Straordinario esempio di come vecchio e nuovo possono convivere insieme in armonia, la Centrale Montemartini, situata a via Ostiense nei pressi di piramide, oltre ad essere una location ricca di fascino, è anche un luogo dove spesso e volentieri si può ascoltare del buon jazz. Parliamo di una centrale termoelettrica inaugurata nel 1912 che da un lato ci fa pensare a come eravamo un po’ di tempo fa, dall’altro ci offre la possibilità di guardare degli esempi più che degni di arte antica. E se il posto che abbiamo avuto modo di visitare lo scorso venerdì ci ha dato modo di fare dei paragoni, se non altro fra due mondi agli antipodi, anche la musica che abbiamo ascoltato ci ha dato modo di arricchirci attraverso un gioco di contrasti, si suoni, di luci e colori. La formazione che è salita su questo palcoscenico è ilMAT trio, acronimo del trio di Marcello Allulli, sax tenore, direttore artistico, compositore e arrangiatore, di cui fanno parte anche il chitarrista Francesco Diodati e il batterista Ermanno Baron.
E allora, giusto per darvi un’idea di quello che abbiamo avuto modo di ascoltare (e vedere…) venerdì, possiamo cominciare col dire che la musica, soprattutto quando si parla di jazz, forse è l’unica arte che ha la capacità di deliziare l’udito con delle vibrazioni capaci di addolcire i nostri timpani. Se a questo aggiungiamo che anche i nostri occhi sono rimasti piacevolmente sorpresi da quello che abbiamo visto, forse ben comprenderete che in quella sera, a quella data ora, c’era anche un’alchimia in più rispetto ad un normale concerto. La musica, infatti, è stata sempre accompagnata da immagini video che scorrevano sotto i nostri occhi. Ma non parliamo di semplici riprese, come potrebbero esserlo quelle che guardiamo ogni giorno in Tv, ma di qualcosa che era ben studiato, costruito e a volte creato sul momento. In altre parole una forma d’arte che ne incontra un’altra e la completa dandole una sorta di potere narrativo che forse avrebbe anche da sola, ma non con la stessa potenza e introspezione.
E veniamo alla serata vera e propria. Il brano con cui il MAT trio esordisce è Time, una rivisitazione dell’omonima composizione fuoriuscita dal genio di Tom Waits. E’ un inizio in sordina, malinconico, una maniera dolce per alzare un sipario immaginario superato il quale si è immersi nell’oblio della poesia e della musica. Questo trio inoltre è una formazione atipica, un po’ fuori dagli schemi, che premia il timbro degli strumenti piuttosto che il virtuosismo portato all’eccesso. E mentre il concerto prosegue, le immagini scorrono dandoci a volte una diversa prospettiva di quello che sta accadendo sul palcoscenico. L’ultimo sogno, terzo brano di questa splendida serata, composto dallo stesso Marcello Allulli, è una sorta di crescendo in cui il sassofono a tratti dà sfogo a tutta la sua potenza, a tratti mostra tutta la sua dolcezza. E mentre la musica cresce producendo colori del tutto originali, il video la accompagna riproponendo, attraverso un’altra prospettiva, quello che succede sul palco. Come se fosse una narrazione vista da un’altra angolatura, o una storia che sembra svolgersi in parallelo. Sono immagini distorte della realtà, immagini che sembrano catturate da qualcuno che spia attraverso il buco di una serratura. Non importa se questo avvenga attraverso la ripresa del sax di Marcello, attraverso un piede che batte sulla gran cassa o attraverso delle dita che pizzicano una chitarra. Quello che è importante è, infatti, la visione che ne esce fuori. Come se guardando la stessa cosa da diverse prospettive si riuscissero ad estrapolare un altro racconto, un’altra storia, un’altra parentesi. E il concerto scorre velocemente coinvolgendo anche il pubblico in prima persona.
Altro brano di cui ci piace parlare è senza dubbio Hermanos, title track dell’ultimo lavoro del trio, che Marcello Allulli introduce al pubblico con una spiegazione. Gli “Hermanos” sono i nostri fratelli, quelli che durante un periodo difficile, ovvero l’unità d’Italia, per fame e miseria si sono dati alla macchia diventando i famosi briganti. Sono tutti quelli che per sopravvivere hanno cercato un’altra via e che sono stati accusati di andare contro uno stato che semplicemente li ha resi quelli che sono. E la musica a questo punto diventa una storia, la storia dei nostri bis nonni, la storia di un popolo che ha patito soprusi e miseria, narrata attraverso una melodia semplice, malinconica e popolare. Una storia che magari ci porta con la mente a quei focolari accesi in una foresta, dove si radunano tutti quei fuorilegge che per scacciare la nostalgia di una casa, di una donna, di tutto quello che hanno perduto in una volta sola, cantano insieme in un canto accorato. Insomma, un concerto dai mille volti, arricchito da diverse sfaccettature e visto da diversi punti vista. C’è tempo per una rivisitazione del famoso brano di Fabrizio de André, la canzone di Marinella, c’è tempo anche per ascoltare una piacevole rivisitazione del famosissimo brano Besame Mucho e c’è tempo per coinvolgere il pubblico in un coro a tu per tu con i musicisti. E quello che possiamo dire è che è stata una serata veramente molto intensa, intrisa di musica e contenuti, che forse, da quello che vi abbiamo appena raccontato, vi sembrerà che si sia svolta in una giornata intera, quando invece è durata per poco più di un attimo.
Carlo Cammarella
Foto di Valentino Lulli