Jazz Agenda

Live Report: Enrico Pieranunzi al centro culturale San Luigi di Francia

E’ stata, se così la si può definire, una “lezione musicale e in musica” quella che Enrico Pieranunzi ha proposto venerdì 21 gennaio al Centro Culturale San Luigi di Francia. Personaggio eclettico e molto acclamato (si riafferma per il terzo anno consecutivo miglior musicista dell’anno nel referendumTop Jazz proposto dalla rivista Musica Jazz), ha alle spalle una carriera fiorente come pianista, compositore ed arrangiatore. Ha inciso più di settanta cd ed ha collaborato con artisti quali Chet Baker, Lee Konitz, Marc Johnson, Joey Baron, Paul Motian, Charlie Haden, esibendosi nei più importanti festival internazionali. La sua personalità musicale è il risultato del costante parallelismo tra improvvisazione e composizione, che riesce a fondere in maniera impeccabile. Di lui Nat Henthoff ha scritto: “Pieranunzi è un pianista di intenso lirismo, capace di tirar fuori un’idea dietro l’altra e di disegnare linee caratterizzate da una grande chiarezza e logica interna; egli è in grado di swingare con energia e freschezza e, nello stesso tempo, di non perdere mai la sua capacità poetica. La sua musica canta!”. E proprio per questi motivi (e non solo), i 140 posti messi a disposizione dal Centro sono esauriti in brevissimo tempo, lasciando a bocca asciutta non poche persone.

Ponti con la Francia è il progetto con cui l’associazione musicale La Stravaganza partecipa alfestival Suona Francese 2011, promosso dall’ambasciata di Francia in Italia. Pieranunzi ne è il protagonista. Narratore dissacrante ed entusiasta, si rivela un istrione nel raccontarci degli anni, quelli ’20, in cui i giovani musicisti francesi si innamorarono del jazz e ne fecero il simbolo della loro rivoluzione anti-accademica. É il jazz del Gruppo dei Sei: di Joplin, Milhaud, Auric, Poulenc, Johnson, Martinu, Satie, Cocteau (che lo definì cataclysme sonore). Sono gli anni della contaminazione e dell’improvvisazione, in cui il jazz diventa manifesto giovanile e sinonimo di antiaccademismo. Anni in cui Ragtime, Fox-trot e Charleston incarnano i “ritmi” di una nuova libertà espressiva. E Pieranunzi ben riesce ad evocarne la meraviglia e la frenesia.

Non è un concerto quello a cui assistiamo, e neppure un semplice incontro, ma una vera e propria lezione con supporto musicale dal vivo. Il pianoforte come unico tramite tra il presente e quegli anni, tra il pubblico e il palco. Gioca con la musica presentando ogni brano con slancio ed orgoglio. Espone la sua ricerca musicale proprio come un maestro farebbe con i suoi alunni, tentando ogni espediente per coinvolgere gli animi. E riscuotendo ovviamente il massimo del successo! Come i personaggi di cui ci racconta, anche Pieranunzi rifugge le convenzioni, tenendo banco con la sua ironia. Non si risparmia,si prende in giro quand’è il momento di “sfoggiare” il suo francese imperfetto e sorride nel constatare di aver creato un’atmosfera quasi conviviale. E noi, che abbiamo avuto l’onore di assistere al suo soundcheck e di poter chiacchierare con lui, abbiamo la certezza di quanto sia genuina questa informalità. Ci accompagna nello sperimentare la visualizzazione musicale, calandoci nella musica, nel periodo storico, nei sentimenti dell’epoca. Non v’è dubbio, ne riemergiamo scolari felici!

Serena Marincolo

Foto di Valentino Lulli

Leggi tutto...

Due serate per Rosalia de Souza all’Alexander Platz, un incantevole omaggio alla bossanova

10souza-copia
11souza-copia
12souza-copia
13souza-copia
14souza-copia
16souza-copia
1souza-copia
2souza-copia
3souza-copia
4souza-copia
5souza-copia
6souza
7souza-copia
8souza-copia
9souza-copia
01/15 
start stop bwd fwd

Nata e cresciuta a Rio de Janeiro, nel quartiere di Nilopolis, famoso per la scuola di samba Beija-Flor,Rosalia de Souza si trasferisce a Roma nel 1989 per studiare  teoria musicale, percussioni cubane, canto jazz e storia del jazz alla Scuola Popolare di Musica di Testaccio di Roma. Nel 1994 incontra il produttore e dj Nicola Conte, che la coinvolge nel Fez project. Solo un anno dopo arriva la partecipazione al disco del Quintet X: Novo Esquema De Bossa. Dal ’95 in poi per Rosalia sono anni di ascesa, in cui porta la sua musica sui migliori palcoscenici del jazz mondiale. E’ sempre Nicola Conte che produce il suo primo lavoro da solista, Garota Moderna (2003), che riscuote grande successo all’estero. Nel 2005 è la volta di Garota Diferente, in cui la de Souza riunisce i migliori musicisti e dj’s europei. Del 2006 la decisione di realizzare l’intero disco Brasil Precisa Balançar a Rio de Janeiro, con la direzione artistica di Roberto Menescal ( a cui affida, tra le altre, la composizione della canzone Agarradinhos) e la partecipazione di Marcos Valle

La presentazione dell’album all’Auditorium Parco della Musica le conferisce la stima di un vasto pubblico a livello globale; tanto da condurla fino in Giappone, al Cotton Club, con 6 repliche! Il suo ultimo lavoro si intitola D’Improvviso (2009); numero 47 nella chart greca. Ed è proprio D’Improvviso l’album che presenta all’Alexander Platz, con tanto di asta su una versione in vinile. In veste acustica a completare un quartetto (Edu Hebling al contrabbasso, Amedeo Ariano alla batteria e De Luisi al piano), si presenta con l’eleganza flessuosa che la contraddistingue. E il soffio della sua voce calma i tanti animi stipati nel locale, che pur di ascoltarla rimangono in piedi all’ingresso.

La formazione dimostra subito di essere affiatata tra scambi di battute e scherzosi battibecchi.  Rosalia, unica donna, padroneggia con garbo, senza far pesare la sua “figura importante”, armonizzando le parti. Il primo set è dedicato ad alcuni rifacimenti ed originali presenti nel suo ultimo lavoro. Tra questi, la de Souza riserva speciale attenzione a Samba Longe: nostalgico omaggio alla spiaggia dove, ci racconta, da ragazzina andava ad osservare il tramonto, e a D’Improvviso, traduzione italiana del classico De Repente, di Aldemaro Romero, particolarmente a cuore alla nostra ospite per via di una dichiarazione d’amore.

Vengono proposte, inoltre, interpretazioni di Canto Triste di De Moraes ed una Girl from Ipanema un po’ afro, oltre che ripescaggi dai suoi lavori precedenti come la samba lenta Maria Moita. Dopo una breve pausa e la scomparsa del batterista per alcuni minuti (nei quali De Luisi e Rosalia de Souza ci intrattengono con un pezzo voce e contrabbasso), il concerto riprende all’insegna dei classici: Menescal, Mendes, Toquinho, ancora De Moraes, Gilberto, Lobo, Joyce e altri, i cui pezzi, questa volta, vengono suonati e cantati tenendo fede all’originale. Tra le tante, citiamo Influenza do Jazz e Tristezza…

…E cos’altro dire di questa raffinata interprete del genere? Probabilmente basterebbe estendere un invito alla sua prossima data romana, perché possa personalmente ammaliarvi con la sua voce!”

Serena Marincolo

 

Foto di Valentino Lulli

Leggi tutto...

Mike Reed presenta People Places & Things alla Rassegna “COSE”

1
2
3
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
19
21
22
23
51
01/18 
start stop bwd fwd

“La penultima serata che ci regala la rassegna “COSE” ci porta direttamente a Chicago con un progetto diMike Reed: People Places and Things, gruppo nato apposta per studiare e reinterpretare un repertorio poco conosciuto, quello della Chicago della seconda metà degli anni ’50. Una formazione che rappresenta con chiarezza l’attuale “new wave” della Windy City e una conferma di valori essenziali come la cooperazione musicale e l’istinto sperimentale, con un forte punto di riferimento nel passato. Dopo l’album d’esordio, esuberante sguardo al trascorso, il quartetto diviene una delle formazioni cardine del jazz di oggi. Esce infatti nel 2009 About Us, contenente pezzi originali dei componenti e innumerevoli risultano le collaborazioni di spicco tra cui Jeff Parker, Jeb Bishop e David Boykin. Del resto Reed non si è risparmiato nello scegliere due talentuosi sassofonisti quali Greg WardTim Haldeman, che nel corso della serata ci hanno dato prova di saper duettare davvero bene.

 

Trentacinquenne dell’Illinois, Mike Reed (batterista, pianista e compositore) è vicepresidente della AACM (Association for Advancement of Creative Musicians), è curatore di varie rassegne a Chicago, è tra i pochi batteristi leader che eccellono ed è anche componente dei gruppi: Loose Assembly, Exploding Star Orchestra, David Boykin Espanse e del Treehouse Project. L’evento, che tra le altre cose è stato presentato Pino Saulo, giornalista di Radio3, e grande appassionato di Jazz, ha preso vita nella location della “Scuola popolare di musica di Testaccio”, che ha riservato ai suoi ospiti un’atmosfera piacevolmente conviviale. Difatti, durante il pre-concerto, abbiamo potuto intrattenerci assieme ai musicisti sorseggiando del vino e degustando prodotti bio delle campagne laziali. Rigirando a favore lo spazio esiguo dei locali, che in tal modo ha facilitato l’interazione e reso la serata un “privilegio per pochi intimi”.

Il concerto si apre con delle reinterpretazioni; sonorità “nuove” che attingono a piene mani in quella che è la tradizione della musica così detta nera. Accattivanti già di per sé, riescono ad affascinare ancor di più grazie all’intenso e virtuoso scambio di “battute” tra i sassofonisti, che imbastiscono un vero e proprio dialogo tra gli strumenti. Gli assoli si susseguono e alla batteria Reed spiazza tutti con la sua infaticabilità; mentre al contrabbasso Jason Roebke si contorce avviluppandosi allo strumento, estraniandosi dal contesto in una lunga parentesi di concentrazione esclusiva verso il suono. Il passaggio alle proprie creazioni viene presentato dallo stesso Reed, che cerca e crea una certa confidenza col pubblico, con alcuni aneddoti a riguardo. In questa seconda parte i componenti risultano più rilassati, e si concedono con più facilità all’aspetto giocoso. Il proprio repertorio è piacevolmente semplice (in alcuni momenti con richiami inequivocabilmente blues), nonostante venga intervallato da sperimentazioni sonore, in cui i sassofoni “singhiozzano”, accennando appena le note, e la batteria viene suonata con un archetto a stridere sui piatti.

Serena Marincolo

Foto di Valentino Lulli

Leggi tutto...

Enrico Rava & the PMJL al Roma Jazz Festival

Provate a immaginare qualcosa che si avvicini alla potenza delle forze della natura, qualcosa di simile ad un uragano oppure ad una tempesta che coglie un’imbarcazione in pieno oceano. Provate a immaginare questo e facciamo un attimo mente locale. Forse la sensazione potrebbe fuorviarvi, o mettervi un po’ di inquietudine, ma se tutto questo viene tramutato in musica e se queste energie vengono incanalate nella maniera giusta, allora cambia tutto. E in positivo. Come è accaduto a noi all’inizio del concerto che abbiamo avuto il piacere di ascoltare venerdì scorso all’Auditorium, in cui sono saliti sul palco della sala Sinopoli Enrico Rava & PMJL (Parco della Musica Jazz Lab) nell’ambito del Roma Jazz Festival. Una musica che ci ha trasmesso la stessa sensazione di un fiume in piena che al suo passaggio, invece di distruggere tutto, ti lascia ascoltare il fruscio dell’acqua in movimento.

Immaginate, quindi, che, mentre siete seduti ad aspettare l’inizio di uno spettacolo, si chiudano le luci, dei musicisti salgano su palco velocemente e subito, senza lasciarti il tempo di focalizzare, comincino a suonare con un’energia indescrivibile, con un ritmo potente, senza perdere troppo tempo in chiacchiere…  Ma fermiamoci per un secondo alle presentazioni. Se siete degli amanti del genere, sicuramente conoscerete Enrico Rava e saprete bene che un maestro come lui non ha bisogno di parole inutili. Il PMJL, invece, è un ensemble dei giovani più rappresentativi delle ultime leve, diretto in questo caso dallo stesso Enrico Rava e composto da Mauro Ottolini al trombone, Dan Kinzelman al sax tenore,Daniele Tittarelli al sax contralto, Marcello Giannini alla chitarra elettrica, Giovanni Guidi al pianoforte, Stefano Senni al contrabbasso e Zeno De Rossi alla batteria, che non ha niente da invidiare ai big della musica internazionale.

E torniamo alla nostra serata. Come dicevamo tutto comincia con un ritmo arrembante ed aggressivo che ben si adatta all’apertura di uno spettacolo di questo tipo. In prima linea ci sono i fiati che a tratti suonano in modo accorato, a tratti danno spazio all’intervento dei singoli. E poi ci sono gli altri strumenti, come la chitarra elettrica di Marcello Giannini che di certo non se ne sta in un angolino ad aspettare il suo turno, specie quando fraseggia con il trombone di Mauro Ottolini o quando si distorce in alcuni fantastici soli sotto un avvolgente tappeto di fiati. Dunque, un inizio spumeggiante che subito dopo lascia spazio ad un momento più rilassato in cui emerge anche il pianoforte di Giovanni Guidi e dove c’è anche lo spazio per una formazione minimale in cui spiccano proprio il pianoforte, il contrabbasso e la batteria, con gli altri musicisti momentaneamente in disparte come se fossero dei bambini che per la prima volta ascoltano un concerto del genere.

E di capovolgimenti di fronte in questo concerto ce ne sono stati davvero tanti. Per esempio è bello sentire un solo di basso o di batteria sotto un tappeto di fiati, un’inversione fra ritmo e melodia che offre delle piacevoli vibrazioni e che ti fa capire come un gruppo del genere sia dinamico, ricco di potenzialità e come sia divertente cambiare le carte in tavola quando se ne ha la possibilità. E poi di nuovo con un ritmo impetuoso che non dà tregua, che neanche ti fa capire quale sia il passaggio tra un brano ed un altro, che lascia a tutti lo spazio di emergere. E al di là di Enrico Rava, di cui ben conosciamo il valore, tutti i musicisti hanno prima o poi un momento per emergere e per comunicare a suon di note, dai sax, alla chitarra, al trombone e così via. Non c’è qualcuno che primeggia o che emerge rispetto ad un altro perché è l’insieme dei musicisti, unito allo studio degli interventi, che crea quella completezza necessaria ad un organico del genere. Ed è veramente difficile poter ricordare tutte le varie sezioni che hanno composto questo spettacolo così ricco e di momenti differenti, è difficile perché i cambiamenti sono troppo veloci e concitati per essere elencati dal primo all’ultimo.

Inoltre Enrico Rava, che è anche un grande scopritore di talenti, oltre che musicista di fama internazionale, ci ha dato l’impressione di divertirsi veramente tanto all’interno di questo gruppo di giovani musicisti che lo segue come un direttore d’orchestra immerso nel palcoscenico. Il pubblico questo lo capisce e dopo un bis c’è anche tempo per un tris, prima che le luci si riaccendano per dirci che purtroppo è giunto il momento di tornarcene a casa.

Carlo Cammarella

www.davidesusa.com

www.auditorium.com

Leggi tutto...

Fabrizio Bosso Quartet feat. Roberto Cecchetto all’Auditorium

14
15
16-11
18
19
20-1
21
22
23
24
31
4-1
51
72
82
92
102
112
6-1
72-1-1
01/20 
start stop bwd fwd

In una serata romana gelida e piovosa, di quelle in cui farebbe piacere stare sotto le coperte a guardare un buon film, abbiamo avuto la fortuna di poter fare qualcosa di diverso, qualcosa che veramente abbiamo il piacere di potervi raccontare. Giovedì scorso, infatti, ci siamo recati all’Auditorium per il Roma Jazz Festival e con grande sorpresa abbiamo scoperto una lunga fila di attesa per l’evento di Fabrizio Bosso Quartet feat. Roberto Cecchetto. Ancora più stupiti ci siamo resi conto che la sala dove si sarebbe svolto il concerto (Sala Petrassi) era già esaurita mezz’ora prima dell’inizio dell’evento.  Bene, anche se quel giorno il tempo atmosferico è stato a dir poco tremendo, nella sala Petrassi c’era un’atmosfera calda, viva e vivace. Il pubblico attendeva trepidante l’inizio del concerto che come in tutte le grandi occasioni si è fatto attendere un po’.

Ma appena è entrato in scena Lorenzo Tucci (batteria), la sala si è acquietata e si è lasciata trasportare da un assolo di batteria che ha funzionato da richiamo per tutti gli altri componenti di un quartetto che forse si potrebbe definire quintetto, dato che Roberto Cecchetti (chitarra) per le innumerevoli partecipazioni non può essere più considerato come uno special guest. Sul palco la formazione si è presentata cosi: Fabrizio Bosso al centro della scena a dirigere la musica, dietro Luca Bulgarelli(contrabbasso), sulla sinistra Luca Mannutza (pianoforte e fender rhodes), a muoversi tra le tastiere , e in fine sulla desta Lorenzo Tucci e Roberto Cecchetto un po’ in disparte.

Il quartetto segue le evoluzioni alla tromba di Bosso che ci trascinano tra il jazz e lo swing, che ci lasciano incantati e rapiti dalle sue sonorità così coinvolgenti. E nel momento in cui Bosso smette di suonare entra prepotentemente Roberto Cecchetto onirico, sentimentale che ci avvolge con la sua chitarra. Quello che sembrava non far parte del gruppo, vista anche la disposizione sul palco, diventa parte integrante del tutto e quello che fuoriesce dalla miscela di questi 5 artisti è un sonorità del tutto particolare che porta con se le radici di ognuno dei musicisti, dal drumming di matrice nera di Lorenzo Tucci all’esperienza variegata di Roberto Cecchetto, passando per l’impostazione puramente jazzistica di Luca Mannutza e alla freschezza di Luca Bulgarelli. Il tutto unito dalla bravura di Fabrizio Bosso. Una serata da ricordare a da incorniciare tra gli eventi più belli del Roma Jazz Festival e se mai avrete la possibilità e la fortuna di imbattervi ancora in Fabrizio Bosso Quartet  feat. Roberto Cecchetto non lasciatevelo scappare, sicuramente non ne rimarrete delusi.

Valentino Lulli

Foto di Valentino Lulli

Leggi tutto...

Roma Jazz Festival, un pomeriggio alla scoperta dei nuovi talenti francesi

1-1
1-12
1-13-1
1-14
1-2
1-3
1-5
1-7
1-8
13
15-1
16-1
17
101
2-1
3-1
5
71
81
91
01/20 
start stop bwd fwd

Che il Roma Jazz Festival sia un luogo di ritrovo per i grandi nomi del Jazz è un fatto che diamo ormai per scontato, vista la presenza di artisti di richiamo internazionale. Ma questo non vuol dire che anche le nuove generazioni non meritino un occhio di riguardo, specie quando la proposta è veramente originale. E proprio ieri, in un orario pomeridiano, quando il freddo invernale comincia davvero a pungere sulla pelle, abbiamo avuto la fortuna di poter entrare nel teatro Studio per ammirare due incredibili formazioni francesi già vincitrici del concorso Jazz Migration.

Appena arrivati si percepisce subito che sarà uno splendido pomeriggio dedicato al jazz. L’Auditorium brulica di gente che attende l’inizio del concerto nel Teatro Studio, dove già dalle 18 una folla di persone curiose si siede aspettando di ascoltare questi tre musicisti riuniti sotto il nome di Trio d’En Bas:Arnaud Rouanet (sax tenore, clarinetto,voce), Yoann Scheidt (batteria, percussioni, voce) Samuel Bourille (tastiere,fisarmonica,sax soprano, voce). Tre artisti dalle molteplici influenze musicali che amano fondere e mescolare diversi stili. E infatti, appena la musica comincia, ci rendiamo subito conto di trovarci davanti a un gruppo molto coeso che senza mai abbandonare il jazz spazia tra quelle sonorità che si avvicinano notevolmente ala musica di Franck Zappa fino a toccare la musica popolare francese, richiamata anche da strumenti tipici di quella cultura. Ci accorgiamo subito della presenza di pentole su un tavolinetto e poco dopo, quando il batterista estrae la tromba e inizia a suonare seguito da un sound di pentole sbattute, di piatti strofinati e di bottiglie di plastica accartocciate, scopriamo con grande stupore l’arte di suonarle e di improvvisare. Lo spettacolo si conclude con un esilarante gang-musicale dove queste pentole vengo “ammucchiate” sonoramente.

E poi arriva il turno dei Rétroviseur, un quartetto originale proveniente dal CNSM di Parigi composto da Yann Joussein, batterista poliedrico, Fanny Lasfargues, contrabbassista energica, Yoann Durant, sassofonista ambulante e Stèphan Caracci, vibrafonista e percussionista. Dopo un po’ di attesa, causa problemi con l’amplificazione del contrabbasso, ci immergiamo in un suono energico e quasi ipnotico. Fanny Lasfargues suona energicamente creando nuovi suoni mediante l’utilizzo di oggetti incastrati tra le corde del contrabbasso e si spalleggia con Yoann che alternando sax e clarinetto genera delle sonorità quasi surreali seguite da un incalzante ritmo di batteria e da uno xilofono avvolgente. Salta subito all’occhio il ruolo dei fiati, Yoann si muove, esce dalla scena, addirittura suona dai backstage usando i fiati in qualsiasi modo possibile. Suona anche al contrario, usa i tasti per tenere il ritmo, collega l’ancia del sax ad un tubo emettendo dei barriti. Tutto questo per uno spettacolo entusiasmante e vivo che ci ha reso felici di questo pomeriggio All’auditorium alla scoperta del nuovo jazz francese.

Valentino Lulli

Foto di Valentino Lulli

Leggi tutto...

Al Roma Jazz Festival Portal, Sclavis, Marguet, Texier, Le Querrec – tra musica e fotografia

Ecco l’occhio dell’elefante che in ogni momento osserva intensamente i fatti della vita come se li vedesse per la prima ed ultima volta”. Non è un frase di circostanza inventata dal nulla, ma un proverbio africano che nel nostro caso sintetizza la filosofia che si cela dietro il concerto/rappresentazione che abbiamo avuto il piacere di osservare ieri sera all’Auditorium. E non è un caso che il verbo da noi utilizzato sia per l’appunto “osservare” e non ascoltare, come forse sarebbe più consono per la musica. Non è un caso perché nel concerto di ieri, dal titolo “L’œil de l’elephant”, la musica di Michel Portal(clarinetto e sassofono), Louis Sclavis (clarinetto e sassofono soprano), Christophe Marguet(batteria) e HenriTexier (contrabbasso) si è fusa con il linguaggio visivo di Guy di Le Querrec, fotografo d’eccezione dall’esperienza pluridecennale.

Due linguaggi espressivi, due forme d’arte sublimi, due modi di comunicare emozioni che attivano due percezioni differenti e che possono dialogare fra loro senza generare niente di artificioso. La fotografia che guida la nostra immaginazione verso l’esplorazione, verso l’ignoto, verso quell’istante che viene bloccato per sempre dallo scatto di una macchina che ha il potere di farci rivivere emozioni ormai passate. La musica, perfezione del suono e delizia dell’udito. Un’arte dentro un’altra arte, un mix fra due linguaggi così diversi e così simili, una forma espressiva che guida l’altra trascinandoti verso mondi lontani, periodi passati, attimi immortalati, il tutto accompagnato da una musica ricercata per l’occasione che si tinge di Jazz e che stringe la mano alla tradizione francese.

E veniamo al concerto. Come i musicisti si sistemano sul palco, il silenzio viene rotto dal ritmo incalzante della batteria, poi davanti ai nostri occhi iniziano a scorrere le immagini e a mano a mano intervengono anche gli altri strumenti. La prima sessione si chiama “Baci Rubati”, un susseguirsi di immagini, di mondi inesplorati (spesso eterogenei fra loro), attimi immortalati che prendono vita nuovamente accompagnati dalla musica del quartetto. Un bacio fra due innamorati, fra due clandestini, fra due mucche, fra madre e figlio, tutto a tema con una melodia che si sposa perfettamente con quello che vediamo. Poi, si passa ad un’altra sessione intitolata “Qui l’ombra”, in cui spiccano giochi di luce grotteschi alternati a fasi più inquietanti, ad un’altra ancora chiamata “Più veloce del vento” dove, invece, al centro dell’attenzione c’è il movimento. Insomma, di sessioni ce ne sono state davvero tante e ne citiamo soltanto qualcuna, anche perché altrimenti rischieremmo di ridurre il tutto ad un freddo elenco di numeri ed immagini.

Quindi, nella serata di ieri ciò che veramente ci ha colpito è stata la pulsazione. Pulsazione che viene resa attraverso uno scatto, attraverso un attimo rubato, pulsazione che viene scandita dalla musica, filo conduttore di una rappresentazione originale, linfa vitale di un mondo che nuovamente prende forma. Le Querrec è un viaggiatore, nella sua produzione ci sono foto divertenti, foto comiche, foto ironiche, foto del passato, foto di grandi jazzisti, foto dei suoi viaggi in Africa e in continenti sconosciuti dove la povertà è ancora il protagonista ineccepibile. La parte che spicca fra tutte, secondo noi, è quella finale, in cui viene esposto, sempre a suon di musica, un reportage dal titolo “Sulle tracce di Big Foot”, effettuato nel 1990 negli Stati Uniti, proprio nelle terre ancora popolate dai nativi. Un viaggio in condizioni estreme, in terre inospitali, dove ancora le tribù, pur avendo accettato una parte di progresso, vivono secondo le loro leggi.

Insomma, quello di ieri è stato uno spettacolo diverso, un concerto/rappresentazione in cui possiamo dire di aver imparato, o se non altro osservato e ascoltato, qualcosa di diverso, che ci ha fatto riflettere non soltanto sul mondo visto dal libero occhio di Guy Le Querrec, ma anche sulla fusione di arti e linguaggi e perché no, anche sull’abbattimento dei confini culturali.

Carlo Cammarella

Leggi tutto...

Esperanza Spalding, astro già nato nel jazz e oltre…

Ci sono artisti che vengono catalogati come il fenomeno del momento, piccole stelle nascenti che bruciano la loro indole geniale in pochi attimi, estro creativo e furore artistico che si libera in un attimo sonoro. Esiste poi un’altra categoria di artisti la cui musica vorremmo portare con noi sempre, negli anni a venire sempre foriera di note nuove. Questo è senza dubbio il caso diEsperanza Spalding, classe 1984, musica nelle corde del suo contrabbasso e nella sua voce dalle radici africane e ispaniche. Una breve presentazione è necessaria per cesellare attorno alla giovane musicista un panorama variegato pluri-culturale e ricco di contaminazioni.

Auditorium Parco della Musica di Roma, il substrato è un trio d’archi, tappeto su cui si posano elementi che richiamano il folk, il jazz e la world music. Esperanza sul palco mima un istante di meditazione e relax assaporando un rosso rubino, poi la sua musica. Il viaggio di “Chamber Music Society”, nuovo disco itinerante, inizia con un intro musicale leggero, soffuso, quasi per saggiare l’attenzione del pubblico.


A seguire ascoltiamo nuovi brani di un progetto in divenire che sfocerà nel 2011 con il suo rovescio della medaglia, ovvero “Radio Music Society”.  Piccoli saggi di come si può intrecciare la dissonanza jazzistica con la purezza vocale giungono da brani come “Little Fly”. Mentre gradevole ricerca di suoni si propagano attraverso “Knowledge of good devil”. Una breve pausa e Esperanza muove i suoi passi scalzi nell’America del Sud, scende in Argentina per una “Chacarera”, danza di coppia tradizionale, pura e passionale. Si accendono ritmi di mani sul contrabbasso e piano e voce, assonanze e passaggi doppiati archi e corde vocali. A seguire “Wild the Wind”, il brano che fu di Nina Simone prima, reinterpretato poi da David Bowie, ma scritto daDimitri Tiomkin. La musicalità cinematografica di questo artista e compositore di origine Ucraina sembra essere passata nelle melodie della Spalding che ha saputo rieducare voce e contrabbasso per un pezzo dalle mille emozioni.

Altro cameo che pone l’accento sul grande amore per la musica brasiliana è “Inutil Paisagem” diAntonio Carlos Jobim. Qui la voce di Esperanza si fa strumento a fiato e doppia le note e si accompagna con suoni di basso, velluto, samba. Verso la chiusura si passa per l’idea di combinare strumenti di stampo classico con le note blu e tutto d’un fiato arriva ai timpani un brano già ben descritto nel titolo: “Short and Sweet”. Ma il genio creativo di Esperanza arriva a toccare anche melodie di canzone americana, e cinema e nevicate su New York. Seduta e ancora scalza canta la sua “Apple Blossom”; melodia e orecchie non addomesticate ringraziano. Come un germoglio, arriva “As a Sprout”, come in musica nasce un fiore e percorre attimi intensi di vita e vitalità. Chiude Esperanza con “Winter Sun”, per un inverno capitolino che stenta ad arrivare tra contraddizioni e contaminazioni.

Federico Ugolini

Foto: Federico Ugolini

Leggi tutto...

Roma Jazz Festival, Giovanni Guidi and The Unknown Rebel Band all’Auditorium

Il progetto di Giovanni Guidi, che abbiamo avuto il piacere di ascoltare giovedì scorso all’Auditorium, è molto coraggioso, quanto i protagonisti di cui tratta: i ribelli sconosciuti, quelli che ricordiamo perché hanno fatto parte di importanti processi di liberazione, ma a cui non sapremmo dare un volto. Ed è all’Unknown rebel per antonomasia che si ispira Guidi: lo studente cinese davanti ai carri in piazza Tienanmen. Gli eventi narrati nei brani, infatti, arrivano fino ai giorni nostri, con quella che ormai a tutti è nota come l’Onda studentesca. Passando per i desaparecidos argentini, la Primavera di Praga, la Liberazione d’Italia, la legge Basaglia (che sancì la fine della segregazione per migliaia di malati psichici) e le lotte anticolonialiste in Sudafrica ed Algeria.

Così veniamo accompagnati in un viaggio nel tempo e nel Mondo, ben reso dalla commistione di generi tutt’altro che scontata. Con un’impronta da colonna sonora, che rafforza ancor più l’idea di base al progetto, nel jazz fluiscono le sonorità più disparate: si passa in tal modo da un’impostazione da banda ad una fanfara; da motivi anni ’20 e atmosfere decadenti a danze scatenate.

Ed è per questa varietà che Guidi sceglie di farsi accompagnare da musicisti attivi in diversi ambiti; dal jazz alla musica contemporanea:  Mauro Ottolini (trombone, bombardino), Giovanni Maier(contrabbasso), João Lobo (batteria), Michele Rabbia (percussioni), Fulvio SigurtàMirco Rubegni (tromba e flicorno), Daniele Tittarelli (sax contralto e soprano), Dan Kinzelman (tenore, clarinetto e clarinetto basso), David Brutti (sax baritono e basso).

Ancor prima che i musicisti salgano sul palco abbiamo la certezza, dalla disposizione degli strumenti, che a dominare la scena saranno i fiati. Ed infatti il nostro intuito non ci tradisce! Sono proprio loro a dare personalità ad ogni brano. Giocano letteralmente con la musica, ammaliando il pubblico con i loro virtuosismi e la loro versatilità. Ma ciò che più fa piacere scoprire, è che stasera a raccontarci la storia saranno dieci giovanissimi musicisti (definiti tra i dieci più interessanti talenti dello scenario musicale italiano), che nelle loro t-shirt colorate e nei loro jeans, nulla hanno a che vedere con la convenzionale compostezza del jazz.

I brani sembrano avere una scansione “vitale”, dove il predominare degli strumenti a fiato narra l’eroismo delle gesta di questi uomini e donne. Gli assoli al pianoforte di Guidi, come sempre appassionanti, ben ne descrivono il dramma. E l’intenso crescendo musicale, rende perfettamente l’incalzare degli eventi.

Quando la tensione scende, i fiati in prima fila al centro, calano anch’essi letteralmente, creando così un’involontaria coreografia.

In questo modo il concerto tocca punte di estremo divertimento, in cui i suoni sono esplosivi e trascinanti e di velata malinconia, dove a farla da padrone è il pianoforte che, un po’ in disparte in altri momenti, non si risparmia affatto in questi casi, lasciandoci addosso una forte emozione.

Ancora: quasi volesse far rivivere l’Uomo in carne ed ossa davanti a noi, Michele Rabbia si cimenta nella fine costruzione di “rumori” con le sue percussioni e con oggetti innalzati a strumenti per l’occasione: come l’utilizzo della carta argentata. Rievocandone i passi, i gesti, le azioni.

Alla fine noi siamo estasiati e loro stanchi e senza respiro, ma ci regalano comunque uno stoico bis!

Serena Marincolo

foto di Davide Susa

Leggi tutto...

Roma Jazz Festival 2010: il calendario

Parte giovedì 11 novembre GEZZ: Generazione Jazz, la trentaquattresima edizione di Roma Jazz Festival, l’attesissima rassegna autunnale dell’Auditorium, che quest’anno si concentra sui giovani talenti, senza rinunciare, come ovvio, a nomi di richiamo come Bollani, Rava e Fresu. “Il progetto di quest’anno, dal titolo “Gezz” acronimo che sta per Generazione Jazz, muove proprio dalla consapevolezza che il jazz ha finito per rivestire un ruolo sempre più rilevante nel panorama artistico-culturale italiano, grazie all’affermazione di molti musicisti italiani sulla scena internazionale e alla scoperta di un numero crescente di giovani talenti – ci spiega il direttore artistico della manifestazione, Mario Ciampà – Il festival in questa edizione intende, dunque, presentare una panoramica della nuova scena jazzistica italiana, con lo specifico intento di promuovere degli spunti di riflessione sui valori estetici, le tendenze e i nuovi orizzonti della nascente generazione jazz,  che ha scelto questo genere musicale come veicolo di espressione artistica e stile di vita.  Infatti, come afferma Wyton Marsalis Il jazz non è solo musica. Va oltre, è filosofia, metafora di vita brillante e sorprendente che pone fuori dal conformismo di massa, che insegna ad essere libero ma anche ordinato e rigoroso, a guardare fuori dal proprio ambito confrontandoti con le varie culture del mondo. Un modo di vivere con “improvvisazione”,  essenza di questa musica, in maniera imprevedibile ed emozionante, con giocosità e curiosità dove tutto è precario e ogni momento irripetibile. Il jazz è espansività, che vuol dire vivere la vita con pienezza, sfidando romanticamente e temerariamente gli elementi, accelerando, fuggendo dalla ripetitività, un esempio reale di libertà creativa e di proiezione verso un futuro diverso”.

– Giovedì 11/11/2010 Sala Sinopoli ore 21
The Unknown Rebel Band 

 

– Venerdì 12/11/2010 Teatro Studio ore 21
Gabriele Coen Jewish Experience

– Sabato 13/11/2010 Teatro Studio ore 21
Alessandro Lanzoni Trio

– Sabato 13/11/2010 Sala Sinopoli ore 21
Chiara Civello

– Domenica 14/11/2010 Teatro Studio ore 18
Daniele Tittarelli Quartetto

– Domenica 14/11/2010 Sala Petrassi ore 21
Esperanza Spalding
“Chamber Music Society”

– Lunedì 15/11/2010 Teatro Studio ore 21
Headless Cat
Francesco Bigoni, Antonio Borghini, Federico Scettri

– Martedì 16/11/2010 Sala Sinopoli ore 21
Gianluca Petrella Cosmic Band

– Mercoledì 17/11/2010 Sala Petrassi ore 21
Portal, Sclavis, Marguet, Texier, Le Querrec
“L’œil de l’elephant”

– Giovedì 18/11/2010 Sala Petrassi ore 21
Mauro Ottolini
“Sousaphonix”

– Sabato 20/11/2010 Teatro Studio ore 21
Tigran Hamasyan

– Sabato 20/11/2010 Sala Petrassi ore 21
Maria Pia De Vito
“Mind the Gap”

– Domenica 21/11/2010 Teatro Studio ore 18
Jazz Migration

– Martedì 23/11/2010 Sala Petrassi ore 20
Francesco Bearzatti Tinissima 4et
“X (Suite for Malcolm)”

– Mercoledì 24/11/2010 Sala Santa Cecilia ore 21
Stefano Bollani Danish Trio
“Stone in the water”

– Giovedì 25/11/2010 Sala Petrassi ore 21
Fabrizio Bosso Quartetto

– Venerdì 26/11/2010 Sala Sinopoli ore 21
Enrico Rava PMJL Parco della Musica Jazz Lab
“Rava songs”

– Sabato 27/11/2010 Sala Petrassi ore 21
Francesco Cafiso “4out”

– Martedì 30/11/2010 Sala Sinopoli ore 21
Barocco in Pispisi Part 1 (Intorno alla musica di Barbara Strozzi)
Paolo Fresu, Uri Caine, Alborada String Quartet

Leggi tutto...
Sottoscrivi questo feed RSS