Jazz Agenda

Carlo Cammarella

Carlo Cammarella

Cosimo Boni racconta il disco d’esordio May be - Unable to return

Pubblicato dall’etichetta spagnola Fresh Sound New Talent, May be - Unable to return il primo album da leader del trombettista Cosimo Boni alla guida di un quintetto composto da Daniele Germani al sax alto, Isaac Wilson al pianoforte, Mats Sandahl al contrabbasso e Jongkuk Kim alla batteria e percussioni. Un disco pensato interamente a Boston, durante le innumerevoli gig al Wally’s Jazz Cafè a cui Boni partecipava durante gli anni al Berklee College of Music. Ecco il racconto di Boni a Jazz Agenda.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Questo disco è il mio primo disco da leader. L’ho registrato con il mio quintetto. Il quintetto suona insieme da alcuni anni e ne fanno parte Jongkuk Kim alla batteria, Mats Sandahl al basso, Isaac Wilson al piano e Daniele Germani al sassofono contralto. La musica del disco rappresenta le molte sfumature sonore che abbiamo avuto modo di esplorare dal vivo nel corso degli anni. Nonostante la formazione classica del quintetto jazz abbiamo sempre cercato di espandere la nostra tavolozza di colori attraverso l’interplay e creando delle “band nella band.” Quindi ci sono momenti di solo, duo, trio, quartetto etc. Le composizioni fungono da trampolino e non da limite per i momenti di improvvisazione e creazione collettiva.

Raccontaci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Il progetto è nato a Boston, dove risiedevamo tutti e cinque per motivi di studio. Io avevo una data fissa con cadenza settimanale al Wally’s Jazz Café ed ho quindi iniziato a creare gruppi diversi ogni settimana per sperimentare nuova musica. Quando finalmente ho chiamato questi quattro musicisti, l’intesa è stata istantanea e ho capito che grazie a loro avrei potuto creare una band libera di spaziare e sperimentare repertori diversi. Molte sere abbiamo improvvisato per tutto il concerto creando temi e pezzi sul momento. Questo mi ha quindi ispirato a comporre appositamente per questa formazione cercando sempre di mantenere un equilibrio fra composizione e composizione scritta che ci permettesse di essere liberi e focalizzati sull’ascolto reciproco.

Per una band o per un artista, un disco può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza. Per te cosa rappresenta?

Onestamente non credo molto nei punti di arrivo o fine e neanche di partenza. Quindi anche questo disco l’ho vissuto come un passaggio. Un momento unico che fa parte delle nostre esperienze. Rispetto ad una fotografia però credo che un disco abbia la capacità di cambiare nel tempo. Riascoltando dischi del passato che amo mi emozionano ogni volta in modo diverso e spesso scopro nuove sfumature che prima non avevo notato. Spero che questo disco possa essere sempre vivo come lo sono i dischi che amo per me.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

Fare una lista sarebbe veramente lunga perché sono stato molto fortunato di aver ascoltato o aver studiato o di aver collaborato con tanti musicisti e persone fantastiche. Mi sento di dire che Daniele, Jongkuk, Isaac e Mats sono veramente delle grandi fonti d’ispirazione per me. Poi ci sono stati molti musicisti con cui ho avuto l’onore di studiare che mi hanno influenzato tantissimo, fra tutti mi sento di citare Joe Lovano, Darren Barrett, Danilo Perez, John Patitucci, Jason Palmer e Franco Baggiani. Tutti questi musicisti vivono la musica in tutt’uno con la vita e ognuno a suo modo mi ha mostrato come la propria umanità influenza la musica e viceversa.

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi, quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Cerco di non pensare troppo al futuro ma di viverlo. Così come questo disco è nato in maniera molto naturale dopo una lunga serie di esperienze credo che l’esperienza quotidiana vissuta a pieno possa influenzare e guidare le scelte future. Credo che questo progetto abbia le potenzialità per durare nel tempo sfruttando che ognuno di noi è in un processo di crescita continua.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Adesso sono molto fortunato nell’essere coinvolto nella registrazione di alcuni progetti di musicisti italiani veramente interessanti che usciranno nel 2024. Sempre nel 2024 speriamo di portare la musica di questo disco dal vivo in Italia ed in Europa, Vedremo poi se durante queste date potremmo creare del nuovo materiale da portare in studio e registrare un nuovo disco del quintetto.

 

 

 

Art Pepper: sul filo dell'alta tensione, intervista all'autore Francesco Cataldo Verrina

Pubblicato dalla casa editrice Kriterius edizioni, Art Pepper: sul filo dell'alta tensione è un libro del giornalista e critico musicale Francesco Cataldo Verrina. Si tratta del primo libro in italiano che racconta la storia del contraltista di Gardena, figura spesso accantonata e per certi versi incompresa. Attraverso le pagine del libro esce fuori un personaggio controverso raccontato attraverso la sua produzione discografica e una vita passata tra concerti, carcere ed eccessi. Ecco cosa l’autore ha raccontato a Jazz Agenda riguardo questo nuovo libro.

Personaggio controverso ma allo stesso tempo talento indiscusso. Cosa ti ha colpito maggiormente della figura di Art Pepper?

“Premetto che essendo io molto afro-centrico non sono mai stato interessato, a livello di studio e di indagine, a quei jazzisti americani bianchi indirizzati verso forme di musica cameristica, sbiancata o riadattata altri contesti. Per contro, Art Pepper, personaggio a lungo frainteso e mal collocato nell'ambito di una nicchia di intrattenitori a sangue freddo o come espressione tipica del West Coast Jazz, fu uno dei primi contraltisti bianchi ad entrare nella mia sfera d'interesse per la sua innata e genetica blackness, di cui si tratta molto nel libro e su cui si forniscono dettagliate spiegazioni. Ovviamente sono stato colpito dal suo personaggio in tutta la sua complessità, tant'è vero che questo è l'unico libro in lingua italiana esistente sul mercato, scritto da un autore italiano.”

Questo libro ripercorre la biografia attraverso la produzione discografica. Ci vuoi spiegare come hai deciso di strutturare quest'opera?

“Più che biografia, parlerei di monografia: gli aspetti biografici sono di puro contorno e limitati all'essenziale. Sono gli aspetti ambientali che ruotano intorno ai dischi che in genere determinano il plot narrativo dei miei libri. I dischi vengono raccontati come se fossero i capitoli e la parte strutturale di un romanzo. A mio avviso, uno delle disfunzioni comunicazionali più ricorrenti in cui s'imbattono alcuni storici o scrittori a vario titolo - che porta ad una conoscenza del jazz, talvolta superficiale - è  quello di trascurare la discografia o lasciarla come elemento di contorno, rispetto magari al fatto che il personaggio in oggetto fosse un ubriacone, che tardiva la moglie, si drogava, o che non si cambiava la biancheria intima, etc. Purtroppo su molti musicisti jazz esistono libri che sono più una raccolta di gossip che non un'analisi della loro opera musicale.”

D. Un libro che in base a quello che abbiamo appreso è stato scritto a più riprese. Ci vuoi raccontare come hai lavorato alla sua realizzazione?

“La mia tecnica di stesura è sempre la stessa. Ho una specie di «archivio», un contenitore di appunti accumulato in quasi quarant'anni di frequentazione della discografia e degli ambienti musicali, non solo jazz: recensioni, programmi radiofonici, uffici stampa, organizzazione eventi, interviste, ritagli di giornali, brevi impressioni legate ai concerti che ho visto, una collezione di oltre settemila vinili e migliaia di CD, che mi permettono di cogliere quasi in maniera viva e diretta l'essenza di chi suona (ha suonato) in quel dato documento sonoro, senza dover ricorre a surrogati digitali. Ti faccio un esempio: se mentre scrivi un libro su Art Pepper hai davanti a te circa quarantadue vinili e diversi CD, quasi tutta la sua discografia, diventa molto più facile scrivere e raccontare: tutto scorre. Per soddisfare la tua curiosità, ma lo scrivo anche nel libro, ci sono alcuni avvenimenti che risalgono alla seconda metà degli anni Ottanta, durante un'affollata e accaldata Umbria Jazz. In quei giorni di luglio, ci furono una serie di coincidenze che mi legano indirettamente ad Art Pepper: è come se avessi conosciuto una parte di lui.”

A livello di stile e innovazione, secondo te Art Pepper che tipo di eredità ha lasciato?

“Art Pepper non è stato un innovatore, ma un continuatore. Come tutti i contraltisti fece sua l'esperienza parkeriana, riuscendo ad andare oltre, già nella prima parte della sua carriera, costruendo un linguaggio tutto suo attraverso una rimodulazione del bop, che raggiungerà livelli di espressione altissimi soprattutto nella parte terminale della sua vita, dopo una lunga interruzione carceraria legata al consumo e allo spaccio di stupefacenti. In quasi quindici anni di detenzione e riabilitazione Pepper non smise mai di suonare, studiare e migliorarsi, soprattutto il suo nuovo punto di riferimento divenne John Coltrane, ed è qui che il suo sound diventa una cosa altra, fugando completamente ogni residuo di jazz californiano. Dopo la metà degli anni Settanta, Pepper chiuse il percorso evolutivo arrivando al climax della «negritudine» a cui aveva sempre agognato per tutta la vita. Iniziato nel 1957 con l'avvicinamento all'hard bop di marca newyorkese proposto in «Meets The Rhythm Section» (disco realizzato insieme alla sezione ritmica di Miles Davis), il raggiungimento della blackness culminerà nel 1976 con le serate al Vanguard Spalmate su quattro album, «The Complete Village Vanguard Sessions», che può essere considerata la sua massima opera discografica. Le parole di Pepper in proposito furono molto eloquenti: «Se riesco a resistere fino a 65 anni, non c'è dubbio che sarò io il nuovo punto di riferimento. Sarà la prima volta che un bianco diventa l'ispiratore di tutto il mondo del jazz». Purtroppo Pepper morì a soli cinquantasette anni nel 1982.”

Una figura importante ma in Italia forse meno nota, come del resto tutta la scena anni '50 della California. Perché la decisione di occuparsi di questa biografia?

“Come ho spiegato, l'equivoco è proprio quello di considerarlo come un'emanazione del jazz californiano: a parte suonare all'inizio con musicisti locali, anche per ovvie ragioni pratiche, Pepper è sempre stato una sorta di nero-bianco (sangue italiano e irlandese), figura inquieta vissuta in maniera randagia in mezzo agli afro-americani e agli ispanici, cresciuta musicalmente sulla Central Avenue, dove suonava e faceva jam session sempre con  musicisti di colore, di cui tornando a casa, davanti allo specchio, cercava di imitarne lo slang e gli atteggiamenti. Il suo primo vero maestro fu Benny Carter: nella sua musica c'è sempre stata - e si coglie già nei primi lavori - la rabbia e l'inquietudine dei quartieri malfamati, più simile al suono passionale e sanguinolento di Harlem che non al languore distaccato e vacanziero del Pacifico. Pepper non è mai stato il fratellino povero di Chet Baker, forse solo il fratello meno fortunato. E molti appassionati di jazz non sanno ciò che si perdono.”

D. Quali sono gli aspetti più rilevanti di Art Pepper, sia da un punto di vista umano che musicale, che vengono sottolineati nelle pagine di quest'opera?

“Personalmente considero Art Pepper come il più grande altoista bianco di tutti i tempi, uno dei pochi, insieme a Jackie McLean, ad ever trovato una sua voce ed un suo timbro su questo strumento, staccandosi subito dal modulo imposto da Bird. L'errore di una certa critica fu inizialmente quello di non voler uscire da questa zona comfort e valutare l'idea di un contraltista che si sforzava di liberarsi dalle catene del parkerismo. Fu molto più facile liquidare la pratica, parlando di jazz della West Coast. In quanto all'umanità di Art Pepper credo che emerga più dalla sua musica che non dalla sua esistenza vissuta sul «filo dell'alta tensione», come recita il sottotitolo del mio libro, in cui esistono molti punti oscuri e contrastanti che non possono certamente, per verità storica, essere elevati a modello di vita ideale.”

Diorama: il monumento sonoro di Gaslini e Gottardo in un doppio album

Il 23 novembre 2023 è una data che tutti gli amanti del jazz dovrebbero segnare sul calendario, poiché segna il ritorno di una vera e propria gemma musicale: DIORAMA in uscita per Musica Presente Records, l’etichetta discografica diretta dal celebre musicologo Renzo Cresti. Questo misterioso album, frutto della collaborazione tra il leggendario Giorgio Gaslini e il pianista/arrangiatore Arduino Gottardo, è destinato a lasciare un'impronta indelebile nella storia della musica italiana e non solo.

Giorgio Gaslini (1929-2014), considerato il padre del jazz italiano moderno, ha plasmato un percorso musicale unico fin da giovane. Crescendo con l'influenza del suo padre, l'africanista Mario Gaslini, ha sviluppato un profondo interesse per la cultura africana. Parallelamente, ha studiato pianoforte al Conservatorio di Milano e si è immerso nel jazz americano, creando una musica che abbraccia influenze da tutto il mondo. Nel 1957, ha composto la prima opera dodecafonica nel contesto del jazz, "Tempo e relazione", dimostrando una visione artistica innovativa. Inoltre, è stato il primo a introdurre il jazz nell'ambiente accademico, insegnando presso l'Accademia di Santa Cecilia di Roma a partire dal 1972.

Ascolta il disco: https://open.spotify.com/album/4EXH7Gj60VUnYSsTS5nAx7?si=pQksfNjgQueEb1YpzVPbyQ

La sua carriera è stata eclettica, spaziando dall'opera lirica alle colonne sonore e registrando oltre cento CD con i più prestigiosi musicisti internazionali. Ha entusiasmato il pubblico in oltre 4000 concerti in tutto il mondo. Adesso, grazie a Musica Presente Records, possiamo scoprire un inedito di questo grande artista.

Diorama è un album straordinario che risale al 1978 e presenta una serie di composizioni straordinarie. La sua sottotitolazione, "Monumento alla civiltà, al progresso, alle scienze, alla tecnica, alla cultura e all'uomo", rivela l'ambizione e la profondità di questa opera.

Questo materiale sonoro storico è particolarmente rilevante, poiché rientra nel progetto di "musica totale" che Giorgio Gaslini aveva teorizzato fin dagli anni '60 e che ha presentato nel suo libro del 1975, "Musica totale". Questo concetto rappresenta la fusione di musica, drammaturgia, coreutica, poesia e arti figurative in una perfetta sintesi artistica. È un diorama in musica, una scenografia in piccolo che raccoglie elementi artistici diversi.

Il progetto Diorama fu portato in teatro dal regista Ezio Maria Caserta, nel 1978, grazie al suo testo drammaturgico omonimo. Gaslini si ispirò a questo testo per comporre i temi musicali, che, sebbene nati in relazione alla drammaturgia, si svilupparono in maniera indipendente. La performance è una fusione unica di arti visive e sonore, con un’enfasi particolare sulle arti circensi e un complesso scenario costruttivista.

Il lavoro è eclettico e compatto, con momenti di jazz, musica sperimentale, musica elettronica e musica classica. Tutti i temi sono originali di Giorgio Gaslini, con gli arrangiamenti di Arduino Gottardo.

I musicisti coinvolti nell’ensemble sono a dir poco straordinari: Arduino Gottardo al pianoforte ed all'elaborazione elettronica, Dario Vassallo alle percussioni, Francesco Casale alla batteria, Tarcisio Marani al contrabbasso, e uno straordinario Gianluigi Trovesi ai sax e ai clarinetti. Le registrazioni si svolsero presso la B&B Record di Verona, con il tecnico del suono Claudio Zigna.

Musica Presente Records ha non solo deciso di pubblicare questo straordinario inedito come testimonianza storica, ma anche per il suo valore intrinseco come lavoro di altissima qualità artistica e musicale.

La copertina dell'album è stata realizzata dall'artista Mario Coppola, che ha contribuito a dare una veste visuale all'opera, rendendola un'esperienza multisensoriale completa.

Diorama è un monumento sonoro che unisce passato e presente, arte e cultura, creando un'esperienza musicale straordinaria che va oltre il tempo e lo spazio. Non perdete l'opportunità di immergervi in questa meravigliosa scoperta il 23 Novembre.

Il doppio album Diorama è disponibile su Spotify e tutte le piattaforme di musica digitale del mondo.

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Introducing Vitantonio Gasparro: “Un approccio melodico e sperimentale alla composizione”

Si intitola Introducing Vitantonio Gasparro, il nuovo album da leader del vibrafonista e compositore pugliese Vitantonio Gasparro pubblicato dall’etichetta GleAM Records. Il disco ha vinto il premio della critica e del pubblico nel concorso internazionale Massimo Urbani 2023 e del primo premio assoluto nel Dexter Jazz contest 2023. Il trio è completato Giuseppe Venezia al contrabbasso e Giovanni Scasciamacchia alla batteria: due musicisti jazz dalla pluriennale esperienza e dal tocco inconfondibile. Ecco il racconto di questo progetto.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

“Introducing Vitantonio Gasparro” è un album che mi piace descrivere come la materializzazione sonora del mio percorso musicale, sia di formazione che nel senso artistico vero e proprio. Al suo interno la mia estetica musicale trova espressione in varie sfaccettature, per esempio attraverso approcci sia melodici che sperimentali nella composizione, dando voce anche all’indissolubile legame con la tradizione del jazz, come attestato dalla presenza di due standard.”

Raccontateci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

"Questo progetto nasce quasi per caso. Compongo per diletto sin dall’adolescenza, passione che ho sempre affiancato ai miei studi accademici di percussioni classiche prima, e batteria e vibrafono jazz dopo. Ho lavorato ai brani presenti nel disco negli ultimi anni. Volevo togliermi la soddisfazione di sentire i miei pezzi suonati almeno una volta e così ho chiesto a Giuseppe Venezia, contrabbassista, e Giovanni Scasciamacchia, batterista, musicisti dalla grande sensibilità e decennale esperienza, di fare una session in trio ed il risultato è stato sorprendente. È stato Giovanni a darmi l’idea di registrare, mi sono fatto prendere dall’entusiasmo e due mesi dopo siamo entrati in studio. Successivamente ho avuto la fortuna di entrare in contatto con l’etichetta “GleAM Records” ed il produttore discografico Angelo Mastronardi, che ha voluto credere fino in fondo nella realizzazione dell’album vero e proprio, realizzatosi anche grazie al contributo dell’associazione Rosetta Jazz Club di Giuseppe Venezia, che ringrazio per aver sposato la causa sia in qualità di eccellente sideman che per quanto concerne la produzione. Si è da subito creato con tutti un clima di sinergia e collaborazione e di questo sono particolarmente grato."

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

“Il jazz, probabilmente più di ogni altro genere musicale, porta intrinsecamente con sé la peculiarità di fotografare il momento. Questo disco non fa eccezione perché durante la session di registrazione c’è stata molta spontaneità, molto “live” e pochi rifacimenti. Però non posso fare a meno di considerare l’album anche un punto di partenza, essendo il mio lavoro discografico d’esordio e sicuramente un riferimento per guardarmi dentro e capire con più precisione come sviluppare in futuro la mia estetica musicale e la capacità di bandleader.“

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

“Se provo a razionalizzare e mettere in ordine gli elementi che hanno forgiato il mio stile non posso non citare Charlie Parker ed in generale tutta l’eredità e l’approccio improvvisativo del be-bop. Non definirei il mio un album “mainstream” ma vi ci è sicuramente una radice. Andando più nello specifico del mio strumento, il vibrafono, i miei riferimenti sono chiaramente i grandi interpreti del passato, fra tutti Lionel Hampton e Milt Jackson, ma anche moderni, come ad esempio Simon Moullier, vibrafonista della nuova generazione che a mio parere sta portando novità nella concezione sonora ed una differente prospettiva in un formazione poco blasonata come quella del vibrafono trio. Infine, se penso al mio approccio compositivo, sono stato, magari inconsciamente, influenzato anche dal jazz modale di Miles Davis e dal suo modo di concepire lo spazio all’interno dei brani e delle improvvisazioni.”

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

“In futuro mi piacerebbe provare ad ampliare la formazione e farla diventare un quartetto, magari con uno strumento a fiato. Le esplorazioni ritmiche ed armoniche che il vibrafono trio concede sono pane per i miei denti ma trovo estremamente stimolante anche il fatto di dover accompagnare un altro strumento solista durante l’improvvisazione. Dal punto di vista più specificamente estetico, questo primo album è stato un importante banco di prova che mi ha fatto capire cosa perfezionare, ma anche individuare gli elementi più interessanti da sviluppare e che mi auguro diventeranno un tratto distintivo della mia personalità musicale nei prossimi lavori.”

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

“Ho presentato recentemente il disco al Duke Jazz Club di Bari, club giovane ma già tra i più apprezzati ed importanti in Italia e a cui sono particolarmente legato per via della mia collaborazione musicale con il direttore artistico e chitarrista Guido Di Leone, che è stato uno dei primi a credere in me dal punto di vista professionale. Abbiamo altre date in cantiere ma ancora in fase di definizione.“

Kairos: il jazz incontra il rock e le tradizioni popolari del Sud Italia

Si intitola Celosia il disco d’esordio del progetto Kairos uscito per l’etichetta Emme Record Label. Un disco in cui le radici, i suoni e le tradizioni popolari del Sud Italia si mescolano con il jazz,  il rock e con la musica moderna in una perfetta armonia di suoni e interplay. L’ensemble guidato da Vincenzo Natale alla fisarmonica e Gerardo Pizza al sax contralto, tenore e soprano al quale hanno preso parte anche Lorenzo Gagna al basso elettrico, Iacopo Sichi alla batteria, Edoardo Ferri alla chitarra elettrica, Edoardo Ferri alla chitarra acustica, Stefano Riccio alle percussioni, con gli special guests David Boato alla tromba e flicorno e Marcello Allulli al sax tenore. Ecco il racconto della band.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Celosia è un album che racchiude molteplici sfaccettature del nostro bagaglio musicale. Spicca fra tutte il nostro legame con la musica popolare della nostra terra ovvero l'Irpinia, ma ci sono anche forti contaminazioni che riguardano il jazz, il rock e altri generi.

Raccontateci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Il progetto Kairos è stato ideato dal sottoscritto e da Gerardo Pizza durante i nostri studi in Irpinia. All'inizio ci esibivamo in duo Fisarmonica e Sax poi, dopo diversi anni,  abbiamo avuto il piacere di conoscere  Edoardo Ferri, Lorenzo Gagna, Iacopo Sichi e Stefano Riccio. Grazie a loro siamo riusciti a coronare il nostro sogno di registrare un album.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

Sicuramente questo disco è un punto di partenza per il nostro futuro, ma allo stesso tempo racchiude un periodo di tempo di quasi 10 anni in cui io e Gerardo ci siamo confrontati e abbiamo condiviso le nostre idee. Infatti in questo arco di tempo abbiamo composto diversi brani tra cui gli 8 che potete ascoltare nel nostro disco.

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

Durante il nostro percorso ci sono stati diversi punti di riferimento tra cui Carmine Ioanna, Daniele Castellano e Luca Roseto. Questi ultimi, oltre ad essere i nostri maestri, hanno saputo indirizzarci nel mondo della musica improvvisata.

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Il nostro più grande desiderio è far conoscere la nostra musica e in un futuro poterci esibire all’interno di prestigiosi festival italiani. A questo album seguiranno tanti altri ma per il momento siamo felici di aver potuto realizzare questo piccolo sogno.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Dopo aver presentato il nostro album in diversi eventi in giro per l'Italia, abbiamo in programma alcuni concerti in Irpinia.

Pietro Ciancaglini, Consecutio: “Un disco pieno di energia dove non manca la cantabilità”

Si intitola Consecutio il nuovo lavoro discografico del contrabbassista Pietro Ciancaglini uscito venerdì 8 dicembre per l’etichetta GleAM Records. Il disco è interamente costituito da brani originali che rappresenta il compimento del lungo lavoro di ricerca dell'artista. Un percorso artistico nel quale ha sperimentato diverse sonorità timbriche e particolari combinazioni strumentali. Hanno partecipato alla realizzazione di questo progetto Pietro Lussu al fender rhodes e al pianoforte, Armando Sciommeri alla batteria e alla voce di Chiara Orlando per alcune delle composizione dell'album. Ecco il racconto a Jazz Agenda di Pietro Ciancaglini.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

“Certo. È un disco costituito interamente da brani originali, caratterizzati ciascuno da atmosfere e colori che contribuiscono a realizzare un quadro (se vogliamo utilizzare questa similitudine con la pittura). È un disco di jazz elettrico ed acustico allo stesso tempo, pieno di forza e di energia, ricco anche di molte situazioni diverse e suggestive dove la cantabilità delle melodie non viene mai a mancare.”

Raccontaci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

“Questo è un progetto che ha avuto un percorso, o meglio, una gestazione piuttosto lunga, e questa è forse la ragione per cui è un' opera molto intensa nella sua essenza. C'è tanto di me in questo lavoro e credo sia il disco che mi sia riuscito meglio da diversi punti di vista: compositivo innanzitutto, ma anche stilistico e tecnico. Questo progetto si è evoluto in diverse fasi: 1) il periodo delle composizioni, che hanno visto la luce nel periodo che va all'incirca dal 2014 al 2021 (personalmente scrivo musica quando sento di farlo, non  "a comando", e ci possono essere quindi periodi lunghi in cui non scrivo affatto e periodi invece in cui scrivo tanti brani); 2) il periodo in cui rifletto su quale è l'organico strumentale che può rappresentare al meglio la musica che ho scritto, e in questo caso ci sono voluti circa due anni per capire che dovevo essere io stesso sia solista che accompagnatore; 3) la pre-produzione; 4) la registrazione e la produzione vera e propria; 5) la preparazione dei concerti dal vivo.”

Un disco per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

“Per me un disco è un punto di arrivo e un punto di partenza allo stesso tempo; "Consecutio" rappresenta il compimento di un lungo periodo di ricerca interiore sia dal punto di vista artistico che dal punto di vista umano e allo stesso tempo è una ripartenza perché, secondo il mio pensiero, l'evoluzione non ha mai fine.”

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

“Sono tanti i musicisti che mi hanno influenzato, non solo bassisti ma anche sassofonisti e trombettisti. Alla fine uno assimila ciò che ha ascoltato e crea il proprio stile negli anni; lo fa con la propria personalità che è sempre distinta da quella degli altri ma per esprimerla bisogna avere padronanza della tecnica del proprio strumento e conoscenza del linguaggio della musica che si suona. Uno dei musicisti che mi ha influenzato maggiormente dal punto di vista compositivo e del linguaggio è Tom Harrell.”

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

“Questo mio progetto ha un grande potenziale e un grande impatto (la soluzione dei due bassi funziona benissimo ed è molto efficace) e spero che venga accolto e ospitato nelle programmazioni di festival, club e rassegne in Italia. Vorrei quindi suonarlo tanto in giro e spero che me ne diano la possibilità. Sto anche continuando a scrivere ed ho già dei brani inediti che talvolta inserisco all' interno dei concerti del progetto Consecutio.”

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

“Il progetto l'ho presentato  nella rassegna Jazz Image al Colosseo e ho già delle altre date in vista: Alhambra jazz club, la Casa del Jazz e altre opzioni che devono essere ancora confermate. Confido sul fatto di poter fare molti concerti! Al momento sono concentrato su questo progetto e quindi aspetterò del tempo prima di pensare ad una nuova registrazione a mio nome. Qualche collaborazione anche discografica con progetti di altri la farò nei limiti del possibile.”

Antonello Losacco racconta Worlds Beyond: “Una nuova sfida per cambiare direzione sonora”

Si intitola Worlds Beyond l’ultimo lavoro discografico di Antonello Losacco pubblicato dall’etichetta GleAM Records. Un album il cui stile compositivo è caratterizzato da una forte componente descrittiva che si rifà a sonorità cinematiche, intrecciate con il jazz europeo e contemporaneo, mantenendo una spiccata vena melodica e una ricercatezza formale e timbrica negli arrangiamenti. Hanno partecipato a questa avventura Vitantonio Gasparro al vibrafono,  Vito Tenzone alla batteria con gli ospiti speciali Roberto Ottaviano al sax soprano e Badrya Razeem. Ecco il racconto di Antonello Losacco a Jazz Agenda.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Worlds Beyond a partire dal titolo che si presta a più letture e interpretazioni, racchiude una serie di composizioni originali firmate dal sottoscritto, ognuna delle quali ispirata da una riflessione, suggestione o momento di vita. Questo album, così come il precedente è inteso come una sorta di colonna sonora e quasi tutti i brani sono stati scritti e arrangiati appositamente per la formazione presente. Infatti l’idea centrale di suono si basa sul trio (vibrafono, basso 7 corde e batteria: Vitantonio Gasparro al vibrafono e Vito Tenzone alla batteria); impreziosita dal sax soprano di Roberto Ottaviano e dalla voce di Badrya Razem. Fondamentale è stata la connessione di intenti col discografico Angelo Mastronardi di GleAM Records. L’album inoltre è stato realizzato con supporto di Puglia Sounds record.

Raccontaci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Nel 2022 è uscito il mio primo album da solista intitolato Respira, edito da GleAM Records, ed in esso la formazione era costituita da un duo pianoforte/bassi (contrabbasso e basso elettrico) e completata da un quartetto d’archi. Un album cinematico e descrittivo. Avevo quindi voglia di affrontare una nuova sfida e cambiare completamente direzione sonora. Ed infatti mi sono circondato da ben due percussionisti! Inoltre la centralità che riveste il mio ruolo in questo trio mi consente di esplorare appieno le possibilità del mio strumento e creare intrecci sonori inediti. In effetti non esiste nessun altro trio con le stesse caratteristiche. Il progetto è abbastanza “giovane” infatti dopo un paio di incontri con i musicisti presenti ho iniziato a scrivere ed arrangiare e dopo un mese eravamo in studio di registrazione.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Worlds Beyond è sicuramente la descrizione di un periodo artistico che sto vivendo ma che è sempre parte di un percorso in continua evoluzione e ricerca. Amo mantenere una coerenza espressiva e compositiva, così come ho necessità di guardare sempre oltre, appunto “Worlds Beyond”

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

I miei gusti sono molto diversificati tra loro; da Metheny a Morricone, da John Williams a Samuele Bersani, da Bill Evans ai Police, da Miles, Shorter, Rollins, Brecker, Holdsworth, ad Avishai Cohen, Hans Zimmer, Wheeler, Aaron Parks, e così via. Ascolto anche artisti assolutamente contemporanei sia nel jazz, sia in altri generi. Mi piace anche molto la musica classica che a volte diventa un rifugio nel quale ritrovare bellezza, serenità, grandiosità ed eterno; penso a Ravel, Debussy, ma anche Scriabin, per arrivare a Bach, Beethoven, ora basta a scomodare questi geni nella mia intervista ah ah.

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Il mio desiderio più grande è quello di poter suonare il più possibile dal vivo con i musicisti presenti nell’album. In ogni nuova occasione di suonare insieme si crea qualcosa di nuovo, si perfeziona l’interazione, si esplorano i brani con occhi diversi. Sto già scrivendo nuove composizioni e arrangiamenti di standards da suonare con il trio o quartetto nelle prossime esibizioni. Le evoluzioni per il futuro potrebbero portarci a nuove collaborazioni, un nuovo album, chissà.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Abbiamo già tenuto alcuni concerti, showcase e interviste. Ora siamo in fase di programmazione delle date per il 2024 sia in Italia, sia all’estero. Ci tengo a segnalare una data nella mia città, ovvero Bari, presso il Duke Jazz club, prevista per il 24 febbraio 2024. Le prossime date saranno pubblicate sui miei social (instagram e facebook). Ci tengo a ringraziare personalmente ed a nome del gruppo lo staff di GleAM Records e Jazz Agenda. Un saluto a tutti voi che leggerete queste righe.

 

Davide Intini presenta Ego Timing: “La presentazione del mio percorso musicale"

Si intitola Ego Timng l’album d'esordio di Davide Intini realizzato insieme a Diego Albini al pianoforte, Enrico Palmieri al contrabbasso e Alfonso Donadio alla batteria. Un debutto discografico che mette in luce l’eterogeneità di esperienze del leader, offrendo all'ascoltatore un album composto da brani originali che vivono organicamente insieme, anche se ognuno di loro è in possesso di propri colori e propria personalità. Davide Intini racconta a Jazz Agenda questa nuova avventura.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

"Ego Taming è la presentazione del mio percorso musicale, un viaggio iniziato quando da giovane mi innamorai del timbro del sassofono. Questa fortissima passione ha funzionato da guida nella mia formazione sia come artista,che come persona; il mio costante desiderio di migliorare musicalmente mi ha portato a vivere esperienze uniche e a scoprire il mondoL’esigenza di musica e di scoprire il linguaggio del Jazz mi hanno accompagnato dall'Italia alla Spagna fino a New York, portandomi ad essere da appassionato studente a consapevole professionista, facendo la compiuta scelta di dedicare la mia vita alla musica Jazz."

Raccontaci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Da sempre sono appassionato di composizione e arrangiamento, e dire che le circostanze della vita mi hanno naturalmente portato a formare questo gruppo. Infatti, nei due anni precedenti alla pandemia, ho lavorato come direttore musicale su navi da crociera in giro per il mondo; quando è arrivato il Covid, la mia personale maniera di affrontare le problematiche ad esso connesse e le varie quarantene è stata di sedermi al pianoforte e scrivere nuove composizioni, fra cui quelle che fanno parte del disco “Ego Taming”. Una volta allentate le restrizioni, con la possibilità di vedersi di nuovo con altre persone per suonare insieme, ho scelto quei musicisti che potessero a mio avviso rendere realtà quella che era la mia visione artistica. Sono convinto che la scelta si sia rivelata corretta, infatti la spiccata sensibilità musicale dei giovani talenti che mi affiancano, rende molto facile esprimere la personalità delle mie composizioni e le emozioni che cerco di esprimere attraverso di esse.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Questo è senza dubbio un punto di partenza, sia per il quartetto come gruppo, che per me come musicista.A livello di band, stiamo già provando nuovi brani e cercando ulteriori sonorità che ci possano contraddistinguere sempre di più nel panorama jazzistico Italiano. Personalmente, il processo di registrazione del mio primo disco è stata un’esperienza meravigliosa ed altamente formativa, che mi ha stimolato tantissimo; nei prossimi mesi ho l’intenzione di produrre altri lavori discografici con altri ensemble e formazioni. Il mio sogno è quello di registrare i miei arrangiamenti per Big Band. Per la mia tesi di diploma presso il Conservatorio di Milano misi in piedi una orchestra intera, e registrare un disco con la stessa sarebbe un’ottima scusa per rivivere l’emozione di sentire suonati i miei arrangiamenti da una formazione così estesa.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

La lista di riferimenti musicali sarebbe lunghissima, ma non posso non citare John Coltrane e Sonny Rollins, i miei due fari ed idoli musicali.E poi Llibert Fortuny, che è stato mio insegnante a Barcellona, dove ho vissuto per tre anni, e che mi ha trasmesso la passione per il migliorarsi ed il valore della disciplina nello studio.A livello compositivo l’esempio che cerco idealmente di seguire è quello di Wayne Shorter, ma le mie influenze personali spaziano anche al di fuori del mondo del jazz. Sono grande amante da sempre dei Beatles, della musica Funk e della musica popolare, in particolare quella Ungherese, terra di origine di mia madre. Mi auguro che questa eterogeneità di influenze sia riconoscibile nella mia proposta musicale.

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Le evoluzioni musicali saranno sicuramente strettamente legate con il lavoro di composizione e con il continuo affinarsi del nostro interplay.Sono già motivato a preparare il nostro secondo lavoro discografico, nel quale mi piacerebbe poter ospitare qualche artista affermato.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Stiamo organizzando il tour di presentazione del disco, sia in Italia che nel resto d’Europa; abbiamo infatti già in programma dei concerti in Germania per l’anno prossimo. Una volta che il tour sarà definito, potrete trovare tutte le date sul mio sito personale www.davideintini.com

Antonio della Polla e il Vibes Trio: “Un riassunto di esperienze musicali tra generi e stili diversi”

Pubblicato dall’etichetta Emme Record Label, Vibes Trio è il disco d’esordio della band guidata dal vibrafonista e percussionista Antonio della Polla. Un disco dallo spiccato senso melodico che fonde diversi stili e che sintetizza alla perfezione le diverse esperienze musicali dei musicisti che vi hanno preso parte. In questo lavoro hanno preso parte Andrè Ferreira al contrabasso e Vladimiro Celenta alla batteria. Ecco il racconto del leader di questo progetto.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Il disco è un simil concept-album dove il filo di connessione fra i brani è la varietà che oppone essi stessi, rappresentano il riassunto delle mie esperienze musicali dove ho voluto tradurre in questa formula del trio jazz generi e stili differenti. In questo modo si passa da brani dove è forte l’influenza dei pianisti che hanno definito le caratteristiche del moderno trio jazz, a brani dove le ritmiche pop e delle culture extra-europee delineano il leitmotiv della composizione.

Raccontaci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Il progetto è nato da una voglia di sperimentazione ma allo stesso tempo di consolidamento delle mie esperienze musicali. Quando ho deciso di voler mettere ordine alle mie idee ho subito chiamato Vladimiro che è il batterista che più spesso mi ha accompagnato nel mio percorso, per il contrabasso invece ho voluto cercare qualcuno che oltre ad un contributo musicale mi potesse trasmettere una forte empatia e cosi è partito una sorta di casting dove alla fine la scelta è ricaduta su Andrè, da allora abbiamo provato tanto e abbiamo anche iniziato a proporre i primi brani del futuro disco durante i concerti per testare il feedback del pubblico.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Sicuramente è una fotografia del momento nella maniera più netta anche perché prima di intraprendere questo progetto avevo alcuni brani in cantiere che erano destinati  ad un altro progetto musicale  ma che  non rispecchiavano il mio stato emotivo ed i miei gusti musicali così ho iniziato a lavorare su questi altri brani che meglio descrivevano quel momento.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

Assolutamente si, nel mio caso è fortissima l’influenza dei pianisti che hanno fatto la storia del jazz mondiale, da quelli del periodo classico come Bill Evans e Wynton Kelly su tutti, a pianisti del più recente passato come Kenny Barron e Brad Mehldau, in generale la tradizione del jazz rappresenta la mia maggiore influenza quindi si può dire che tutti i grandi artisti del genere mi abbiano influenzato;  ci sono poi alcuni artisti che sono diventati i miei idoli come ad esempio Victor Feldman, vibrafonista, batterista, pianista e percussionista britannico; musicista poliedrico per eccellenza, sono rimasto folgorato dalla capacità di produrre musica di altissimo spessore in diversi contesti, da musicista degli  Steely Dan a i concerti live in trio suonando piano e vibrafono in maniera virtuosistica fino al periodo fusion, davvero incredibile!

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Spero di continuare a produrre musica per questo trio e di poter incidere anche nuovi lavori, in generale l’esperienza discografica mi affascina e mi piacerebbe poter registrare tanti dischi anche di diverso genere e in progetti musicali altrui. Mi piacerebbe a breve poter fare un progetto dove sia presente un secondo strumento armonico in modo da poter meglio esprimere il carattere solistico di questo strumento e di valorizzarne il timbro; le idee sono davvero tante e hanno bisogno di essere ordinate.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Per il momento non abbiamo in cantiere alcuna registrazione ma ci stiamo concentrando a portare avanti una futura stagione concertistica per il trio, a breve avremo una presentazione del disco nella mia città (Salerno) e a Caserta, seguiteci sempre per le novità!

 

Le corde a colori disegnate dalla chitarra di Massimo Sorrentino

Si intitola Corde a Colori l’ultimo disco del chitarrista Massimo Sorrentino uscito per l’etichetta RadiciMusic Records. Un concept album dove la divisione dei colori diventa fonte d’ispirazione per la creatività e la composizione. Completano la formazione di questo progetto Daniele Sorrentino al contrabbasso e Andrea Rea al pianoforte. Ecco il racconto del leader a capo di questa nuova avventura.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Innanzitutto un caloroso saluto ai gentili lettori di Jazz Agenda. Il mio nuovo CD, “Corde a colori” (uscito per la RadiciMusic Records), nasce come un “concept-album” (10 brani inediti + 2 standard) diviso in 4 parti: il filo conduttore di questa immaginaria divisione è il mondo dei colori. Infatti ho voluto creare della musica attraverso la suggestione che determinati colori riuscivano a darmi: da qui l’idea di creare una sorta di ‘quadri musicali’, formati da tre brani ciascuno. Più nello specifico: al ‘bianco’ è affidata l’apertura del disco, con una formula strumentale minimalista, con brani in “chitarra solo”. Il momento del  ‘verde’ è imperniato da un sound tradizionale e jazzistico, in una classica formazione con contrabbasso e pianoforte (rispettivamente con Daniele Sorrentino e Andrea Rea, noti jazzisti dello “Stefano Di Battista Quartet”), poi si arriva ai momenti dedicati al colore ‘rosso’, che vuole richiamare la suggestione teatrale e filmica della musica, con delle composizioni e degli arrangiamenti  contraddistinti da organici più vasti, sinfonici, con impronte jazz sperimentali e contaminate, per poi concludere questo viaggio nei ‘colori musicali’ con l’ultimo ‘quadro’ dedicato al colore ‘blu’, in cui vi sono richiami all’improvvisazione più moderna, con incursioni anche nel rock e nell’afro beat, grazie all’ausilio di una certa vastità di chitarre elettriche e di loop elettronici.

Raccontaci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Questo è il mio terzo CD da leader. I miei progetti hanno sempre avuto delle collaborazioni variegate, questo per rendere la mia musica più versatile possibile e allo stesso tempo poco etichettatile, anche se certi riferimenti e influenze sono evidenti. Ad esempio non nascondo che molte delle mie composizioni risentono dell’approccio strutturale e stilistico del “Pat Metheny Group”. Ma nel mio piccolo ho sempre cercato di attorniarmi di musicisti/amici con i quali ricercare un suono e un mood che fossero riconoscibili e che dessero una certa continuità al mio percorso artistico. In tal senso mio fratello Daniele e Andrea Rea hanno rappresentato una costante per questi progetti discografici, trattandosi di jazzisti estremamente duttili ed eclettici.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

In effetti ogni incisione, ogni esecuzione è una istantanea unica di un momento irripetibile. Nel jazz questa definizione lo è ancora di più, in quanto si parla di musica che spesso si avvale di improvvisazione, di ‘soli’ che vengono condizionati da un istante specifico. Per questo la registrazione di un album è fondamentale, perché sei consapevole che tali esecuzioni ed interpretazioni non avverranno mai più come in studio. E’ la croce e delizia del jazz: l’irripetibilità di quel momento, di quel presente. E’ un po’ il rischio dei jazzisti: non possono replicare degli assoli, anche se propri, ma questo è anche molto stimolante per cercare sempre nuovi input.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

Come accennavo prima, il ‘Pat Metheny Group’ mi ha molto influenzato nel modo di comporre e di concepire la musica strumentale. Sono un grande appassionato di Metheny, apprezzando soprattutto gli ultimi lavori con il suo storico gruppo. Anche il suo ‘chitarrismo’ mi ha sempre ispirato. Ma lui in un certo senso è un’eccezione nel mio percorso, perché in generale direi che i miei riferimenti e le fonti di studio, difficilmente sono stati dei chitarristi: il mio ascolto è sempre stato più attratto dai pianisti, o dai tanti altri grandi strumentisti della storia del jazz. Da Herbie Hancock, McCoy Tyner, Coltrane, Miles, Pastorius fino a Brad Mehldau e Django Bates. Fra l’altro quest’ultimo credo sia il pianista/arrangiatore più sottovalutato della storia, nonostante abbia comunque una discografia ed una carriera di tutto rispetto. Infine, oltre al jazz, non posso non citare i Beatles come riferimenti assoluti, ed in particolare modo Paul McCartney, che reputo il più grande compositore di musica e di ‘melodie’ dell’ultimo secolo. Non a caso nel disco ho voluto omaggiarlo con una versione di “Blackbird”.

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Viviamo in un’epoca in cui la commistione sonora tra le varie culture musicali, e non, è sempre più presente. Mi piace pensare che questo approccio sia molto jazzistico: d’altronde il jazz nasce dall’incontro di più culture e grazie al dialogo continuo di grandi musicisti che ricercavano nuovi linguaggi e nuove frasi musicali. L’obiettivo personale quindi è quello di proseguire e perseguire questa filosofia: proporre la mia musica, anche in questo periodo in cui tutto tende a dover essere identificabile ed etichettato, senza troppi vincoli di genere, evitare certi steccati e dare spazio alla libertà di espressione. Questo credo possa valere anche in generale, non solo musicalmente parlando.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Progetti futuri tanti: concreti o solo in cantiere. Innanzitutto c’è la volontà di portare parte di questo disco in giro, in trio, con Daniele Sorrentino al basso e Luigi Del Prete alla Batteria. Proprio con quest’ultimo ho realizzato una versione inedita di un mio brano presente nel CD: rappresenterà il nuovo singolo del disco e si chiama “From the sea to the sky". Uscirà solo per il mercato digitale nelle prossime settimane: sarà una sorta di bonus-track del disco.

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