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CASA DEL JAZZ live diary – 6 settembre 2011 – Rita Marcotulli “racconta” i Pink Floyd

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La Casa del Jazz ci regala l’ultima rassegna in questa estate settembrina, abbandonando le sonorità che hanno contraddistinto il “Casa del Jazz Festival”, per 6 giorni di puro progressive. “Progressivamente”, questo il nome della rassegna, apre con un gruppo d’eccellenza guidato da una pianista d’altrettanta fama: Rita Marcotulli. “Us and them – Pink Floyd sounds” è un omaggio che attinge alle diverse realtà musicali dei componenti, dal risultato per nulla scontato! La folla alla biglietteria non tradisce le aspettative. Del resto i Pink Floyd rientrano in quella categoria di gruppi che uniscono generazioni, e forse anche la presenza sul palco del cantante Raiz, storico frontman degli Almamegretta, ha il suo peso. Fatto sta che ci ritroviamo tutti sul solito prato, frequentato un’estate intera (per chi è rimasto un vacanziero di città!), con le facce più abbronzate e rilassate a farci stupire ancora una volta. C’è meno rigore e più voglia di interagire con chi ci sta intorno. Ai tavoli le chiacchiere hanno il sapore dei viaggi che ciascuno racconta, ma tutti buttano un occhio al palco almeno una volta, in segno di attesa. Lo spiedo del kebab c’è ancora, ad impregnare l’aria, a ricordarci che in fondo può essere ancora estate. L’afa ha lasciato il posto ad un’aria più leggera, così si ha più piacere a stare all’aperto (ed anche a pensare di essere già tornati a Roma!).

Alla breve presentazione della serata e del festival in sé, tutti si ricompongono pronti all’ascolto. Sul palco salgono in sette: oltre alla Marcotulli al piano e Raiz alla voce, abbiamo Andy Sheppard al sax;Pippo Matino al basso elettrico; Fausto Mesolella alla chitarra elettrica; Michele Rabbia alle percussioni e Mark Mondesir alla batteria. Se l’impronta di Raiz si avverte distintamente nelle sonorità arabeggianti, Michele Rabbia le valorizza con la sua bravura nel manipolare i suoni degli oggetti più disparati (in questo caso in particolare, la capacità di ricreare suoni “elettronici” attraverso una lastra di metallo). Fiori all’occhiello i virtuosismi di Sheppard e della Marcotulli. Pur non volendo stravolgere la struttura originaria dei brani, essi si ripresentano nuovi, non sempre immediatamente riconoscibili, ma ugualmente affascinanti ed inebrianti. L’uso del riverbero li rende eterei, avvolgenti; lascia che diventino un ricordo, un sogno. Come se la loro presenza lì, in quel momento, non fosse del tutto scontata. Colpisce, tra i brani, il modo in cui “Shine on you crazy diamond” sia stata spogliata da qualsiasi orpello virtuosistico, lasciandone emergere la bellezza del testo ed accentuando il contrasto tra la voce graffiante di Raiz e quella più “pulita” di David Gilmour. Senza tentare di surclassare o dare un’interpretazione originale di un brano unico nel suo genere.

Il progetto è ambizioso e ben riuscito. Riesce a calamitare l’attenzione e a regalare un po’ di nostalgia a chi i Pink Floyd li ama dagli esordi.

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

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