Stati Uniti, passando per Parigi. Ed è un romanzo. Tragicamente appassionato. Drammatico. Ma pulsa di vita. Un racconto fatto di frammenti, voci, suoni. Il pianismo di Bojan Z è straordinario, trascinante. E quando il testimone passa a Codja e alla sua chitarra è un’esplosione. Irradia. «Travaille avec la tête!», insinua la voce. E vola l’interplay Gargano – Bojan – Vignolò. Robusto, avvolgente, deciso e marcatamente rivelato. Gargano convince e rapisce. Magnetico, nella geometria delle linee e nella profondità dei colori. È un’intesa straordinaria, polarizzata dalla tromba di Gensane e dal sax di Itzquierdo. Smuove.

In piazza Ferrarese, intanto, c’è la bossa di Dario Skèpisi. L’atmosfera è vivace, frizzante. Ha i sapori dell’estate. E incoraggia l’incontro, la danza. C’è spazio per la tradizione e la «contaminazione», sottolinea Skèpisi. Basta un attimo. È Brasilia. È Bari. Il passaggio è naturale, disinvolto. Quasi i due mondi si appartenessero. Ed è una musica che parte dal cuore. Le lingue si sfiorano. Ed è un mélange accattivante. Rilassa e distende. Potere della musica. Suggestivo l’omaggio a San Nicola. La baresità viene fuori. Definitiva. Ed è una festa, da vivere. La samba si presta. E lo spettacolo si anima con le percussioni di Giacovelli. Carica e colora. Un attimo e si cambia scena. Dal brasil etno-jazz si vola al british blues. Ed è la forza dirompente dei Blues Breakers Renewed, progetto a firma Mike Zonno e Mimmo Bucci, a celebrare un album debordante, pietra miliare della storia del blues. Blues Breakers. L’anno era il 1966. L’hammond di Triggiani stilizza ora nuovi spazi. Non c’è spazio per commemorazioni malinconiche. Suona. E la voce di Paola Arcieri trascina, euforica. È da poco passata la mezzanotte.

Eliana Augusti

 

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BARI IN JAZZ live diary – 28 giugno 2011

Una mezz’ora appena, e anche per quest’anno Bari suonerà jazz. Giugno. Caldo, ma non troppo. Piazza Ferrarese è tutta uno struscio, come si dice dalle nostre parti. Trepida. C’è la fila dei bimbi al camioncino dei gelati. Prove di luci. I ragazzi al muretto si raccontano i primi sorrisi della vacanza. Soundcheck. Granita al limone. «Ma c’è un concerto?» Chiede una donna anziana al suo uomo d’una vita. Lui la guarda, con la stessa espressione di disapprovazione che magari le riserva quando il piatto è sciapo. «C’è il jazz!». Lui che ha letto i giornali, lo sa. Stasera, a Bari, c’è il jazz. Lo sanno tutti. L’entusiasmo di Ottaviano ha vinto ancora. E lo spettacolo è pronto. Anche quest’anno, nonostante i tagli alla cultura. «La vera forza di questi festival è la partecipazione del pubblico, il confronto tra vecchie e nuove generazioni, la progettualità degli artisti del nostro territorio in dialogo con quelli di altri contesti internazionali» (R. Ottaviano). E il BIJ prende le mosse proprio da qui, dal nostro territorio, dalla Puglia. Auditorium diocesano della Vallisa, la chiesa della purificazione, meglio nota come la “Raveddise”. «Il momento è taumaturgico».

Ottaviano consegna all’ascolto del pubblico il Gianni Lenoci Hocus Pocus Quartet. Un ingresso a schiaffo. Improvvisazione. Composizione. Chironomia. Una cartografia di emozioni (scrive Lenoci, citando Deleuze). È un polimorfismo dinamico. È un laboratorio timbrico permanente. «Dobbiamo accettare l’idea che non possiamo possedere la musica, possiamo solo esserne vittime felici» (G. Lenoci). I suoni piramidizzano. I drums di Mongelli sono liberatori. È una trance. Lenoci riempie, fitto. È una febbre. Il sax di Gallo diventa uno strumento nuovo, dove il soffio diventa voce, e la voce grido, e il grido di nuovo suono. Tutto è calibrato. L’effetto è destabilizzante, ma così ricco da sostenere. Feroce. Attacca e spaventa. Non accenna la sosta. È un moto perpetuo. Decomprime e, sfiancato, desiste. Stride. È Mongelli, che vibra il ride con l’archetto, mentre Lenoci pizzica le corde del suo piano. Ritorna il tema. Litanico. Indossa una maschera taurina. È drammaticamente buffo, e fa spavento. Un attimo e si cambia scena. È un melodismo caldo che evapora lento. Belli i contrasti tra gli spazi ampi del sax di Gallo e quelli angusti del pianismo di Lenoci. Si incontrano, in un unisono che armonizza e rompe, d’improvviso, le resistenze. Tutto è così spontaneo e così maniacalmente previsto. Cromatizza un’ascesa. Carica. Contrabbasso e batteria sostengono. È una processione. Sale ancora, mentre cascano, in uno stato quasi di trance, le sequenze di Lenoci. E l’arrivo non deflagra. Resta lì, nell’ovvietà di qualcosa che non può sorprendere, tant’è naturale. Ritorna l’elemento ostinato, quasi marziale. Registri gravi. Il basso di Gadaleta è lamentoso, è un latrato che stringe e riconsegna ad atmosfere tetre tutto il resto. Si gioca ancora col polimorfismo, ed è quasi un rāga. Straordinario effetto visivo, oltre che acustico. Calma e si ritorna alle sonorità dell’inizio, resta il ricordo dell’Oriente. Ipnotico. Il coinvolgimento è totale. È un viaggio della mente. Smorza. Cupo, di tuono lontano. Splendido il terzo intervento, che apre con l’assolo di Gadaleta. Lenoci è ricchissimo, debordante. È un virtuosismo che scorre, ramifica e si scompone, raggiungendo altitudini e direzioni imprevedibili e dannatamente perfette. Bel swing. Il sincopato diverte e crea il giusto spazio al protagonismo di Gallo. Avvincente il disegno. Si sperimenta ancora. Si gioca con gli armonici. L’intro è geniale. Surreale. Libere dagli smorzi, le corde del piano di Lenoci simpatizzano coi richiami di Gallo. È un gioco di voci. È una corrispondenza lontana. C’è qualcuno che risponde, di là. C’è un universo dentro. Bellissimo. Cambio.

Qualche centinaio di metri e si apre un nuovo set. Teatro Piccinni. Tomasz Stanko e il suo Nordic Quintet sono pronti, ad un passo dalla scena. Intensa presentazione di Ottaviano, e si comincia. Il suono della tromba di Stanko è irrimediabilmente caratterizzato. Lirico. Morbido. Carezzevole. Le atmosfere dell’intro disperdono, si disperdono. Eco. É un minimal che solca e percorre. Silenzioso. Pulsante, quasi nervoso il basso elettrico di Christensen. Quello che si avverte, subito, è un’attenzione ossessiva alla linea. Distesa. Morbidamente adagiata. Il piano di Tuomarila è lì, sempre presente, discreto, statico. Non c’è protagonismo. Solo la linea del maestro. Luminosa. Il resto viaggia di sfondo, in sordina. Non c’è esasperazione, non c’è picco. Non c’è trasporto. Soffoca. Tutto è un racconto a mezza voce. Louhivuori crea spazi percussivi prismatici che restano vuoti. S’abbassano le luci, e ora è il basso di Christensen a narrare. L’ascolto si fa muto. Buio. I ribattuti tentano una tensione che non arriva. Innocuo. C’è una campana di vetro. Ovatta. Spegne. Un sound quasi annoiato e stanco. O forse c’è dell’altro. Mi viene da pensare. Tenta la breccia la chitarra di Bro, lavora di profondità. È una lama sottile. Fende. Un attimo, e intravedo la risposta. Dietro quel jazz di velluto, che scorre liscio e morbido al tatto, quasi soporifero, si avverte l’attesa. È come se tutto si svolgesse sotto la mano di qualcosa di più forte, di più grande. Visionario. Si crea un nuovo ambiente, un campo emozionale che tenta la fuga. Ha gli occhi sgranati, rivolti al cielo. Ma è ad un passo da quel cielo che, razionale, torna la tromba di Stanko. Raccoglie e riconsegna al sottocute il tentativo di fuga. La risposta. È come se tutto avvenisse in secondo piano. A voler celebrare una presenza, quella di Miles. Miles lives, impera il sottotitolo dell’edizione 2011 del BIJ. Ecco. Forse il momento taumaturgico si sta svolgendo ora. Celebrativo. È nel pensiero celebrativo si alza, devota, una preghiera. Intensa. Viva. Nuova. Ci riesce il piano di Toumarila, sostenuto con fede dal basso e dai drums. Ci riesce Stanko che raccoglie, ancora coerente, a mani giunte. Commemora la chitarra di Christenson. Semplice. Dolce. Calda. Vagamente blues. È un ricordo sfilacciato, ricucito di swing dalla magistrale tromba di Stanko. Piano, e quasi dei timpani. Chiude funereo. È un’altra dimensione quella che creano basso e chitarra. È fortissima la sollecitazione. Spettrale. Miles vive. Risveglio.

Mentre di là nel Piccinni si commemora e le atmosfere sono nostalgiche e intimiste, in piazza Ferrarese si scatena la festa. Hammond fronte al pubblico. Non ci sono trucchi. Tutto si crea sotto gli occhi trepidanti di un pubblico che vuole divertirsi. Taylor sa come fare. È immediato, e il suo stile è quello d’un trascinatore. Un animale da palcoscenico. Un attimo e riesce ad animare una piazza intera che lo cerca, lo aspetta e lo incontra in uno «Yessss!!» lunghissimo. Tutti sono pronti. «Are you ready for this?». È il richiamo. Ed è un battito di mani che corre dalla prima fila ai corridoi dei locali e accoglie in un abbraccio le migliaia di persone che tra ombrelloni rossi e bicchieri di birra vivono lo spettacolo di piazza Ferrarese. Lei è splendida, la black lady del James Taylor Quartet. Infiamma e consola. Taylor è divertente e trascinante, anche quando riesce a far intonare ad una piazza intera un inaspettato Happy Birthday. È un gioco che non stanca. È un tripudio di colori. Incandescente. È acid. È rock. Detona. Il pubblico va in visibilio. Il «corto circuito» (R. Ottaviano) è innescato. Definitivo. Chissà se era questo il jazz che aveva in mente il vecchietto di qualche ora fa. Mezz’ora a mezzanotte. E la festa continua.

Eliana Augusti

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Bari in Jazz, un estratto dall’edizione 2010

Ormai manca poco all’inizio della manifestazione estiva Bari in Jazz che anche quest’anno, grazie alla partecipazione di grandi artisti di fama internazionale, colorerà di jazz il cielo della Puglia (per leggere il programma clicca qui). Pertanto vi proponiamo un estratto dell’edizione del 2010 con il video di un concerto della Nicola Conte Jazz Combo esibitosi l’anno scorso proprio nel centro storico della città…

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Jazz Festival: Bari in Jazz, settima edizione… Miles Lives

Anche quest’anno il cielo della Puglia si tinge di Jazz con la settima edizione di “Bari in Jazz”, festival che ormai si consacra fra le più importanti realtà culturali della regione e del mezzogiorno. Una rassegna itinerante, attiva dal 28 giugno al 2 luglio, che porterà la musica in alcuni dei luoghi più importanti di Bari (da Bari Vecchia a piazza del Ferrarese, fino al teatro Piccinni), con lo scopo di valorizzare non soltanto il jazz, ma la città stessa nei suoi monumenti e nelle sue piazze. Musicisti di fama internazionale giunti da tutta Europa e anche giovani talenti di casa nostra, riempiranno, quindi, i palcoscenici di un festival che, a partire dalla sua formula itinerante, si preannuncia come un evento imperdibile per tutti gli amanti di questo genere musicale.

Dunque, una città che diventerà essa stessa palcoscenico, che in 5 giorni ospiterà un elevato numero di concerti e che in questo caso omaggerà uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi. Il personaggio a cui verrà dedicato uno spazio particolare sarà, infatti, Miles Davis (da qui il titolo dell’edizione di quest’anno: Miles Lives), una figura centrale per il Jazz, vissuta a cavallo fra il secondo conflitto mondiale e l’era della globalizzazione, che ha saputo stupire ed innovare il linguaggio della musica stessa. A rendergli omaggio ci penseranno la band italo francese guidata dal contrabbassista Mauro Gargano e dal pianista Bojan Z e i pugliesi della Apulian Orchestra con ospite il trombettistaCuong Vu che elaboreranno una produzione speciale ed esclusiva tesa a consacrare l’importanza di questo straordinario e discusso artista del nostro tempo.

Ma le sorprese di Bari in Jazz non si fermano qui. L’internazionalità della manifestazione viene, infatti, sottolineata dalla partecipazione attiva delle ambasciate olandese e francese e dal gemellaggio con il Meba Jazz Festival di Stettino in Polonia e con il Locomotive Jazz Festival di Sogliano. Una dimostrazione del fatto che Bari in Jazz vuole dare spazio non soltanto alle realtà internazionali, ma anche a quelle locali, che hanno bisogno di una spinta positiva per crescere. A sottolineare questo binomio fra internazionalità e talenti emergenti locali ci ha pensato nel corso della presentazione il direttore artistico di Bari in Jazz, Roberto Ottaviano: «Sono tempi difficili per la cultura – ha spiegato – ma raggiungere il settimo anno di vita per noi è una tappa veramente importante. La nostra vera aspirazione è che il Festival non sia solo una vetrina per le agenzie che propongono i loro artisti, ma un vero e proprio incontro tra le forze più interessanti del nostro territorio e quelle dell’Europa e del resto del mondo». Dunque, una Festival che già si preannuncia ricco di sorprese, ricco di musica e soprattutto… Ricco di Jazz.

PROGRAMMA BARI IN JAZZ

Martedi’ 28 giugno

Gianni Lenoci Hocus Pocus Quartet – VALLISA ore 20.00
Tomasz Stanko Nordic Quintet – TEATRO PICCINNI ore 21.00
James Taylor Quartet – PIAZZA FERRARESE ore 22.00

Mercoledi’ 29 giugno

Proiezione PUGLIA IN JAZZ “DA PAOLO FRESU A MALCOM X” di Gianni Cataldi VALLISA ore 20.00
Rino Arbore Quartet “ Suggestions From Space” – VALLISA ore 20.30
Mauro Gargano Reunion feat. Bojan Z – TEATRO PICCINNI ore 21.00
“Do Do Boxe”Suite for Battling Siki eamp; Miles Davis (Produzione Speciale)
Dario Ske’pisi – PIAZZA FERRARESE ore 22.00
Blues Breakers Renewed – PIAZZA FERRARESE ore 23.00

Giovedi’ 30 giugno

Michele Giuliani eamp; Reunion Platz – VALLISA ore 20.00
Sylwester Ostrowsky e Piotr Wojtasik Quintet – TEATRO PICCINNI ore 21.00
Apulian Orchestra feat. Cuong Vu – TEATRO PICCINNI ore 22.00
“Dark Magus Walkin’ Out Of The Cool” (Produzione Speciale)
Anthony Joseph eamp; Spasm Band – PIAZZA FERRARESE ore 23.00

Venerdi’ 1 luglio

Raffaele Casarano “Argento” – VALLISA ore 20.00
Blake Allison Drake Trio – TEATRO PICCINNI ore 21.00
Camillore’ – PIAZZA FERRARESE ore 23.00

Sabato 2 luglio

Gianluca Petrella Cosmic Band (2 July) Piazza Ferrarese

Carlo Cammarella

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