Jazz Agenda

Live Report: ¡Flamenco! bollente con Rodrigo y Gabriela

rodrigoygabriela00
rodrigoygabriela01
rodrigoygabriela03
rodrigoygabriela04
rodrigoygabriela06
rodrigoygabriela07
rodrigoygabriela08
rodrigoygabriela09
rodrigoygabriela10
rodrigoygabriela11
01/10 
start stop bwd fwd

Rodrigo y Gabriela sono la musica. Attraversano i vari generi, legandoli assieme, con disinvoltura, naturalezza; con la consapevolezza che tutto ciò che è percepibile al nostro orecchio possa diventare, senza distinzioni, musica. Tutto è riconducibile a quest’unico genere. Loro ne sono la prova. Partiti da trash metal in Messico, la loro storia attraversa l’Europa per approdare a Dublino, con un repertorio che va dal metal, agli standard jazz; dal flamenco, al rock. Tutto rigorosamente in acustico. Filo conduttore che lega tutto ciò che questo duo rappresenta, sono le proprie origini e la capacità di renderle una costante inconfondibile. Le loro chitarre, lanciate in velocità, non sono per nulla intimorite dalla sfida, tant’è che all’attivo la coppia ha sei dischi tra registrazioni in studio e live, ed uno in arrivo. Dopo questa premessa, potete ormai ben immaginare che tipo di concerto ci abbiano riservato martedì 22all’Auditorium! La sala Sinopoli è satura molto prima dell’orario d’inizio. Il pubblico è prettamente giovane, anche se qua e là non disdegna di far capolino qualche chioma canuta. La compostezza che ci ha accompagnati durante i precedenti spettacoli, oggi non ha senso d’essere. L’eccitazione si palpa nelle urla d’acclamazione e nell’incapacità di restare seduti sulla propria poltroncina.

Tutto questo, probabilmente, le maschere non se lo aspettavano; tant’è che ronzano preoccupate da porta a porta cercando un modo per tenere la situazione sotto controllo. Quando si spengono le luci svanisce ogni tipo di inibizione data dal luogo, per far posto ad applausi, fischi, scalpitio di piedi e fragore. Sul palco, soli e senza alcun tipo di scenografia, Rodrigo e Gabriela riempiono totalmente lo spazio. Hanno già imbracciato le chitarre e senza perder tempo cominciano a suonare. Siamo ipnotizzati al punto da non renderci conto che i brani scorrono alla stessa velocità delle loro mani sugli strumenti. Vederli suonare è un’esperienza incredibile. Quattro mani bastano -a loro!- a suonare per un’intera formazione. Nelle pause, in attesa che vengano riaccordate le chitarre, si intrattengono con noi raccontandoci la loro storia in rigoroso spagnolo messicano, che non tutti capiscono, ma che riceve sempre una risposta.

Nonostante il successo e gli attestati di stima attribuiti da musicisti di fama mondiale, il modo di fare è rimasto spontaneo e caloroso, come la propria terra ha loro insegnato. E questo è un merito ancor maggiore, che gli consente di entrare in sintonia, anche solo per quelle due ore, con il pubblico d’occasione. “Volvemos a tocar” ci dice Rodrigo riprendendo lo strumento; e viene da pensare che bella parola sia tocar -suonare-, nell’indicare sia l’azione che il gesto. Materializzandoli entrambi in un’unica immagine. Il concerto prosegue diventando a più riprese un vero e proprio “botta e risposta” tra i due, che non perdono l’opportunità di sfidarsi in riff sempre più veloci e complessi. Ogni tanto viene accennata un’Orion o una Sweet child o mine, ed è ben più che visibilio! Poi una nuova pausa; siamo arrivati quasi alla fine e Rodrigo ci invita a ballare su un omaggio ad Astor Piazzolla, Libertango, seguito da un medley dei pezzi più belli e richiesti. Ovviamente non ce lo lasciamo ripetere due volte! Nel panico generale della sicurezza, siamo in tantissimi a raggiungere il palco e scatenarci tra le risate e lo sbigottimento di quelli a cui abbiamo ricordato per un momento la propria gioventù. Siamo lì, così vicini che possiamo allungare le mani per toccare le loro, qualcuno si becca addirittura la scaletta del concerto, per tutti gli altri c’è quel momento di complicità generale, di condivisione di un momento di gioia che nessuno potrà dimenticare.

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

Leggi tutto...

Live Report: al Roma Jazz Festival la Musica è Nuda

musicanuda00
musicanuda01
musicanuda02
musicanuda03
musicanuda04
musicanuda05
musicanuda06
1/7 
start stop bwd fwd

Basterebbe dire Musica Nuda per lasciare almeno intendere la variante di emozioni ed esperienze sensoriali che un concerto, come quello di sabato 19 all’Auditorium, può riservare. E non sarebbe comunque abbastanza. Ferruccio Spinetti (contrabbasso) e Petra Magoni (voce) sono quello che non ti aspetti. Lei, algida musa nella sua giacca di pelliccia appena sale sul palco, si rivela nel corso del concerto una donna ironica (ed autoironica) dall’estro imponente. Lui si nasconde timido dietro il suo contrabbasso, ma una volta rimasto solo in scena non perde occasione di interagire col suo pubblico, o di imbracciare scherzosamente lo strumento a mo’ di chitarra. Insieme formano una coppia completa ed eccentrica. Si definiscono un gruppo pur essendo un duo, e di questo gliene diamo atto. Dal 2004 a marzo di quest’anno si esibisco in cover dalla rivisitazione del tutto personale, pubblicando 5 dischi di successo. Il loro ultimo lavoro, invece, vede la prevalenza di pezzi originali e varie collaborazioni; da Max Casacci (chitarrista dei Subsonica) a Sylvie Lewis, ad Alessio Bonomo e Pacifico. La “nudità” della loro musica lascia spazio all’immaginazione ed allo spettacolo, che entrambi intessono con il proprio strumento. Spogliati di ogni eccesso ed orpello stilistico, i brani si rivestono di abiti nuovi. 

 

Prendiamo il caso di Bocca di Rosa: frenetica, soffocante, ben descrive musicalmente il testo della canzone. Petra Magoni abbandona la malinconia originaria data da De Andrè, per dare un corpo alla storia e alla donna, al suo tormento. Immancabili Came Together, Eleanor Rigby e Dear Prudence, omaggio beatlesiano dovuto ed acclamato. Un po’ jazz, un po’ canzone d’autore, un po’ rock e infine anche musica classica. Il suono originalissimo di Petra e Ferruccio si insinua in ogni composizione e le restituisce vita nuova. Ciò che ci ha affascinati maggiormente è la capacità di questo gruppo/duo di prendersi in giro, raccontare aneddoti di vita vissuta e, perchè no, di metterli in musica. Come inProfessionalità; scherzoso battibecco di una coppia alle prese con la poca serietà di alcuni manovali. I bis, a fine serata, sono tre, tra cui la più richiesta,  Il cammello e il dromedario, e la prima canzone suonata assieme, una romantica e coinvolgente Guarda che luna…che ben sostituisce la mancanza de La canzone dei vecchi amanti.

 

Serena Marincolo

 

foto di Valentino Lulli

 

Leggi tutto...

Live Report – Gli Chat Noir al Music Inn

chatnoir01
chatnoir02
chatnoir03
chatnoir06
chatnoir07
chatnoir08
chatnoir10
chatnoir12
chatnoir14
chatnoir17
chatnoir18
01/11 
start stop bwd fwd

L’elegante atmosfera del Music Inn diventa la cornice perfetta ad accogliere l’arte di questo trio romano, che per l’occasione si accompagna ad una contrabbassista d’eccellenza, Caterina Palazzi, al posto di Luca Fogagnolo. Dopo il successo del live di presentazione del nuovo album – Weather Forecasting Stone – all’Auditorium Parco della Musica, gli Chat Noir (oltre a Luca Fogagnolo al contrabbasso, Michele Cavallari al piano ed elettronica e Giuliano Ferrari alla batteria) hanno proseguito il loro tour con la data di venerdì 28, proprio in uno dei locali cardine della scena jazz capitolina. L’ampia gamma di contaminazioni del trio trova spazio fin dal primo brano, lasciando il jazz come punto d’arrivo e di partenza in un percorso che offre diverse chiavi di lettura e che segna uno stacco netto rispetto a qualsiasi altro progetto attuale nell’ambito. Risulta così difficile, se non addirittura riduttivo, inquadrarli in un genere preciso; anche se loro stessi si sono dichiarati molto vicini alle sonorità nordeuropee dell’etichetta ECM. Quello che ci offrono è un viaggio introspettivo alla ricerca del suono “giusto”. Cosa che accade, per esempio, in Stone is dry o in Swinging stone, in cui le sonorità jazz danno maggiormente spazio ad un’impronta post-rock.

Al contrario, in brani come White on top o Can’t see stone è il “jazz elettronico” a farla da padrone. Fondamentale sembra però risultare l’abolizione del tradizionale concetto di leader e sideman, favorendo l’agire dei singoli membri in modo completamente equiparato. Caterina Palazzi accompagna l’eleganza sonora a quella visiva attraverso il suo fascino e la leggerezza dei suoi gesti. Tutti e tre incarnano alla perfezione il trasporto emozionale alla base di ogni brano, tessendo atmosfere di estremo lirismo. Un concerto che ti culla, dandoti la certezza che ci sia ancora qualcosa di interessante ed innovativo in un Paese ormai dedito alla canzonetta.

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

Leggi tutto...

CASA DEL JAZZ LIVE DIARY: Fonderia , Nico Di Palo & Vittorio Scalzi “New Trolls”

fonderia01
fonderia07
fonderia09
fonderia11
fonderia12
fonderia15
fonderia17
fonderia18
fonderia19
fonderia22
fonderia35
fonderia38
new-trolls00
new-trolls05
new-trolls07
new-trolls09
new-trolls11
new-trolls12
new-trolls14
new-trolls15
new-trolls16
new-trolls18
new-trolls19
new-trolls24
new-trolls29
new-trolls30
new-trolls31
new-trolls32
new-trolls36
new-trolls41
new-trolls42
01/31 
start stop bwd fwd

Eccoci qui , come al solito a seguire il festival PROGRESSIVAMENTE , evento ospitato dalla Casa del Jazz .Questa sera ascolteremo prima uno splendido progetto quale quello della Fonderia, gruppo formato da Emanuele Bultrini (chitarra), Stefano Vicarelli (piano  organo synths), Federico Nespola (batteria), Luca Pietropaoli (tromba) e Paolo Pecorelli (basso). Subito dopo, per non farci mancare nulla, Nico Di Palo (voce e tastiera) e Vittorio De Scalzi (voce ,tastiere,chitarre e flauto) ci riporteranno agli albori del prog italiano con la loro storica formazione dei New Trolls, accompagnati da Andrea Maddalone (chitarra e voce), Francesco Bellia (basso e voce), Roberto Tiranti (voce e chitarra) e Giorgio Bellia (batteria). La Fonderia ci propone un’emozionate miscela di prog, jazz, rock e funk. La musica scorre leggera e ci lasciamo prendere dai ritmi dati dalla batteria e dai fantastici suoni emessi dal basso, che passa dalle sonorità rotonde e piene degli anni ’70 a suoni più duri, quasi rock. Il tutto è intramezzato da splendide melodie di tromba che ci riportano a suoni più vicini al jazz, e da una chitarra e una tastiera che ci avvicinano più al mondo del progressive. Gradita sorpresa è stata la partecipazione di Barbara Eramo, che con la sua splendida voce ha dato vita, insieme alla Fonderia, a un momento magico ed emozionate . In conclusione questo progetto risulta piacevole, ben fatto e soprattutto molto sentito dal gruppo. Il risultato che ne esce è sicuramente frutto di un duro lavoro, e gli si renda merito di questo.

 

“New Trolls”, cosa vogliamo aggiungere? Un concerto tenuto magistralmente, una carica che qualche spettatore definisce migliore di quella dei tempi che furono. Non credo di essere abbastanza bravo per descrive la forza , il ritmo e l’aria che si respirava mentre suonavano. Le voci di Nico Di Palo e di Vittorio De Scalzi sembrano essere le stesse di qualche decennio fa; sembra che per loro il tempo si sia fermato, e ancora brucino il palco. Vittorio De Scalzi si agita alle tastiere canta e suona il flauto, mentre Nico Di Palo, più contenuto, ci stupisce con la sua voce. Il resto della band non è da meno e sembra di sentire le vocalizzazioni dei vecchi “New Trolls” . Iniziano suonando parte del Concerto Grosso n° 1 e del Concerto Grosso n° 2. Ci deliziano con il nuovo album Concerto Grosso – The Seven Seasons, dove si avvalgono della collaborazione di Shel Shapiro per le liriche in inglese e chiudono con i loro pezzi classici del primo pop italiano. A mezzanotte si sta per concludere il concerto, ma il pubblico chiede a gran voce un bis. Con grande sforzo dell’organizzazione gli viene concesso. Chiudono, a sorpresa, con la partecipazione diMax Tortora che interpreta assieme a Vittorio De Scalzi l’ultimo pezzo della serata. Se avete la possibilità non perdetevi un concerto di questa formazione…anzi non dovete assolutamente perderlo!

Valentino Lulli

foto di Valentino Lulli

Leggi tutto...

CASA DEL JAZZ LIVE DIARY: Goblin…Rebirth e Murple a Progressivamente

goblin01
goblin02
goblin03
goblin04
goblin05
goblin07
goblin08
goblin09
goblin1
goblin10
img_0035
murple
murple01
murple02
murple03
murple05
murple06
murple09
murple10
01/19 
start stop bwd fwd

Quanti avranno rimpianto la lunga chioma di gioventù da poter scuotere assieme alla batteria diAgostino Marangolo ieri sera? Quello a cui abbiamo assistito nell’ambito del festivalProgressivamente, è stato un concerto dal dovuto successo (nonostante, purtroppo, la Casa del Jazznon fosse gremita come in altre occasioni), trascendente ogni discussione riguardo la divisione della band originaria in due analoghe. I Goblin…Rebirth ci hanno regalato il meglio di se stessi, suonando con la passione e l’entusiasmo che sempre li ha contraddistinti. L’attuale formazione, voluta da Fabio Pignatelli e Agostino Marangolo, due dei componenti storici dei Goblin, ha accolto nelle sue filaAidan Zammit e Danilo Cherni alle tastiere e un instancabile quanto virtuoso Giacomo Anselmi alle chitarre. Ad acclamarli anche un buon numero di giovanissimi; tra i quali il gruppo è diventato popolare probabilmente più attraverso Profondo RossoSuspiria ed altri noti film che vantano colonne sonore a cura di Pignatelli e Marangolo. Eppure sotto (e sopra!) il palco ci sembrano tutti giovani e ruggenti al momento, presi dal tuffo negli “anta ribelli” che stanno vivendo. Per un’ora e mezza, senza sosta, l’attenzione è rapita. Sono loro a farla da padrone. Nessuno si muove (sono pochi gli audaci che sfidano i vicini di sedia alzandosi col rischio di distrarre l’intera fila!), non c’è chiacchiericcio. Solo sguardi d’intesa e scrosci di applausi. Alle spalle dei musicisti, in un loop psichedelico, scorrono scene dei film ai quali i Goblin hanno “prestato gli strumenti”, creando un’atmosfera inquietante ed “allucinogena”.

I brani si incalzano, Anselmi si destreggia rapido tra una chitarra elettronica ed una acustica. C’è spazio però per una parentesi in cui è Marangolo a prendere la parola e presentare il progetto proposto per l’occasione. Goblin è forse uno dei momenti più intensi del concerto, nel quale è proprio Marangolo a regalarci un provocante assolo di batteria e in cui comunque tutti gli strumenti risultano più spinti. Alla fine, quando Anselmi prende in mano il suo bouzouki, sappiamo tutti bene cosa ci attende! Sulla scritta “Avete visto PROFONDO ROSSO di Dario Argento” i Goblin Rebirth ci salutano; e noi li omaggiamo con una meritatissima standing ovation. Si riaccendono le luci. Le sedie vuote. Per la nostra band non è finita qui! Difatti il pubblico si è affrettato sotto il palco a complimentarsi di persona, a porgere un saluto o semplicemente nel tentativo di scambiare una chiacchiera con uno dei musicisti. Ed è proprio da questo lato del palco che ci colpisce un Wolkswagen, parcheggiato come se fosse in esposizione per i sopracitati “anta ribelli”, che reca la scritta Murple, il secondo gruppo previsto per questa sera. Speriamo di vederli saltar fuori proprio da lì al momento giusto, ma non è così.

Sono già sul palco a prepararsi, approfittando della distrazione momentanea. Forse l’attenzione per questa formazione è stata mal valutata, perché invece ci hanno dimostrato di avere una gran carica ed ironia. Pier Carlo Zanco, Mario Garbarino e Duilio Sorrenti hanno ricostruito il gruppo nel 2008, “regalando” ai fans un secondo album: Quadri di un’esposizione. Ispirato all’omonima creazione di Musorgskij. Ad accompagnarli durante la serata Maurizio Campagnano alla chitarra e la giovanissima voce di Claudia d’Ottavi. L’emozione dei componenti è palpabile; la d’Ottavi, probabilmente nuovissima recluta, cerca conferma negli occhi degli altri quando si tratta di presentare i brani. Con grande tenerezza viene supportata dal gruppo, che un po’ la burla (bonariamente è ovvio!), un po’ la incoraggia. Il tempo per loro è breve, per questo non si risparmiano mai. Il salto da un progressive più “duro” ad atmosfere più folkeggianti è piacevole e ci rilassa. Baba Yaga, tutta al femminile, ci piace molto; e Claudia d’Ottavi dimostra di saper gestire bene il palco col suo volteggiare e il fare un po’ teatrale a discapito dell’aria lievemente impacciata che sembrava avere all’inizio. La dimostrazione è che i Murple hanno saputo coraggiosamente tener testa al caleidoscopio di emozioni che li avevano preceduti, senza tentennare. Divertendosi e divertendo hanno dato degna chiusura alla serata. Peccato per chi non c’era, perché noi ne siamo usciti entusiasti!

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli, Riccardo Arena

Leggi tutto...

CASA DEL JAZZ live diary – 6 settembre 2011 – Rita Marcotulli “racconta” i Pink Floyd

  • Pubblicato in Pagina Report
marcotulli_raiz14
marcotulli_raiz16
marcotulli_raiz18
marcotulli_raiz25
marcotulli_raiz26
marcotulli_raiz29
marcotulli_raiz33
marcotulli_raiz36
marcotulli_raiz37
marcotulli_raiz39
marcotulli_raiz42
marcotulli_raiz43
marcotulli_raiz44
marcotulli_raiz45
marcotulli_raiz49
marcotulli_raiz53
marcotulli_raiz54
marcotulli_raiz55
marcotulli_raiz56
marcotulli_raiz61
01/20 
start stop bwd fwd

La Casa del Jazz ci regala l’ultima rassegna in questa estate settembrina, abbandonando le sonorità che hanno contraddistinto il “Casa del Jazz Festival”, per 6 giorni di puro progressive. “Progressivamente”, questo il nome della rassegna, apre con un gruppo d’eccellenza guidato da una pianista d’altrettanta fama: Rita Marcotulli. “Us and them – Pink Floyd sounds” è un omaggio che attinge alle diverse realtà musicali dei componenti, dal risultato per nulla scontato! La folla alla biglietteria non tradisce le aspettative. Del resto i Pink Floyd rientrano in quella categoria di gruppi che uniscono generazioni, e forse anche la presenza sul palco del cantante Raiz, storico frontman degli Almamegretta, ha il suo peso. Fatto sta che ci ritroviamo tutti sul solito prato, frequentato un’estate intera (per chi è rimasto un vacanziero di città!), con le facce più abbronzate e rilassate a farci stupire ancora una volta. C’è meno rigore e più voglia di interagire con chi ci sta intorno. Ai tavoli le chiacchiere hanno il sapore dei viaggi che ciascuno racconta, ma tutti buttano un occhio al palco almeno una volta, in segno di attesa. Lo spiedo del kebab c’è ancora, ad impregnare l’aria, a ricordarci che in fondo può essere ancora estate. L’afa ha lasciato il posto ad un’aria più leggera, così si ha più piacere a stare all’aperto (ed anche a pensare di essere già tornati a Roma!). 

Alla breve presentazione della serata e del festival in sé, tutti si ricompongono pronti all’ascolto. Sul palco salgono in sette: oltre alla Marcotulli al piano e Raiz alla voce, abbiamo Andy Sheppard al sax;Pippo Matino al basso elettrico; Fausto Mesolella alla chitarra elettrica; Michele Rabbia alle percussioni e Mark Mondesir alla batteria. Se l’impronta di Raiz si avverte distintamente nelle sonorità arabeggianti, Michele Rabbia le valorizza con la sua bravura nel manipolare i suoni degli oggetti più disparati (in questo caso in particolare, la capacità di ricreare suoni “elettronici” attraverso una lastra di metallo). Fiori all’occhiello i virtuosismi di Sheppard e della Marcotulli. Pur non volendo stravolgere la struttura originaria dei brani, essi si ripresentano nuovi, non sempre immediatamente riconoscibili, ma ugualmente affascinanti ed inebrianti. L’uso del riverbero li rende eterei, avvolgenti; lascia che diventino un ricordo, un sogno. Come se la loro presenza lì, in quel momento, non fosse del tutto scontata. Colpisce, tra i brani, il modo in cui “Shine on you crazy diamond” sia stata spogliata da qualsiasi orpello virtuosistico, lasciandone emergere la bellezza del testo ed accentuando il contrasto tra la voce graffiante di Raiz e quella più “pulita” di David Gilmour. Senza tentare di surclassare o dare un’interpretazione originale di un brano unico nel suo genere.

Il progetto è ambizioso e ben riuscito. Riesce a calamitare l’attenzione e a regalare un po’ di nostalgia a chi i Pink Floyd li ama dagli esordi.

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

Leggi tutto...

Live report: Shake the jazz a Villa Celimontana

cleopatra-copia
cleopatra_11-copia
cleopatra_13-copia
cleopatra_15-copia
cleopatra_16
cleopatra_2-copia
cleopatra_21-copia
cleopatra_24-copia
cleopatra_3-copia
cleopatra_8-copia
01/10 
start stop bwd fwd

Shakespeare non l’ha mai fatto, ma Stefania Tallini assieme ad Angela Antonini e Paola Traversoci ha provato, con gran successo. Uno spettacolo interamente declinato al femminile quello di Shake the jazz del 12 luglio a Villa Celimontana; rivisitazione dell’opera shakespiriana Antonio e Cleopatra, abbinata al piano della Tallini, che gli ha conferito un forte carattere jazz. Le note seguono gli umori altalenanti di Cleopatra, l’amore tormentato con Antonio e il turbinio straziante della battaglia. Un adattamento, quello di Paola Traverso e Angela Antonini, che non segue in maniera lineare e cronologica la storia dei due amanti, ma che vuole mettere in risalto, con l’ausilio del piano, l’aspetto più viscerale dei pensieri, delle riflessioni e dei sentimenti dei due protagonisti. La cornice poi è più che suggestiva, e quasi evocativa; un’immersione nel verde di Villa Celimontana, rispecchiato nelle luci soffuse del festival e nel canto delle cicale un po’ ovunque. 

Una raffinatezza che ben si confà alla musicista Stefania Tallini, la quale vanta una brillante carriera artistica nell’ambito del jazz italiano ed europeo. Vincitrice di concorsi importanti sia come pianista che come compositrice-arrangiatrice, ha all’attivo 6 dischi a suo nome, presentati anche in Francia e in Germania: Etoile(Yvp – 2002); New Life (Yvp –2003); Dreams (Alfamusic / Raitrade, 2005); Pasodoble (Sbrocca, 2007); Maresìa(Alfamusic, 2008) e il nuovo The Illusionist (Alfamusic, 2010), in Piano Solo. Tutti i CD presentano musiche interamente scritte e arrangiate dalla pianista. Deutschlandradio Berlin, Radio France e Radio Bremen hanno trasmesso suoi concerti; Radio Tre – in contemporanea con il circuito radiofonico europeo EBU – ha trasmesso in diretta i suoi due concerti (nel 2006 e nel 2008) inseriti nell’ambito dei Concerti Del Quirinale. Sempre al Quirinale è stata ospite per la “Celebrazione Internazionale della Festa della Donna 2008”, alla presenza del Presidente della Repubblica Napolitano. Alcuni suoi brani sono stati registrati da Enrico Pieranunzi: “December Waltz” e “When All Was Chet” e da John Taylor e Diana Torto “Deseo”. Inoltre, un suo brano, “New Life”, è stato inserito nel REAL BOOK ITALIANO.

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

Leggi tutto...

il viaggio dei F.R.A.M.E. al Nuovo Teatro Colosseo

frame_1-copia
frame_17-copia
frame_24-copia
frame_27-copia
frame_28-copia
frame_39-copia
frame_55-copia
1/7 
start stop bwd fwd

Una voce fuori campo apre il concerto dei F.R.A.M.E., venerdì 1 luglio al Nuovo Teatro Colosseo. La voce, a suo modo, ci avvisa del viaggio che stiamo per compiere tra le culture e le coscienze, citando Shopenhauer (o l’induismo) e le 101 storie zen. All’apertura del sipario l’impatto è forte. Veniamo letteralmente investiti dalla musica, non facendo in tempo a capire che siamo già partiti. F.R.A.M.E. è un progetto che spazia nelle sonorità più disparate, dai forti rimandi alla musica Gnawa marocchina, a quella carnatica o al Nadanpattu indiano, con la predominanza di percussioni di ogni foggia, fino alle forme più conosciute di funk, progressive e jazz-rock. Un modo di incontrare culture vicine e lontane attraverso un mezzo sublime qual’è la musica. Ma anche il tentativo di tirar fuori all’ascoltatore emozioni recondite, che scivolano sullo spur of the moment. La voce ritorna, a momenti, giusto per non farci dimenticare la componente “spirituale” di questa esperienza. Così, proprio come la Maya citata, gli strumenti si compattano in un suono unico, completo, nel quale anche il cantato si relativizza. I ragazzi non hanno bisogno di sguardi d’intesa; ognuno, solo col proprio strumento, si lega perfettamente all’altro in maniera quasi inconscia. Sono belli persino da vedere, mentre se la ridono con lo sguardo perso. Il ritmo instancabile e a tratti frenetico proprio non ti lascia la possibilità di star fermo, così i seggiolini rossi non la smettono di vibrare e i piedi accennano quello che tutto il corpo vorrebbe fare. È il richiamo delle percussioni, molto presenti per tutto il concerto, che affascinano con la loro impronta rotonda. È il fascino del laud che tanto ci ricorda i Buena Vista Social Club. E quell’eco che rimanda al progressive italiano della PFM. Due omaggi a chiudere questa serata: il pensiero che tutti i musicisti in questi giorni dedicano ad Alberto Bonanni (giovane musicista picchiato a rione Monti e in gravi condizioni), e a Michael Brecker. F.R.A.M.E. è un’esperienza a più livelli, coraggiosa e di successo. È un giro di montagne russe “sonore”; quando si scende lo si vuole riprovare.

 

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

Leggi tutto...

Live Report: “Body & Soul”, si apre il festival della Casa del Jazz

tributo_1-copia
tributo_11-copia
tributo_18-copia
tributo_20-copia
tributo_21-copia
tributo_22-copia
tributo_27-copia
tributo_28-copia
tributo_31-copia
tributo_32-copia
tributo_33-copia
tributo_39-copia
tributo_40-copia
tributo_41-copia
tributo_43-copia
tributo_49-copia
tributo_50-copia
tributo_51-copia
tributo_6-copia
tributo_9-copia
01/20 
start stop bwd fwd

L’apertura, martedì 21, del “Casa del Jazz Festival”, porta sul palco un evento davvero speciale: a ridosso dell’uscita nelle sale cinematografiche del film documentario di Michael Radford, Michel Petrucciani “Body & Soul”, un omaggio a questo eclettico artista da parte di alcuni musicisti che l’hanno accompagnato durante la sua carriera. Giampiero Rubei, direttore del festival, è riuscito a cogliere nell’organizzazione, ciò che avrebbe fatto sentire a proprio agio tutti i tipi di cultori del jazz; dai “classicisti” alle nuove generazioni, usufruendo del prato antistante con il palco come anello di congiunzione. È proprio da questo particolare che si può già intuire la varietà di pubblico che l’evento è riuscito ad attirare: c’è chi è arrivato molto presto per accaparrarsi i posti più vicini ai musicisti, chi aspetta seduto ai tavoli del bar sorseggiando un aperitivo, chi cena sulla terrazza del ristorante, chi fa la fila per mangiare un kebab (Già, un kebab! Ottimo e di poco intralcio rispetto al vassoio della tavola calda, se ad un certo punto fossero finiti i tavoli e bisognasse sedersi dove capita), e chi chiacchiera direttamente sdraiato sul prato in attesa che comincino a suonare. Questa è, a grandi linee, l’istantanea che abbiamo “scattato” appena varcato il cancello d’ingresso. Non che prima non fossimo riusciti ad intuire che rilevanza avesse l’avvenimento, data la fila di macchine e scooter parcheggiati lungo tutte le mura Aureliane. Però è nel momento in cui li vedi tutti insieme, lì sul quel prato e non più chiusi e “smistati” nei vari jazz club, che ti accorgi di quanto questo genere sia diventato popolare. Ed è solo pescando dal background di ognuno che si riesce a creare un’atmosfera piacevole per tutti come quella di martedì.

L’arrivo, alle 21, ti permette di godere del giardino ancora illuminato e di passeggiare liberamente alla ricerca del posto migliore. L’allestimento ci risulta semplice ed elegante: gran parte dei posti a sedere partono quasi dal cancello d’ingresso, arrivando fin sotto al palco. Tuttavia si ha la possibilità di camminare ed eventualmente sedersi (sull’erba) sia di lato che dietro ad esso. Più giù sono stati sistemati due gazebo con una tavola calda e gli spiedi dei kebab (dove la fila è nettamente maggiore!), mentre la zona bar è subito di fronte l’entrata dell’edificio; i tavolini già pieni da parecchio. Si fa la fila per mangiare o bere qualcosa di modo da non rimanere vincolati a concerto iniziato, si chiacchiera o ci si ferma a guardare il trailer del film (rigorosamente sottotitolato e senza audio per non disturbare il concerto) proiettato in loop su un muro del complesso. Alle 22 il palco si anima ed apre con una breve intervista ad Alexandre Petrucciani, figlio di Michael presente per l’occasione; e con la proiezione di due spezzoni tratti dal film. A breve ecco salire sul palco la prima formazione: al piano Eric Legnini, accompagnato da Manhu Roche alla batteria, Flavio Boltro alla tromba, Pippo Matino al basso, Francesco Cafiso e, a sorpresa, Stefano Di Battista ai sax. Il pubblico è ormai magnetizzato, fa piacere notare che chi continua a chiacchierare lo fa in un bisbiglio; l’aria è per lo più in silenzio e continua ad esserlo fino alla fine del primo set. Durante l’intervallo Silvia Barba, che ha organizzato questo evento in particolare, legge una lettera inviata da Petrucciani a Manhu Roche dagli Stati Uniti. Un’altra clip; questa volta è il trailer. Poi subito pronti a ripartire con la seconda formazione, che vede al piano l’unica artista donna ad esibirsi in questo omaggio, Rita Marcotulli, assieme ad Aldo Romano alla batteria, Furio Di Castri al contrabbasso e nuovamente Flavio Boltro alla tromba. Qualcuno più impavido del pubblico si alza per scivolare fin sotto al palco e guardare la restante parte del concerto lì in piedi. C’è una coppia che balla. L’attenzione è sempre alta. Giunti a fine concerto la gente sembra quasi interdetta, non si alza, come fosse ancora incantata, Silvia Barba sul palco con gli altri sorride e propone un finale improvvisato con tutti gli artisti agli strumenti. La Marcotulli e Legnini suonano a quattro mani, alla batteria Roche e Romano si alternano, ne vien fuori qualcosa di strepitoso, meritevole di tutti gli applausi presi. Tanto che la gente alla fine (questa volta per davvero) sciama verso le auto a rilento.

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

Leggi tutto...

Il jazz italiano a Shanghai

shangayexpo_10
shangayexpo_13
shangayexpo_14
shangayexpo_16
shangayexpo_17
shangayexpo_18
shangayexpo_20
shangayexpo_21
shangayexpo_24
shangayexpo_25
shangayexpo_26
shangayexpo_27
shangayexpo_28
shangayexpo_29
shangayexpo_30
shangayexpo_31
shangayexpo_32
shangayexpo_33
shangayexpo_34
shangayexpo_6
01/20 
start stop bwd fwd

L’Esposizione Universale 2010 tenutasi a Shanghai dal 1° maggio al 31 ottobre aveva scelto il tema “Città migliore, vita migliore”; una grande occasione per esplorare il potenziale delle città nel 21° secolo, per scoprire l’evoluzione dei centri urbani e del concetto di civilizzazione del nostro Pianeta. Sono state coinvolte 200 nazioni e organizzazioni internazionali, con oltre 70 milioni di visitatori. Nonostante il regolamento dell’Expo prevedesse che i diversi Padiglioni venissero smantellati alla fine della manifestazione, quello italiano ha ricevuto ben 23 offerte di acquisizione da parte delle principali istituzioni cinesi e municipalità – tra cui Shanghai, Pechino e Hong Kong – diventando così permanente! Inoltre, il Museo Permanente dell’Expo di Shanghai ha acquisito oltre la metà delle opere esposte all’interno dell’edificio. Ma ciò che più interessa noi cultori del jazz, è la rassegna (giunta alla terza edizione) che celebra il ritorno del genere nella capitale economica della Cina e che ha visto salire sul palco i migliori musicisti jazz per 20 concerti e numerosi incroci e jam sessions. 

A questi enormi successi è stato dedicato un fascicolo, L’Italia all’esposizione universale di Shanghai 2010, presentato giovedì 16 all‘Auditorium. A chiudere le testimonianze dei volti più importanti dell’Expò, un piccolo concerto di Danilo Rea, Enzo Pietropaoli ed Amedeo Ariano. Il trio ha portato a Shanghai, e all’Auditorium, una parte di quella che è l’italianità musicale, proponendo alcuni dei più bei brani del cantautorato “nostrano”. È “Bocca di rosa”, col suo ritmo frenetico, ad aprire e chiudere l’esibizione, seguta da “Nessun dorma” e “Senza Fine”, prima di ritornare nuovamente a De Andrè con la splendida esecuzione de “La canzone di Marinella”. C’è anche lo spazio per la celebre canzone degli spazzacamini di Mary Poppins, camuffata da un’improvvisazione sul tema, parentesi giocosa che apre ad una nostalgica “Resta cu mme”, brano che va ad intrecciarsi, sul finire, con “Nel blu dipinto di blu” di Modugno, quasi immancabile per l’importante pezzo d’Italia che porta a bandiera. Altra sorpresa che ci attende all’uscita, assieme al fascicolo in omaggio, è un disco: Il meglio del Jazz Italiano a Shanghai, che al suo interno annovera i nomi di Cafiso, Pierannunzi, Bollani, Gatto, Salis, Bosso, Rea, Fresu, Rava, Telesforo e altri ancora.

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

Leggi tutto...
Sottoscrivi questo feed RSS