Stefano Battaglia e il disco The Best Things In Life Are Free: un viaggio nella tradizione del free jazz
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Pubblicato dall’etichetta Emme Record Label, The Best Things In Life Are Free è il nuovo disco della band Stefano Battaglia Sandards Quartet. Un viaggio nella tradizione americana del Free Jazz e un omaggio ai grandi spiriti di Ornette Coleman e Paul Motian. Ne abbiamo parlato con Stefano Battaglia
Stefano, per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?
‘The Best Things In Life Are Free’ ritengo che sia un album fortemente legato al presente, presente inteso come vivere il momento, vivere nel momento, senza preconcetti e senza troppi appigli a cui aggrapparsi per non farsi trascinare dalla corrente della vita. Senza guardarsi indietro, senza guardare troppo al futuro, senza prendersi troppo sul serio. Così è la musica e così sono le improvvisazioni presenti in quest’album, un raccontare sé stessi, uno sputar fuori delle storie senza filtri, così come viene. Free jazz.
Raccontaci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?
Questo progetto è nato quasi per caso, in tempo di lockdown della musica, ci si trovava una volta a settimana con le splendide persone e musicisti che ne hanno preso parte: si parlava, anche per ore, di vita, di jazz, di bellezza, accompagnati da un buon vino, e poi si suonava, senza concerti in vista, giusto per il piacere di suonare, insieme. Secondo me il parlare, scambiarsi esperienze di vita, entrare in questo modo in contatto con i musicisti con i quali si suona, è molto importante, si stabilisce una relazione tra le persone che poi inevitabilmente influenza anche la musica, il modo di comunicare tramite la musica. Dalla sala prove, con l’idea di realizzare questo progetto, allo studio di registrazione il passo è stato breve.
Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?
Senza dubbio, questo album è stato una fotografia del momento. Personalmente, prima della pandemia, stavo vivendo a Brooklyn, New York, concerti e tours in vista e poi, d’improvviso, è arrivato il lockdown. Nel giro di qualche mese mi sono ritrovato in Italia, Paese dove sono rimasto per circa un anno. Un anno caratterizzato da alti e bassi perché per mesi e mesi non è stato possibile esibirsi in concerti, ma anche un anno nel quale ho avuto modo di approfondire la conoscenza di splendide persone e musicisti e, senza dubbio, anche di me stesso. È stata anche un’occasione per lasciare un po’ la musica libera e vedere quali strade potesse prendere da sé, senza troppe influenze o direzioni. È stato un anno positivo, per certi versi bellissimo ed inaspettato, che ho voluto fotografare con questo album. ‘The Best Things in Life Are Free’, perché spesso le cose più belle della vita sono quelle libere da vincoli, preconcetti, che arrivano così, in modo inaspettato e gratuito.
Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?
Se penso al concetto di riferimenti musicali, mi vengono in mente svariati generi di musica, dal jazz tradizionale, alla musica popolare, alla musica classica antica, fino a quella contemporanea ed ai loro fautori. Devo ammettere che negli ultimi anni, dopo essermi trasferito negli Stati Uniti, è cresciuta sempre più la curiosità verso il mondo attuale del free jazz, dell’improvvisazione estemporanea o ‘comprovisation’. Mi vengono in mente i The Fringe, il trio storico di George Garzone, con John Lockwood ed il compianto Bob Gullotti, ma anche Joe Lovano, Dave Liebman, Kenny Werner, Tony Malaby, Leo Genovese, Kris Davis, Francisco Mela, Tyshawn Sorey, Craig Taborn, Bill Frisell, Wayne Shorter Quartet. In Europa trovo molto interessante il discorso che si sta portando avanti nell’improvvisazione contemporanea, tra gli esponenti mi vengono in mente Daniele Roccato e Michele Rabbia.
Come vedi questo progetto nel futuro? In sintesi, quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?
Il jazz è, se vogliamo, un contenitore delle varie influenze musicali, degli studi fatti, delle esperienze vissute. Il free jazz lo è in modo ancora maggiore. È un po’ come provare a scrivere in un quaderno senza quadretti, dove le linee guida sono il tuo background, sono il tuo vivere il momento, sono quelle che ti disegnano i tuoi bandmates in quel momento. Ecco, penso che favorendo l'incontro della conoscenza musicale, con la voglia di rischiare, di uscire un po’ dal seminato, il free, inteso come ricerca, come dialogo, come aspirazione collettiva ad una composizione estemporanea, possa essere il jazz del futuro.
Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?
Stiamo lavorando per portare il progetto in giro in Italia per l’estate, quando la bella stagione favorirà gli incontri ed i concerti, magari senza troppe limitazioni. Personalmente sto lavorando ad un nuovo album, questa volta di musiche interamente originali, che spero di poter registrare in primavera. A presto!