Il rock “visto” dai suoni degli Hard Chords Trio
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Il progetto musicale degli Hard Chords Trio (composto da Lorenzo Ditta al piano, Paolo Grillo al contrabbasso e Davide Pentassuglia alla batteria), parte da un voluto “stravolgimento” di Message in a bottle dei Police, che darà il la alla serie di cover di alcuni dei brani dei più celebri gruppi rock (dai Led Zeppelin aiPearl Jam, passando per i Deep Purple, Rolling Stones, Police e Nirvana) raccolte nell’album Ram Colours. Paolo, Lorenzo, e Davide ci hanno raccontato la storia di questo progetto.
Per cominciare volete raccontarci come è nato il vostro progetto?
Lorenzo: “Si può dire che dalla prima volta in cui abbiamo suonato assieme sia nato “l’amore”. Spesso succede, suonando in un gruppo, di stancarsi presto perché non tutti hanno la stessa voglia di investire il proprio tempo e lavoro. Noi siamo partiti senza troppa o addirittura alcuna aspettativa, divertendoci a vedere quel che veniva fuori da questi esperimenti e senza pensare ad un ottenimento immediato. Dopo un anno di lavoro ci siamo accorti di avere un repertorio abbastanza cospicuo da poter testare dal vivo e la risposta del pubblico è stata un bel successo! Nell’estate del 2010 abbiamo partecipato al Mediterraneo Jazz Contest, arrivando secondi. Abbiamo subito investito il premio per la registrazione dell’albumRam Colours che è stato presentato ufficialmente questo marzo a Roma, presso il William’s Club. Al momento ci interessa maggiormente farci conoscere attraverso il passaparola e i live. L’album resta un importante “biglietto da visita” e un documento di un bel periodo della nostra vita come musicisti e non solo.”

Da cosa viene fuori la decisione, quasi radicale, del genere che avete reinterpretato?
Lorenzo: “Sicuramente di fondo c’è un gusto e una preferenza personali, anche nella scelta dei singoli brani o dei gruppi. In secondo luogo c’è un’intenzione, se così si può dire, provocatoria. Si è cercato di lavorare su brani il meno pianistici possibile, per quel che mi riguarda, mettendo in atto una sperimentazione talvolta forzata che non sempre è risultata facile o soddisfacente, ma che si è rivelata utilissima a sfidare le sonorità più tradizionali.”
Davide: “A qualcuno potrebbe sembrare inusuale come progetto jazz, ma a mio parere non dovrebbe essere definito così. Diciamo che ciò che facciamo ci risulta naturale e spontaneo, anche se c’è un pensiero dietro. Siamo cresciuti ascoltando diversi generi musicali, e tutti noi viviamo naturalmente immersi tra le sonorità più disparate, sia nella musica che ascoltiamo per scelta che per tutti i suoni che ci giungono volente o nolente all’orecchio: dalle colonne sonore dei film alla pubblicità, dalla radio ai suoni ed i rumori che ci circondano. Tutto ciò va già di per sé a influenzare inevitabilmente il modo di suonare. Del resto, essendo il jazz un genere ormai esplorato e consolidato dalle formazioni musicali più disparate, è giusto tentare di fare qualcosa seguendo unicamente i propri gusti, in cui è compresa ovviamente anche la grande tradizione, facendoli incontrare (e a volte scontrare) con quelli dei propri compagni. La particolarità di questo mix può dare la possibilità di fare qualcosa di diverso dal mainstream e di distinguersi. Inoltre i Jazzisti hanno da sempre attinto al materiale musicale che avevano a disposizione. Gli standard Jazz più conosciuti sono canzoni dei musical di Broadway o rielaborazioni di esse. Penso quindi che la cosa più naturale per chi suona Jazz nel 21° secolo è proprio attingere ed ispirarsi alle canzoni ed ai suoni del rock, del pop, dell’elettronica, oltre che al Jazz in senso stretto. In fondo se il jazz, inteso solo come New Orleans, Dixieland e Blues, non avesse subito una pesante influenza dalla musica classica, non avrebbe raggiunto l’evoluzione che conosciamo.”
Paolo: “È una scommessa quella di provare ad ottenere, con una formazione da trio jazz, sonorità che ricordano il rock e quindi suonare il piano come se fosse una chitarra distorta, o il contrabbasso come un basso elettrico. Ci piace inoltre “smontare” i classici del rock e “ricostruirli” a modo nostro. A volte arrivando ad ammorbidire le sonorità, come per Smells like teen spirit, che suonata in 6/8 ha una resa più “eterea” dell’originale. Altre volte, invece, proviamo ad “incattivire” i brani. È stato in ogni caso molto naturale e divertente. D’altra parte va detto che questa scelta è dettata anche dal tentativo di rivolgerci ad un pubblico appartenente non solo all’ambiente jazzistico. L’obbiettivo è di avvicinare più persone (in particolare i più giovani) al genere. Grossomodo riusciamo ad arrivare a gente dai vari gusti musicali. È ovvio che l’apprezzamento da parte di grandi jazzisti (come ci è successo) fa piacere, ma siamo orgogliosi di avere un grosso seguito formato anche da non addetti ai lavori!”
Questa scelta così risoluta, non preclude però all’improvvisazione.
Lorenzo: “Tutt’altro! Spesso, nei nostri brani, è molto netta la dicotomia tra parti “fisse”, prese dalla canzone stessa o composte da noi, e parti totalmente improvvisate. Di solito è Paolo ad arrivare in sala con delle partiture e un’idea sulla ricomposizione del tema principale, ma l’improvvisazione ha un ruolo fondamentale nella nostra musica.”
Mentre per quanto riguarda i brani originali?
Lorenzo: “Si può dire sia la stessa cosa. Io parto da un’idea che mi piace, “mi suona bene”, e ci costruisco intorno lasciandomi guidare dalle sensazioni. Anche in questo caso, il ruolo dell’improvvisazione è importantissimo. Il primo che ho scritto (Douze, che chiude l’album) è nato in treno, di ritorno da un viaggio a Parigi.”
Per i vostri progetti futuri pensate di proseguire nella medesima direzione?
Davide: “In questa fase credo proprio di si, anche se avvertiamo la necessità di integrare nel repertorio sempre più brani nostri. Per quel che riguarda il “sound”, considerando che la batteria influenza molto il “colore” di un trio, potendo facilmente passare da sonorità morbide a durissime, l’idea per il futuro è quella di introdurre anche un “trattamento” sul suono del piano e del contrabbasso, magari inserendo un po’ di elettronica ed alcuni effetti.”
Se, nonostante tutto, proprio non riuscite ad immaginare come potrebbe risultare una Kashmir o una Enter Sandman, qui di seguito le date dei prossimi concerti (per innamorarvi come è successo a noi!):
15 aprile Caffè Letterario;
5 maggio 28divino;
6 maggio La Riunione di Condominio.
Serena Marincolo