JAZZ AGENDA

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Mario Donatone racconta il disco “Blues is my bad Medicine”: un’indagine sulle origini del blues

Pubblicato dall’etichetta Groove Master Edition, Blues is My Bad Medicine è l’ultimo disco di Mario Donatone. Un viaggio verso le origini del blues e verso un mondo sconosciuto che ha lasciato un retaggio importante nella musica moderna. In parallelo a questo lavoro, realizzato con la partecipazione di Gio’ Bosco, è uscito anche il libro Blues Che Viaggiano in Prima classe - la lunga strada della musica del diavolo dalle paludi del Delta al mondo del rock'n'roll. Un progetto quest’ultimo che rappresenta un’indagine verso una musica mitica partendo dallo studio del suo linguaggio e analizzando quei legami invisibili con il rock, il jazz e tutte le altre espressioni più attuali. Ne abbiamo parlato con Mario Donatone

Mario, per cominciare l’intervista ci vuoi raccontare la storia di questo progetto. Come è nata l’idea di dar vita a questo nuovo lavoro intitolato Blues is My Bad Medicine?

Sentivo da anni l’esigenza di approfondire come interprete musicale il mondo affascinante del blues delle origini. La libertà e l’intensità che emanavano i primi artisti che hanno inciso questa musica, (da Blind Lemon Jefferson a Lonnie Johnson e tanti altri) ha sempre esercitato un forte ascendente su di me. Inoltre ritengo che sia importante fare i conti con l’approccio estremamente autentico ed emotivo del blues di quell’epoca, che ha ancora molto da insegnarci. Si tratta di una filosofia sonora cruda e apparentemente semplice in grado di esprimere una creatività a briglie sciolte che nel blues più elettrico e moderno non è più così spiccata, perché subentrano degli schemi che anticipano i codici comunicativi della musica di massa. Il rock, da cui molti della mia generazione provengono, ha soprattutto questo retroterra alle sue spalle.

Parliamo adesso del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

E’ un disco totalmente acustico. Gli unici strumenti sono il mio pianoforte, la mia voce, e quella di Giò Bosco su quattro brani, (due duetti e due assoli). Ho voluto, dopo quarant’anni di percorso musicale, esprimere un mio punto di vista artistico esaltando le possibilità di stile e di atmosfera che è in grado di materializzare uno strumento come il pianoforte, che nonostante sia meno considerato rispetto ad esempio alla chitarra, (in questo genere musicale), ha in realtà una capacità unica di rappresentare l’aspetto più percussivo e “africano” del blues.

Allo stesso tempo ha la capacità di essere un sostegno e un elemento dialogante estremamente stimolante e complementare rispetto alla voce, facendone risaltare in un modo unico le sue sfumature. Il pianoforte attraversa in modo importante e insostituibile la lunga storia della musica afroamericana, dal ragtime, al gospel, al boogie-woogie, ed io ho cercato di far rivivere questi aspetti mettendoli al servizio della poetica dei singoli brani.

Come cantante ho cercato di esprimere con la massima naturalezza e autenticità possibile il cuore di questi brani, dando la mia lettura di quello che è l’immediatezza e allo stesso tempo la sofisticazione dell’atto del cantare il blues. Il disco è stato registrato all’Arcipelago Studios dall’ottimo Stefano Isola, e una cosa che mi preme sottolineare è che ogni brano è stato videato in tempo reale, alimentando un’idea di espressione musicale nuda e cruda. I video saranno presto messi su Youtube.

Vuoi aggiungere qualcosa sulla scelta del repertorio?

Non sono tutti dei blues, vi sono brani più gospel come “ Nobody’s fault but mine”, o più modali come “I’m so glad”. Vi sono blues-rag come “Cocaine blues”, o ballate come “Tomorrow night”. C’è anche un mio brano originale che esprime la filosofia che è alla base di questo disco, e che si chiama “Blues is my bad medicine”.Una particolare luce sul blues femminile viene data dalla partecipazione di Giò Bosco, che rivisita con passione e naturalezza brani di Bessie Smith, Clara Smith e Sister Rosetta Tharpe. Inoltre io mi sono tolto il vecchio sfizio generazionale di suonare il mitico Honky Tonky Train Blues.

Tutti questi brani hanno avuto delle importanti versioni nel mondo del rock e del soul degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, e l’idea era quella di mettere in luce lo stretto legame tra questi due mondi, e questo è anche il tema principale del mio saggio storico-letterario “Blues che viaggiano in prima classe”, la mia prima opera come scrittore e didatta concepita insieme a questo disco e collegata ad esso.

Cosa possiamo trovare invece all’interno delle pagine del libro e soprattutto come hai affrontato il percorso didattico?

Si tratta di un’ipotesi di metodo per uno studio di alta formazione sul blues. L’escamotage di analizzare il percorso storico e stilistico di 15 brani nati nell’epoca del blues prebellico, (gli stessi che ho inciso nel disco), mi ha permesso di attraversare gli aspetti più importanti di questo fenomeno estremamente vario e complesso. Si parla di eventi storici fondamentali come il Folk Revival, L’Harlem Reinassance, il festival di Woodstock, la psichedelia, ma anche degli stili e delle individualità più importanti di un secolo di musica, indagando il loro linguaggio attraverso le varie versioni storiche di questi brani, e cercando di cogliere continuità e discontinuità di un’evoluzione artistica multiforme ed epocale.

In base a quale criterio hai scelto i brani che lo compongono?

Volevo offrire una panoramica il più possibile completa e problematica di quel mondo. Il blues delle origini non contemplava solo una serie di personaggi solitari e sradicati che suonavano agli angoli delle strade o nei raduni campagnoli, ma era caratterizzato da tendenze, stili, scuole ed esperienze artistiche importanti ed innovative che diedero idee e linfa vitale a tutta la musica neroamericana fino a confluire nel grande fenomeno musicale ma anche sociale e di costume del rock. La radice dei suoni di oggi è tutta lì, e ci sono molti studiosi che lo hanno messo in risalto., ma nessuno che ha affrontato questo tema in un modo organico. Non voglio dire che io ci sia riuscito, ma ho provato a lanciare il classico sasso.

Chiudiamo anche con una proiezione verso il futuro: ci sarà modo di vedere una presentazione live di questo progetto?

Diverse. A Brescia allo Strampalato l’1° aprile, al C.M. di Varasso (Varese) con l’organizzazione del Jazz Club di Varese il 2 aprile, e il 3 aprile a Milano, dove nel pomeriggio terrò una masterclass alla School of blues e la sera suonerò allo Spirit de Milan. Inoltre il 9 aprile sarò al centro Baraonda a Nettuno, e il 12 maggio farò uno spettacolo al Teatro Golden di Roma, e mentre scrivo si stanno aggiungendo altre opportunità live che potrete apprendere seguendomi sui social.

 

 

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Gegè Telesforo “Groove Master Ensemble” alla Casa del Jazz

Venerdì 22 luglio, Casa del Jazz Festival (per leggere il programma completo clicca qui) presentaGegè Telesforo alla guida di una superband,“Groove Master Ensemble” composta chiaramente da Gegè Telesforo alla voce, Dario Deidda al basso, Amedeo Ariano alla batteria, Max Ionata al sax tenore, Alfonso Deidda al pianoforte, sax soprano, flauto e voce, Fabio Zeppetella alla chitarra eLeonardo Corradi all’organo. Telesforo si fa apprezzare un pezzo dopo l’altro per l’originalità delle composizioni che spazia ritmicamente dallo swing al be-bop, dal latin-jazz al groove, con un suono inconfondibile creato dall’impasto della voce e i sassofoni. Gli arrangiamenti, scarni ma efficaci, mettono ancor più in rilievo i momenti solistici proposti da uno dei migliori organici in circolazione. Cantante, polistrumentista, producer, ma anche giornalista, conduttore radiotelevisivo, entertainer, Gegè Telesforo, rappresenta una figura professionale eclettica dai mille contorni e dalle altrettante sfumature. Tra le sue molteplici attività c’è la Musica, suo principale obiettivo. La sua personalità nasce, artisticamente parlando, con Renzo Arbore, suo concittadino e mentore, che ha scoperto le sue notevoli e caldissime doti vocali, nonché la competenza in ambito musicale, la simpatia e la bravura, anche di fronte alle telecamere. Grazie a svariate trasmissioni televisive nelle vesti di ‘complice’ e co-autore e conduttore, tra cui le principali ‘Quelli della Notte’, favoloso programma ‘notturno’ dell’85 con milioni di ascolti e le successive ‘D.O.C.’ e ‘International D.O.C. Club’, Gegè riesce ad affermarsi presso il grande pubblico, dimostrando una notevole padronanza in ambito musicale. Appassionato di Jazz, Funk e Soul, Telesforo ha saputo, nel corso degli anni, individuare un proprio progetto di ricerca, che ha nello ‘scat’, ovvero I’improvvisazione con la voce, il nodo centrale .

 

Casa del Jazz: viale di Porta Ardeatina, 55

Info: 06/704731

http://www.casajazz.it

ingresso:15 euro

GEGE’ TELESFORO

“GROOVE MASTER ENSEMBLE”

Gegè Telesforo voce

Dario Deidda basso

Amedeo Ariano  batteria

Max Ionata sax tenore

Alfonso Deidda pianoforte, sax soprano, flauto e voce

Fabio Zeppetella – chitarra

Leonardo Corradi – organo

Ingresso euro 15

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