Live Report: I G Unity in concerto al Beba do Samba
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Dopo il successo del concerto di Caterina Palazzi al teatro Lo Spazio, la rassegna Spazio Jazz si è spostata lo scorso giovedì presso il Beba do Samba, storico locale di San Lorenzo ove è sempre di scena la musica live. Dunque, una nuova sfida ed una nuova casa, che ci ha dimostrato la sua calorosa accoglienza già a partire da questo primo appuntamento. E in questa splendida serata che ha visto protagonista la musica di Django Reinhardt, sono saliti su questo palcoscenico i G-Unity, un trio composto da tre giovanissimi, nato dalle ceneri dei Gipsy Italien. Gabriele Giovannini e Giuseppe Civiletti, membri storici del trio, hanno già all’attivo un disco con la precedente formazione dall’omonimo nome, mentre un nuovo progetto è in cantiere assieme a Daniele Gai. Gabriele Giovannini ci ha raccontato la genesi di questo nuovo progetto.
Ragazzi, per cominciare raccontateci la genesi di questo progetto. Come sono nati i G-Unity?
Il progetto nasce dalle ceneri di una nostra vecchia formazione, i Gipsy Italien, con cui io e Giuseppe abbiamo anche fatto un disco dal titolo omonimo. Purtroppo le cose non sono andate bene e così eccoci qui. Abbiamo reclutato un ottimo Daniele Gai alla chitarra per poter continuare un discorso e un progetto musicale che ci sta particolarmente a cuore.
Tutti e tre condividete la passione per il Manouche e soprattutto per Django Reinhardt. Cosa vi ha portato ad amare questo genere e soprattutto questo artista così geniale?
“Hai detto bene, Django era un genio. E il Manouche altro non è che la musica di Django, quindi il Gypsy Jazz è Django e amare il Gypsy Jazz significa amare Django. Grande Musica, dalla tradizione vastissima, come vastissima è la produzione artistica di Django; dalle musette, allo swing, alle melodie tzigane. Una musica ricca di vita, di sfumature e colori che ha un lato romantico molto malinconico e un altro più aggressivo, un altro ancora più evocativo e sognante; il tutto condito dalla travolgente vitalità tipica del mondo gitano. E’ un genere affascinante, soprattutto per i chitarristi, essendo musica che nasce appunto dalla chitarra (di Django) e incentrata su questo strumento. Quindi, nel mio caso, essendo chitarrista, amando la chitarra e la grande musica in generale, il Gypsy Jazz è una conseguenza naturale.”
E parlando in senso più generale cosa vi ha affascinato di più del mondo gitano e di questa cultura che in musica si traduce spesso in ritmi serrati e travolgenti?
“L’umanità, la gioia, la condivisione, la famiglia. Una grande tradizione tramandata di padre in figlio, di famiglia in famiglia. Uno stile di vita, cui solo i gitani potevano dar vita. Il loro modo di vivere, di affrontare la vita ed il mondo sono perfettamente rappresentati dalla loro musica. Una musica e una cultura meravigliose, estremamente umane.”
Nel corso della serata che abbiamo avuto il piacere di vedere giovedì scorso al Beba Do Samba abbiamo visto un repertorio che spaziava da brani della tradizione Manouche ad altre musiche riadattate in chiave gipsy. Insomma, vi piace anche mescolare le carte in tavola?
“Si abbiamo eseguito brani di Django, della tradizione gitana e anche qualche brano appartenente al repertorio jazzistico. Django era solito suonare su standard americani, e ne ha anche registrati molti negli studi della Rai a Roma nel 1949 e 1950 con batteria, contrabbasso e piano e con solo musicisti italiani. Per quanto ci riguarda tendiamo a proporre dal vivo i brani che più ci piacciono, indipendentemente dal genere musicale, adattandoli al nostro modo di concepire musica per trio acustico.”
Il genere Manouche è anche un genere molto virtuoso che richiede un grande studio alle spalle. Ci volete raccontare anche quanto lavoro c’è dietro alle performance che noi vediamo dal vivo?
“Al di là dello studio e del lavoro individuale sullo strumento, il lavoro di gruppo è incentrato sull’arrangiamento. Ci piace molto suonare e soprattutto suonare insieme, scegliere il repertorio più variegato possibile per evocare sensazioni ed atmosfere diversi, seguendo sempre ciò che più ci rende felici e soddisfatti. Per quanto riguarda la musica live l’impatto col pubblico ci obbliga a tenere la mente aperta lasciando sempre un margine di adattamento della scaletta in base alle emozioni che percepiamo dalla gente.”
Da quello che abbiamo saputo il vostro è anche un progetto a cui spesso prendono parte altri musicisti. Ci volete parlare delle vostre collaborazioni?
“Nostro ospite consueto è Juan Carlos Albelo Zamora, dotatissimo violinista, che dà un grande supporto musicale e scenico alle nostre performance. Lui ha molta personalità e una grande musicalità e ci offre ancora più soluzioni musicali. Suonare con lui è sempre un piacere. E’ ricco di idee ed ha un approccio alla musica che a noi, e non solo, piace moltissimo.”
Visto che siete giovani e vi date anche molto da fare una domanda d’obbligo. Che cosa ne pensate dell’attuale condizione musicale italiana? E soprattutto che spazio c’è per un genere come il Manouche?
“He he he belle domande. Parlare della condizione della musica italiana in generale è un argomento troppo grande per essere trattato, comunque credo che in Italia ci siano molti musicisti bravissimi e ricchi di talento. Per quanto riguarda il Manouche è e resterà un genere di nicchia, poco ricercato, forse sottovalutato. Di spazio ovviamente ce n’è per tutti e per tutto, non credo esistano limiti.”
E per i prossimi progetti che cosa avete in mente?
“Guarda, il 20 Aprile saremo a L’Archivio 14 a via Lariana a Roma con Juan Carlos ed anche il 2 Maggio al Gregory’s Jazz club. Per l’estate stiamo organizzando alcuni concerti al quale sarai ovviamente invitato e a brevissimo entreremo in studio per registrare il nostro primo disco che sarà ricco di collaborazioni e che spero riusciremo a terminare entro la fine anno. Appena pronto ne riceverai una copia, stai pronto!”
E allora grazie mille. Aspetto con ansia! Grazie e in bocca al lupo per il futuro!
“Grazie a te Carlo ea a tutti i lettori di JazzAgenda!”
Carlo Cammarella
Foto di Valentino Lulli