Jazz Agenda

Stefano Bollani e Chick Corea all’Auditorium

Quando si ascolta un concerto, o magari un disco, in cui l’unico strumento è il pianoforte, l’impressione è quella di avere davanti qualcosa di autosufficiente, che si completa da sé. Ma quando di pianoforti ce ne sono due, quando al posto di due mani ce ne sono quattro, ciò che da solo sembra completo diventa sublime, perfetto, un intreccio di colori che attraverso il suono raggiunge le parti più nascoste del nostro udito. Proprio come ieri sera alla Cavea dell’Auditorium, quando all’ora del tramonto, mentre il cielo della capitale cominciava a cambiare colore, sono saliti sul palcoscenicoStefano Bollani e Chick Corea. Due stili diversi, due modi quasi opposti di approcciarsi alla tastiera, Bollani davanti al suo strumento non sta mai fermo, salta sullo sgabello, si alza in piedi, batte il piede scandendo gli accenti ritmici, tutto quello che suona lo vive attraverso i movimenti del corpo. Corea, invece, è più posato, si muove meno, ma se lo si guarda attentamente si può notare che muove il labiale, come se stesse cantando all’unisono i suoni che produce accarezzando la tastiera. Che dobbiamo dire, allora? Forse che gli opposti si attraggono e che, quando sono così opposti, la raffinatezza del suono e gli intrecci armonici, anche se improvvisati in quell’istante preciso, sono davvero perfetti.

E, quindi, senza che uno se ne accorga, poco dopo che i due pianisti si sono seduti sullo sgabello, il concerto è già entrato nel vivo, Bollani e Corea dialogano a suon di note, a volte anche a gesti, come se fossero l’uno l’alter ego dell’altro, è difficile comprendere chi in quel momento stia suonando un assolo, chi l’accompagnamento o chi magari un walking bass, perché quella che ascoltiamo è una vera e propria pioggia di note che viene giù come grandine, che si scaglia dolcemente sull’udito di un pubblico ipnotizzato. E’ una musica che ti prende, che ti stuzzica, che ti stupisce. E, mentre sei totalmente preso, mentre sei ipnotizzato da un insieme di armonie che siannodano l’una all’altra come le spire di due serpenti, Bollani e Corea continuano a suonare, a perdere la cognizione del tempo, a non dare alcun punto di riferimento, come se giocassero a spiazzarti attraverso le costruzioni armoniche.

Il gioiello della serata, il brano che spicca su tutti, arriva poco prima della fine del primo set ed è un pezzo scritto da Chick Corea, ovviamente arrangiato per l’occasione, che si chiama “Spain”. Dura 20, 25, forse 30 minuti, difficile dirlo con precisione perché di certo, quando ascolti due musicisti suonare in questo modo, non ti viene voglia di guardare l’orologio. Il brano comincia con delle scale ascendenti che si alternano con scale discendenti, poi va in crescendo, in diminuendo, è un’improvvisazione pura che scaturisce dall’emozione del momento. A un certo punto sembra che dialoghino fra loro, cominciano un botta e risposta che parla attraverso il linguaggio della musica. E poi, dopo circa 10 minuti di preludio, approdano al tema della canzone. In questo modo si conclude il primo set, fra gli applausi di un pubblico che rimane a bocca aperta. 

Durante la seconda parte della serata cambiano registro, iniziano una musica più dissonante, forse meno orecchiabile e più elaborata, sempre con questi crescendo e diminuendo, che somigliano alla marea dell’oceano che a tratti sovrasta la spiaggia per poi portarsi via qualsiasi cosa. Ma c’è anche il tempo per i ritmi sudamericani, molto amati da Corea, per qualche standard come “There will never be another you” e c’è anche il tempo per un piccolo colpo di scena. A un certo punto Bollani si alza in piedi, si avvicina al microfono, si accende una sigaretta, comincia a cantare accompagnato dalle note del collega statunitense, poi si siede e fa un assolo vocale andando all’unisono con il pianoforte. E il concerto prosegue fino all’ultima sfumatura, c’è tempo per un bis, anche per un tris, il pubblico non li vuole proprio lasciare andare via e si avvicina alle ringhiere del piano superiore della Cavea per chiedere a suon di battiti di mano il ritorno dei due musicisti. Loro apprezzano, salgono sul palco nuovamente e concludono la serata con un altro standard: “Blue Monk”. Cosa possiamo dire di più? Quando due virtuosisti sanno suonare bene ed eccellono nel loro strumento è una cosa, quando al talento si uniscono anche una buona dose di divertimento e di ironia, la musica emoziona ancor più di quello che già potrebbe. Ed è quanto successo ieri sera all’Auditorium.

Carlo Cammarella

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