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Live Report: “The Jazz cries Jimi”: Hendrix riempie il teatro Lo Spazio

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Batteria sullo sfondo, chitarra a sinistra, contrabbasso a destra e Federica Zammarchi al centro. Le note sono molto lente, scandite sopra i piatti che tintinnano. E’ una batteria molto discreta quella che apre il concerto di domenica scorsa (4 dicembre 2011), il teatro Lo Spazio ospita la prima assoluta del progetto “The Jazz cries Jimi”. Si comincia con All along the watchover, Federica accenna un paio di strofe e prepara l’ingresso di Francesco Poeti, chitarrista in jeans e scarpe da ginnastica, in piedi davanti ad un a sedia. Esegue tutto il primo foglio di spartito, a volte leggendo a volte no, l’ha studiata bene la lezione. Applausi sul registro e Federica rientra in voce con un effetto di distorsione in cui note e parole creano una mescita rosso sanguigno, come i suoi capelli e il leggio del contrabbasso. Il secondo brano è già iniziato, suoni più elettrici per Foxy Lady, la voce un po’ si trascina, allunga il suono e la pronuncia di ogni parola e le distorsioni del suo Voiceline Touch, un processore che permette di sfruttare le armonizzazioni e le sovrapposizioni vocali, sono il trait d’union con il chitarrista, Francesco, che ci regala un assolo eseguito tutto per conto suo: fianco al pubblico, fronte alla parete del palco. Dalla sua camicia viola ci spostiamo agli spartiti blu di Federica, ma con molta calma, come la ballad Angel ci suggerisce. Il brano dura “giusto il tempo per salvarci”, a voler parafrasare un verso del testo, alcune note del contrabbasso sono così vicine all’archetto che fanno tremare l’aria dentro i calici di vino dei tavolini in prima fila.

Emanuele Smimmo, il batterista, ha cominciato piano piano a graffiare la membrana di un tamburo con le spazzole in metallo. C’è così tanta pace in questo momento che l’applauso se da un lato fa piacere dall’altro disturba perché richiama alla realtà. Federica spoglia l’asta del microfono e con un suono ora pulito conclude la ballata, riaccompagnando tutti ai propri posti. One, two, three, four…colpi di bacchette d’ordinanza, The wind cries Mary e in un duetto simpatico tra solista e chitarra elettrica le note che sentiamo sono le stesse, ma se da una parte sono tradotte in corde vibranti, dall’asta centrale invece arrivano con un “dum, dii, dip, dop, dìbedi duu”. Tra un gioco di suoni e di vuoti lasciati dalla chitarra il brano si chiude con gli applausi e il sorriso di Federica. Solista in ginocchio, è il momento di una Manic depression con chitarrista di quinta, il contrabbassista Jacopo Ferrazza è immobile, tutti gli occhi sono sullo show di Emanuele: piatti, tamburi, ancora piatti, tamburi, tamburi, poi un ritmo fisso, ripetuto. Parte il contrabbasso e il pubblico in sala gli suggerisce il tempo annuendo un “sì” dietro l’altro, che non è un tic e non è un ballo, ma il segno che tutti sono coinvolti e li stanno seguendo. Assolo di chitarra e graffi elettrici della solista che manipolando il Voicelive emette delle sequenze sonore miste a grida e versi che terminano con un sussurro ed un “thank you”.

Femminilità. Una donna con i capelli rossi che canta in inglese, avvicina e allontana il microfono senza alzare troppo la voce. La canzone è cominciata con tanta grazia, una strofa mormorata che finisce in acuto con contrabbasso e chitarra coinvolti in una scaramuccia a due. “Questo brano è molto poco conosciuto”, commenterà Federica alla fine di Drifting, e seguendo il testo della canzone ci lasciamo trasportare anche noi, per approdare all’ascolto di One rainy wish che accenna appena a voler sfilare sottovoce, quando invece è arrivato il momento di alzare i ton. Jacopo Ferrazza, in bianca camicia, ne suda altre sei nel pizzicare le corde dalla chiocciola del manico al ponticello di quel pancione di legno con due orecchie nere tatuate nel centro. Con Fire il palco lascia esplodere i tre strumenti e le corde vocali tutti insieme, poi uno ad uno lasciano un vuoto nell’amplificatore, la voce sparisce, la batteria percuote, poi sfiora e prima che la frenesia ricominci possiamo marcare le differenze tra i suoni che spinge la chitarra e quelli del contrabbasso.

L’ultimo brano non è presentato perché troppo famoso, ma ci ripensano, è Little wing, le labbra rosse mimano grandi e piccoli cerchi che il microfono ci restituisce come catene di vocali che coprono tutte e cinque le fasi che vanno dalla semibreve alla semicroma. La voce arriva lontano, torna con i piedi sul palco e trova la sicurezza del contrabbasso: dita velocissime finalizzano il senso di quell’abbraccio in movimento, sembrano due amici che borbottano e non discerni lo strumento. Gli applausi pagano il biglietto per il bis, “inatteso” dice Federica, ridono, risuonano e al pubblico va più che bene così. Vi descriviamo dei gesti per darvi l’idea della scena finale. Chitarrista: occhi chiusi, suona e annuisce “sì”. Al contrabbasso: Emanuele, occhi aperti e fa “no”. Il batterista è chino, ha troppe cose cui pensare. Federica è in ginocchio e soffia nel microfono, guizza in piedi e canta Foxy Lady.

Andrea Palumbo

foto di Valentino Lulli

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