Jazz Agenda

A New Thing live al 28divino

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E’ sempre interessante scoprire l’incrocio casuale – o non casuale – di percorsi diversi che un bel giorno decidono di mettersi in gioco e di fondere la propria con l’altrui esperienza, in ogni campo, in quello musicale soprattutto. L’unica forma che permette la completa espressione di tutto questo è naturalmente il jazz, e non ci stancheremo mai di ripeterlo.

Ieri sera al 28divino di via Mirandola questo New Thing Quartet, formato da Michele Villari, Raffaele Ferrari, Andrea Maria Bonioli e Guerino Rondolone, ha provato proprio qualcosa del genere. La dicitura ‘New Thing” – letteralmente ‘la cosa nuova’, venne usata per descrivere il lavoro di alcuni avanguardisti del jazz, particolarmente Ornette Coleman e Cecil Taylor, nel momento in cui questi inventavano il cosiddetto free jazz, ovvero abbandonavano le costrizioni della struttura armonica, della struttura ritmica e della tonalità per avventurarsi in strade sconosciute.

Villari, Ferrari, Rondolone e Bonioli sono tutti leader di altri progetti, vengono da scuole diverse, da ritmi, generi, sonorità diverse, e sono tutti compositori. Come ci ha raccontato Villari, altosassofonista e clarinettista del gruppo, ognuno di loro scrive e arrangia, porta in sala il proprio materiale ad uno stadio di lavorazione piuttosto avanzato e poi insieme agli altri ne costruisce lo scheletro che poi verrà arricchito live dai soli dei singoli musicisti. Perché in effetti questi ragazzi sono molto ben costruiti tecnicamente, e il loro lavoro non è né banale né semplice: le composizioni del batterista Bonioli, ad esempio.

Bonioli, tanto per capirci, è uno che ha suonato in mezzo mondo con un certo Morricone Ennio, oppure con Roger Waters, o anche più semplicemente (?) con l’Orchestra Jazz di Santa Cecilia. Ecco, Bonioli scrive dei brani dai titoli insoliti, tipo Ipod, con una bella apertura con pedalone alla ‘Caravan'; oppure ‘Facebook’, dal sapore funk, o ‘Low Cost’, una bella ballad all’italiana, quasi una colonna sonora alla maniera di quel vecchio film di Avati, ‘Jazz Band’, ve lo ricordate?

In ‘Low Cost’ c’è il clarino che Michele Villari muove in modo strano, circolare, come se mescolasse l’aria davanti a sè, come se volesse sporcarne un po’ il suono. Michele è un virtuoso del clarino, ma anche del sax, si capisce dopo tre o quattro note. E’ in grado di suonare senza vibrato, con il sax alto, ed è in grado di tenere una nota per tre quarti d’ora. Non si capisce dove prenda il fiato. Anche Michele scrive, che ne so, brani tipo ‘Fahrenheit 451′, che lui dice essere un omaggio a Truffaut. Truffaut aveva fatto il film traendolo dal famosissimo romanzo di Ray Bradbury. (451 gradi Fahrenheit è la temperatura con la quale la carta prende fuoco in modo spontaneo, e quel libro – e quel film – raccontano di una società fantascientifica in cui i libri sono illegali, e vengono bruciati. Che strano, vero?)

E’ un bel tema, quello di Fahrenheit 451, intendo il brano musicale: una cadenza di terzine discendenti che si incastrano nei quattro quarti in modo da spostarsi ogni volta – è una figura conosciuta proprio come il tre nel quattro – che Villari suona in unisono con il pianista Ferrari, altro magistrale tecnico del proprio strumento.

Raffaele Ferrari è uno di quelli che sembra starsene in fondo, col capo chino sul pianoforte, concentrato, salvo poi esplodere in degli assolo che ti spettinano. Ha scritto questo brano chiamato ‘Le vacanze di Bach’ che ci vuole un orologio digitale in testa, per suonarlo. Cinque quarti, poi 7, poi 14, poi boh, poi torna in quattro, dio solo sa come si ritrovano. E in tutto questo, lui, durante il solo, ci mette pure un bel po’ di citazioni del noto giovanni Sebastiano. (Se è per questo qui Villari ha messo pure ‘My favourite things’).  Anzi, a proposito di citazioni, Ferrari ha scritto un bellissimo arrangiamento di ‘Night in Tunisia’ nella quale Villari, durante il solo, è riuscito a citare non si sa come una sezioncina del tradizionale ‘Saint Thomas’.

Tutto questo viene sottolineato dalla potenza del contrabbasso di Rondolone, un sound solido, sobrio e distaccato, una certezza granitica sulla quale puoi appoggiarti per spiccare dei gran voli, anche nel free jazz. Insomma, musica per palati fini, cosa alla quale Marc del 28divino ci sta incominciando ad abituare, e ai New Thing non possiamo che augurare un radioso futuro nel segno delle cose nuove.

Adelchi Battista

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Ornette Coleman… una bella versione di Lonely Woman

Un malinconico venerdì di fine settembre in cui… forse la maggior parte di voi avrà finito di lavorare, mai io me ne sto seduto davanti alla scrivania, mettendo su gli ultimi pezzi di giornata.  E visto che la noia mi assale e che non ho più voglia di fare niente, se non di ascoltare un po’ di musica, vi lascio al vostro bel week end con un pezzo dal sapore un po’ nostalgico. Lonely Woman di Ornette Coleman… Buon ascolto a tutti…. E me ne torno tristemente a lavorare…

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Scelti per voi: John Zorn e i Naked City

Poco conosciuto forse anche negli States, John Zorn dalla fine degli anni settanta è tuttavia uno dei più apprezzati musicisti di quel Villaggio Globale post moderno, ove i confini tra un genere espressivo e l’altro sono incerti e l’eclettismo rappresenta per l’Artista una imprescindibile risorsa. In questa reinterpretazione di “Lonely Woman” risalente al 1989, è evidente l’omaggio a Ornette Coleman, l’autore del suddetto memorabile pezzo. John Zorn con il suono tagliente del suo sax ne coglie appieno la liricità, aggiungendo di suo il progetto delirante dei Naked City, gruppo che egli fonda e con il quale raggiunge la definitiva affermazione sulla scena musicale newyorkese. Progetto a tutto tondo che in questo caso esaspera le sonorità – un flusso di suoni distorti simile a un Urlo – per poi risolversi nella citazione un po’ ironica di un’altra composizione di Coleman, “Dancing in your head”.

Claudio Censi

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