Siamo giunti al 2 agosto, pochi giorni dopo la fine del grande esodo estivo, e Roma, città di caos, di traffico e di grandi viavai, è sempre più sgombera, sempre più calda, sempre più irriconoscibile. Soltanto pochi temerari sono rimasti a lavorare, a soffrire sotto il caldo giornaliero e a sognare di uscire dalla routine, ma per quei fortunati che sabato scorso (31 luglio) si sono recati a Villa Celimontana è stata sicuramente una serata indimenticabile, una di quelle che sogni di vedere da una vita e che non ti vuoi assolutamente perdere. Sul palco di una delle manifestazioni del jazz più attese dell’anno, è salita una persona che la musica l’ha percorsa in tutta una vita, un musicista che negli anni 50 ha cominciato a studiare la chitarra e che, partendo dalla bossa nova, ha sfiorato altri mille linguaggi fondendoli con quello della sua terra, il Brasile, un paese che di musica ne ha prodotta davvero tanta. E questo artista, poliedrico e virtuoso, è Antonio Pecci Filho, meglio conosciuto come Toquinho, da quel nomignolo che la madre gli ha attribuito quando era bambino.
Ve lo ricordate tutti vero? Toquinho, quel mago della chitarra, quel cantante raffinato che ha collaborato con il poeta Vinicius de Moraes, che ha cantato con Ornella Vanoni, che ha scritto canzoni indimenticabili, che ha girato l’Italia in diverse tournè, che adora il nostro paese forse perché è così simile al suo, forse perché è così diverso. Insomma, qui parliamo di uno dei mostri sacri della musica, di un’artista che in Italia c’è stato per molto tempo, lasciando un segno indelebile e scaldando i cuori di tutti quelli che lo hanno seguito; parliamo di uno che la chitarra l’ha studiata, l’ha assorbita e la reinventata con uno stile che esula da ogni classificazione di genere. E accanto a lui, special guest della serata, c’era anche una sua vecchia compagna di viaggi, una componente della sua band storica, Badi Assad, senza dubbio una delle cantanti brasiliane più interessanti in circolazione.
Ma torniamo a noi, cominciamo col dire che a partire dalle 20 e 30 non c’era più un biglietto, all’interno della villa i posti a sedere erano tutti esauriti e la gente scalpitava per trovarsi uno piccolo spazio davanti al palcoscenico. E quando Toquinho è salito sul palco, tutto è cambiato, quella musica è riuscita a creare una struttura armonica capace di trasportarci in un’atmosfera sublime, irreale, magica, che ti fa perdere la cognizione del tempo e che ti fa vivere scenari paralleli e surreali. Si comincia con un po’ di bossa nova, qualcosa di classico per rompere il ghiaccio, magari per riscaldare il pubblico, poi Toquinho si stacca dal gruppo, suona quella chitarra come soltanto lui sa fare e, fra un pezzo e un altro, dialoga con il pubblico in modo confidenziale, come se conoscesse uno per uno tutti i presenti. Certo, come dicevamo prima, la base su cui lavora Toquinho, il suo punto di partenza, è sicuramente la bossa nova, ma durante il concerto di momenti interessanti ce ne sono stati davvero tanti, come se l’intera esibizione fosse divisa in varie sezioni che vengono tenute in piedi da un unico filo conduttore.
E, oltre ad essere un musicista senza limiti, Toquinho è anche un abile comunicatore, ti spiega tutto quello che suona, ti trasporta nel suo territorio più congeniale raccontandoti tutto ciò che si nasconde dietro le melodie. E quando meno te lo aspetti ti sorprende con ritmi incalzanti che approdano in universi inesplorati, sono mondi paralleli che prendono l’ispirazione da una tradizione quasi ancestrale, che Toquinho definisce in due parole “Afro Samba”. E quando senti queste parole, quando ascolti un ritmo sudamericano così incalzante, qualcosa che attinge da mondi lontani e che si è trasformato nel tempo, allora capisci che stai ascoltando una musica irripetibile, una melodia che proviene da un incrocio di mondi che inspiegabilmente suonano. E , mentre rimani affascinato da tutto quello che la musica può comunicare, il concerto prosegue con una rapidità disarmante. Arriva anche il momento di Badi Assad e la musica acquista tutto un altro sapore. Cantante, chitarrista, percussionista unica possiede una voce capace di eguagliare la potenza di un’intera orchestra, qualcosa di simile ad un aereo che si schianta dolcemente sui timpani degli ascoltatori. Per un momento la vediamo cantare da sola, accompagnata dalla sua unica chitarra, poi comincia con quella tecnica che l’ha resa tanto famosa, utilizza il corpo, la voce come se fossero una percussione, come se lei, in prima persona, fosse uno strumento musicale che respira.
Ma il momento più toccante del concerto, quello che ti fa venire veramente la pelle d’oca, arriva quando Toquinho canta e suona quelle magiche melodie che sono nate dalle collaborazioni con artisti italiani; parliamo di quei brani che legano la nostra tradizione a quella del Brasile, musiche che vanno al di là dei confini e che rimbalzano dalla costa dell’oceano Atlantico per giungere a quella del mar Mediterraneo. E’ impossibile dimenticare “O que serà”, la canzone suonata con Fiorella Mannoia, oppure “La voglia, la pazzia, l’incoscienza, l’allegria”, il frutto di un’importantissima collaborazione con Ornella Vanoni. E questi sono brani rimasti nel cuore degli italiani, qualcosa che ci fa veramente sentire vicini ad un artista, un musicista, capace di superare le frontiere. E alla fine del concerto Toquinho concede tre bis, come se non volesse andarsene dal palcoscenico, come se ci fosse un feeling fra lui ed un pubblico che non lo vuole allontanare. E che dire di più? Ascoltando questa musica, vedendo un artista di questo calibro su un palcoscenico così importante come il Villa Celimontana, abbiamo capito di aver assistito ad un concerto irripetibile. E forse le parole non sono sufficienti per spiegare le emozioni o per raccontare quello che veramente è stato il concerto di uno degli artisti più interessanti del mondo.
Carlo Cammarella