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CASA DEL JAZZ LIVE DIARY: Il tempio delle clessidre e La locanda delle fate

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Se pensiamo gli anni ’70 ci vengono in mente molte cose. Pensiamo ai grandi Festival sparsi in tutto il mondo, alla musica come fenomeno sociale, alle grandi masse che scendono in piazza, ad un’atmosfera che purtroppo, per quanto riguarda noi, abbiamo conosciuto soltanto per sentito dire. Ora, di acqua sotto i ponti ne è passata tanta e anche se probabilmente è impossibile comprendere quello stato d’animo, se non altro mercoledì scorso, 8 settembre, la Casa del Jazz (nell’ambito del FestivalProgressivamente) ci ha dato modo di partecipare ad una serata che da un lato ci ha fatto fare un tuffo nel passato, dall’altro ci ha fatto capire che anche adesso ci sono dei giovani talenti che pur proponendo brani originali non disdegnano attingere dalla tradizione. La location è di certo fra le più suggestive, ma a rendere il tutto ancora più coinvolgente ci hanno pensato le due formazioni che sono salite su questo palcoscenico. Il primo gruppo è “Il tempio delle clessidre” ed è formato da 4 ragazzi genovesi, ovveroElisa Montaldo alle tastiere, Giulio Canepa alle chitarre, Fabio Gremo al basso, Paolo Tixi alla batteria e Stefano Lupo Galimi, storico cantante del Museo Rosembach, uno dei più influenti gruppi progressive della scena italiana. Il secondo è La Locanda delle fate, gruppo nato alla fine degli anni ’70, che purtroppo con la complicità del tempo non ha avuto il successo meritato.

Per chi non l’avesse ancora capito stiamo parlando di rock progressivo, una delle correnti che in quel periodo andava per la maggiore grazie a gruppi come Le Orme, Gli Area, il Banco del Mutuo Soccorso eccetera. Dunque, una serata che ha fatto incontrare vecchio e nuovo, che ci ha dato la possibilità di conoscere un gruppo di ragazzi vogliosi di sperimentare e un’altra formazione che è nata in un’altra epoca. Il concerto comincia con Il tempio delle clessidre, in un’atmosfera quasi surreale che a suon di note ci trasporta in un immaginario parallelo. I musicisti, infatti, prima di presentarsi, salgono sul palcoscenico con delle maschere, come se fossero usciti dal loro vero io per diventare un tutt’uno con la musica. E dopo pochi minuti ci trasportano con la loro personalità coinvolgente nel vivo del concerto. La caratteristica principale del gruppo è quella di alternare ritmi incalzanti, con un groove molto deciso e una batteria molto potente, con momenti più delicati in cui la parte melodica, composta da chitarra e tastiere, fraseggia più armoniosamente. C’è un momento per tutto, anche per riproporre un brano dal disco più famoso del Museo Rosembach, Zarathustra, cantato da Stefano Lupo Galimi, che il pubblico di appassionati presenti al concerto dimostra di apprezzare davvero.

Ma se è vero che tuffarsi nel passato può essere una bella esperienza, il brano che ci ha colpito di più e che forse ci ha fatto capire quale sia la vera filosofia del gruppo è Danza Esoterica di Datura. A presentarlo ci pensa Elisa Montaldo che per un momento si allontana dalle tastiere e spiega i retroscena che si nascondono dietro alla musica che stanno per suonare. La Datura, infatti, è la pianta che le streghe utilizzavano nei loro riti propiziatori per avvicinarsi alla natura e per diventare un tutt’uno con essa. Quindi, i componenti indossano nuovamente le maschere e cominciano a suonare nuovamente tornando ad essere un tutt’uno con la musica. Momenti più armoniosi, dove c’è lo spazio per melodie più calde, e momenti più dinamici in cui la batteria esplode in ritmi incalzanti e decisi. Poi, dopo questo tira e molla, arriva la sintesi, il momento in cui tutto diventa ordine e in cui ci immaginiamo che sia avvenuta una fusione con questa forza potente e trascinatrice. E alla fine di questo brano, quando la calma sembra tornata definitivamente, i musicisti si inginocchiano e rendono omaggio a qualcosa di più grande, forse ad una fonte ispiratrice che giunge da universi ben lontani dalla nostra realtà.

A questo punto il concerto si interrompe, Il Tempio delle clessidre saluta il pubblico e dopo un quarto d’ora di pausa salgono sul palcoscenico della Casa del Jazz La Locanda delle fate. Ora, se pensate che questo gruppo non suonava nella capitale da un bel po’ di anni, allora capirete bene come Leonardo Sasso, unico componente della band nato a Roma, si sia davvero commosso. Ed è un’emotività che si vede, che si sente dall’approccio caloroso verso il pubblico e verso tutti quegli appassionati del genere che in questa splendida serata hanno deciso di venire da ogni parte dell’Italia. Loro, sebbene siano passati molti anni, sono sempre gli stessi, possiedono quella innata capacità di far confluire in maniera naturale la poesia con il rock, la malinconia con l’allegria, la passione con l’energia. Rappresentano bene, secondo noi, l’atmosfera che hanno vissuto in quel periodo ed è un vero peccato che abbiano cominciato a suonare proprio quando quella scena musicale stava scemando. Detto questo, lasciando stare il passato, pensiamo a quello che si può fare con i buoni propositi e con un po’ di voglia di fare. Se pensate che qualche anno in più abbia fatto perdere alla Locanda delle fate l’energia che li contraddistingueva, allora avete sbagliato di grosso perché la voglia di suonare e di stare sul palcoscenico ce l’hanno ancora tutta.

Leonardo Sasso, oltre ad essere un grande paroliere, dialoga con i partecipanti, si sente a casa e condivide quello che canta, come se il pubblico fosse un vecchio amico conosciuto in bar tanto tempo fa. E questo calore, che anche noi abbiamo percepito in maniera molto forte, viene trasmesso da tutti i musicisti che in quel momento si trovano sul palcoscenico. Brani come Forse le Lucciole si amano ancora, Sogno di estunno, Profumo di colla bianca, oltre a raccontare dei momenti di vita, parlano in maniera molto efficace anche attraverso la musica. E a noi ci ha fatto davvero piacere poter assaporare attraverso questa musica, il ricordo di un’epoca che ci ha lasciato un retaggio così importante.

Carlo Cammarella

Foto di Valentino Lulli

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