Paolo Palopoli, Road to Swingin’ Hop: ‘Un connubio tra lo swing e l'energia del Lindy Hop’
- Pubblicato in Pagina Interviste
Road to Swingin’ Hop è il nono disco del chitarrista Paolo Palopoli pubblicato recentemente dall’etichetta Emme Record Label. Un lavoro che nasce dall’esigenza di coniugare lo swing e il Lindy Hop e che racconta il felice connubio tra il mondo dello swing e l’energia del Lindy Hop, ballo nato negli anni 30 in America. Un viaggio dunque che parte dal jazz europeo di Django Reinhardt che attraversa la tradizione balcanica, fino ad arrivare alle sonorità più moderne dell’elettroswing, passando per momenti più intimisti e sonorità jazz waltz e new musette francesi. Ne parliamo a tu per tu con Paolo Palopoli.
Ciao Paolo e bentrovato su Jazz Agenda, parliamo subito del concerto dove presenterai il tuo nuovo disco Road to Swingin’ Hop. Ci vuoi descrivere brevemente come si svilupperà la serata?
La presentazione ufficiale sarà il 27 Giugno presso la Fondazione Eduardo De Filippo, a Palazzo Scarpetta a Napoli, residenza storica del commediografo Eduardo Scarpetta e di un giovanissimo Eduardo De Filippo. In questo luogo magico, si terrà un live showcase alla presenza di giornalisti di settore, e pubblico appassionato. L’evento è aperto a tutti e si terra dalle 17 in poi. Suoneranno con me alcuni dei protagonisti del disco. Alessandra Vitagliano e Federica Cardone alle voci, Massimo Mercogliano al contrabasso e Domenico Benvenuto alla batteria. Il tutto alla presenza di pubblico e giornalisti di settore.
A seguire terrò un live al Jazz Club Bourbon Street con il PAD trio, altra mia formazione dove suoneremo brani miei, ma anche di dischi precedenti. Inoltre in occasione della festa della musica il 21 Giugno, in anteprime e in formazione ridotta, suonerò al Blue Turtle, sempre di Napoli, il repertorio del disco.
Il disco rappresenta alla perfezione una sintesi dei tuoi percorsi musicali e probabilmente anche dei tuoi gusti. Ti andrebbe di parlarne brevemente ai nostro lettori?
Dico spesso che la musica è bella perché è varia!!! Non mi piace incasellare troppo nei generi o nelle categorie. In questo disco ci sono alcune tre le mie prime passioni che sono stati i dischi di Django, il Gypsy Jazz, ma anche il primo Pat Metheny, con le sonorità ECM. Poi ci sono le contaminazioni, che io adoro e tanta melodia. Oltre a questo c’è una passione recente che è lo swing, suonato, cantato, e persino ballato. Ho dedicato un brano al Lindy Hop che è il ballo dei anni 20/30 del secolo scorso, prima di me non lo aveva fatto nessuno in Italia e forse nemmeno in altre parti del mondo, da quello che so. Nel mio fraseggio si sente la mia passione per il Be Bop e l’hard bop, però mi piace anche il linguaggio più moderno, che probabilmente sarà oggetto di future registrazioni, con attenzione sempre alla musicalità.
Potremmo riassumere questo disco come un viaggio che parte dal jazz europeo di Django Reinhardt, il pioniere del jazz manouche, che attraversa la tradizione balcanica?
I miei dischi sono spesso un viaggio, questo non è da meno. Non a caso quasi tutta la musica è stata scritta principalmente dopo un viaggio a Parigi, la settimana prima del Lock Down. Lì acquistai anche una chitarra Manouche, che è proprio la chitarra suonata da Django, in uno degli atelier più famosi all’ombra della tour Eiffel, chitarra che ho poi utilizzato nel disco. Ho portato con me da quel viaggio tutta l’energia dei paesaggi, dei piccoli caffè in centro, dei quartieri più caratteristici e li ho messi in note. Poi c’è un altro viaggio ed è quello a Palermo dove sono stato docente di chitarra jazz al Conservatorio ed ho approfittato di questa opportunità per girare molto la Sicilia in genere e Palermo in particolare, li è nata l’idea di scrivere Balerm in 7, un brano con sonorità più contaminate come lo è la TRINACRIA!!! Balarm è il nome con cui veniva chiamata Palermo in passato. Nel brano c’è l’autorevole partecipazione di Giovanni Matalliano al clarinetto, musicista, scrittore, artista palermitano. Del Jazz europee ho scelto di mescolare il violino, suonato magistralmente da Mauro Carpi, altro Siciliano doc, con il suono funambolico della fisarmonica di Leonardo Ciraci, musicista pugliese che vanta collaborazioni con nomi come Roberto Gatto. Pugliese anche il giovanissimo talento del clarinetto Enrico Enrriquez. C’è anche un brano con sonorità più latin, dove il tema è suonato insieme alla tromba di Ciro Riccardi. Insomma tante collaborazioni per questo viaggio sonoro.
Sei giunto al tuo nono disco. Raccontaci adesso il percorso musicale che ha portato alla nascita di questo nuovo progetto.
Il disco, come dicevo, nasce dopo un viaggio a Parigi e racconta del connubio tra il mondo dello swing e l’energia del Lindy Hop, ballo nato negli anni 30 in America, in un viaggio musicale che parte dal jazz europeo di Django Reinhardt, il pioniere del jazz manouche, che attraversa la tradizione balcanica, fino ad arrivare alle sonorità più moderne dell’elettroswing, passando per momenti più intimisti e sonorità jazz waltz e new musette francesi. Ho scritto quasi tutto durante il lock down, ma poi essendo coinvolti musicisti di varie parti d’Italia, aiutato da Carlo Contocalakis, che ha curato gli arrangiamento con me, lo abbiamo realizzato un poco alla volta. Il prodotto finale è di 12 tracce, di cui 10 composte da me e 4 cantate.
Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?
Un poco tutti e tre: una fotografia sicuramente di un momento ben preciso. La gestazione dell’album è stata lunga e questo mi ha portato addirittura a disconoscere degli arrangiamenti dopo mesi, o al contrario di stupirmi piacevolmente nel riascoltarne altri. Ho fermato un momento ben preciso in cui volevo parlare di quello che stavo vivendo.
È anche un punto di arrivo, erano anni che volevo cimentarmi nella scrittura di testi per un mio disco, e spero di rifarlo, ed erano anni che volevo registrare quasi interamente con la chitarra manouche. Tuttavia la bellezza del jazz è proprio quella di poter suonare lo stesso repertorio ogni sera e non essere mai uguale alla sera prima, oggi i brani stanno prendendo altre sonorità, quindi sono un punto di partenza per esplorare altre sonorità.
Come vedete il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?
Le idee sono tante. Ho spesso registrato dischi dove c’erano molti musicisti, non sono un chitarrista autoreferenziale che deve emergere a tutti i costi. Ci tengo a scrivere musica che possa essere fruibile ad un pubblico non solo di esperti ascoltatori, mi piace comporre e arrangiare per più strumenti, tuttavia negli ultimi anni ho suonato spesso in trio con contrabasso e batteria. Abbiamo girato l’Italia oltre che per concerti, anche per dei concorsi; l’ultimo di questi mi ha fruttato la cattedra di Chitarra Jazz al Conservatorio di Lecce. Nel suonare tanti repertori differenti ci siamo sempre detti che sarebbe stato bello riarrangiare e registrare qualcosa di questi repertori e forse ora i tempi sono maturi per fare un disco in trio, magari con un ospite un fiato. Vedremo.
Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: oltre a questa data di presentazione vuoi lasciarci qualche altra coordinata?
Oltre l’anteprima del 21 Giugno al Blue Turtle di Napoli, piccolo jazz club, aperto da poco, ma già con una bella programmazione e un atmosfera molto internazionale. Il 12 Luglio all’ interno del Museo Pietrarsa e il 14 Luglio al Safarà di Benevento. A seguire ci sono una serie di live in arrivo estivi, in varie regione d’Italia e ci prepariamo per l’estero in autunno.
Sicuramente da segnalarvi il nostro concerto in quintetto il 18 Agosto all’interno del bellissimo cartellone di Fara Music Festival, sempre attenti alle produzioni jazz più interessanti, con nomi del calibro di Enrico Pieranunzi, Danilo Rea e tanti altri.