Jazz Agenda

Live Report: The same korean girl – Youn Sun Nah al Roma Jazz Festival

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Youn Sun Nah sale sul palco del Teatro Studio all’Auditorium evidentemente emozionata, dopo un omaggio a Morricone da parte del chitarrista che l’accompagna, Ulf Wakenius (già chitarrista di Oscar Peterson. Capace di riprodurre linee di basso e percussioni e di ottenere grandi effetti dal suo strumento senza l’ausilio dei pedali). In un italiano zoppicante (ma sorprendente) ci spiega che è la prima volta che si esibisce in Italia, e a Roma poi! Insomma, una ragazza dalla voce sottile e i modi gentili che alla fine di ogni brano ringrazia sempre per ogni applauso ricevuto e per la nostra presenza. Ride spesso, e questo la rende ancora più simile ad una bambina un po’ impacciata. Eppure la carica del suo fascino aleggia nell’aria ancor prima che cominci a cantare. Nessuno tra il pubblico si aspetterebbe di assistere ad una metamorfosi tale. Wakenius intona i primi accordi dell’inconfondibile Message in a Bottle, e la timida ragazza coreana in casacca blu davanti a noi si trasforma in una donna ammaliante dalla voce possente. Il duo, atipico già dalla presentazione (una coreana che canta in francese ed un chitarrista norvegese), dimostra di avere un tipo di affiatamento che sposa il gioco, l’intesa immediata e quel tipo di complicità da coppia di lunga data. Youn Sun Nah plasma la sua voce sul suono della chitarra, completandola.

I suoi vocalizzi non sono per nulla scontati o ridondanti. Accompagnandosi con gesti delle mani sembra suonarsi come un theremin; sembra disegnare la musica nel vuoto o scuotersi come una percussione. Gli omaggi sono tanti: da Nat King Cole, Egberto Gismonti, Randy Newman, a Tom Waits, Leo Ferré, Carla Bley, Sergio Mendes e addirittura una piccola perla come Enter Sandman dei Metallica. Inoltre, il legame con le sue radici viene enfatizzato nel riarrangiamento di Gwangondo Arirang, brano del folklore coreano. L’annuncio poi di un pezzo tutto italiano: Estate di Bruno Martino. Youn Sun Nah ritorna impacciata nel presentarla, sperando ci piaccia. La risposta non tarda ad arrivarle, assieme al lungo scroscio di applausi, fischi e “brava”. Lei si commuove intimidita. Fa tenerezza vederla con le mani alla bocca, stupita del successo riscosso. C’è spazio anche per lo standard My favourite things in cui è lei stessa a suonare una kalimba, antico strumento africano a percussione. Che non è certo l’unico strumento singolare utilizzato durante la serata! In Moondog spunta un kazoo, ed in Same Girl un carillon; mentre Ulf Wakenius utilizza la sua bottiglia d’acqua per suonare la chitarra. Il pubblico è entusiasta al punto di non volerla lasciar andare. Il bis è doppio ed il tempo che passa alla fine degli applausi finali è lungo!

Serena Marincolo

Foto di Valentino Lulli

 

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Live Report: Satoko Fujii al Bologna in Jazz 2011

12 novembre 2011. Via Cartoleria, Bologna. Nell’ambito della rassegna Bologna in Jazz il Take Fiveospita due set della pianista giapponese Satoko Fujii. Esile e minuta, la Fujii è invece una delle voci più energiche del panorama jazz contemporaneo. Ha un sorriso rassicurante che quasi scompare nella nuvola corvina della sua chioma. È accogliente, ascolta e racconta il suo modo di intendere e fare jazz. Sempre che di jazz si tratti. «To jazz, or not to jazz, there is no question!», avrebbe appuntato Armstrong. Jazz o not-jazz, definizioni a parte, il pensiero musicale della Fujii si riconosce subito, originale e catalizzante. Ti piomba addosso, come un magma incandescente, e ti travolge. Il suo solo non avverte imbarazzi e non soffre la mancanza di nient’altro. Un timbro fortemente caratterizzato, limpido e rovente. La Fujii è a suo agio nella penombra del locale, strappa la tastiera a morsi famelici e si rintana, appagata, nel buio del silenzio. Il suo suono è fisico, un tuono che nasce da quelle mani ossute. Penetra e cresce nei rimbalzi a corde libere del registro grave. Sono rintocchi, tetri, che attraversano tutto un abisso di terra e fuoco.

Un fraseggio frammentatissimo dove i cromatismi la fanno da padrone. Un gusto raffinato per il movimento caotico, dove la narrazione non segue una direzione. Allude a una forma, ma tutto potrebbe iniziare e finire in qualsiasi momento. Intervalli ampi e un pedale sempre presente che dà spazialità e profondità al discorso. Stop e raffiche. La forza della Fujii è energia che si alimenta nelle progressioni, conservando una lucentezza composta nonostante le dinamiche iperspinte. Fa spavento il contrasto tra l’immobilità pacificante del suo volto e l’irrefrenabile e convulsa nevrosi delle sue mani. Una sacerdotessa, quasi la depositaria di un messaggio mistico, sconosciuto. Conclude, I know you don’t know.

Eliana Augusti

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Live Report – Gli Chat Noir al Music Inn

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L’elegante atmosfera del Music Inn diventa la cornice perfetta ad accogliere l’arte di questo trio romano, che per l’occasione si accompagna ad una contrabbassista d’eccellenza, Caterina Palazzi, al posto di Luca Fogagnolo. Dopo il successo del live di presentazione del nuovo album – Weather Forecasting Stone – all’Auditorium Parco della Musica, gli Chat Noir (oltre a Luca Fogagnolo al contrabbasso, Michele Cavallari al piano ed elettronica e Giuliano Ferrari alla batteria) hanno proseguito il loro tour con la data di venerdì 28, proprio in uno dei locali cardine della scena jazz capitolina. L’ampia gamma di contaminazioni del trio trova spazio fin dal primo brano, lasciando il jazz come punto d’arrivo e di partenza in un percorso che offre diverse chiavi di lettura e che segna uno stacco netto rispetto a qualsiasi altro progetto attuale nell’ambito. Risulta così difficile, se non addirittura riduttivo, inquadrarli in un genere preciso; anche se loro stessi si sono dichiarati molto vicini alle sonorità nordeuropee dell’etichetta ECM. Quello che ci offrono è un viaggio introspettivo alla ricerca del suono “giusto”. Cosa che accade, per esempio, in Stone is dry o in Swinging stone, in cui le sonorità jazz danno maggiormente spazio ad un’impronta post-rock.

Al contrario, in brani come White on top o Can’t see stone è il “jazz elettronico” a farla da padrone. Fondamentale sembra però risultare l’abolizione del tradizionale concetto di leader e sideman, favorendo l’agire dei singoli membri in modo completamente equiparato. Caterina Palazzi accompagna l’eleganza sonora a quella visiva attraverso il suo fascino e la leggerezza dei suoi gesti. Tutti e tre incarnano alla perfezione il trasporto emozionale alla base di ogni brano, tessendo atmosfere di estremo lirismo. Un concerto che ti culla, dandoti la certezza che ci sia ancora qualcosa di interessante ed innovativo in un Paese ormai dedito alla canzonetta.

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

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Report: Il primo evento targato Jazz Agenda al Teatro Lo Spazio: gli Hard Chords trio

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Il concerto degli Hard Chords Trio al Teatro Lo Spazio è stato un successo e noi di Jazz Agendasiamo due volti contenti, prima di tutto perché siamo stati tra i primi (se non i primi) a scommettere sull’ensemble capitolino, una delle formazioni più talentose e interessanti venute fuori di recente dal panorama jazz dell’Urbe, in secondo luogo perché è stato in assoluto il primo concerto targato Jazz Agenda, prodotto da Blue Taste e Muzak off. A tal proposito vogliamo rivolgere un sentito ringraziamento a tutti coloro che sono venuti a trovarci e che contiamo di rivedere al prossimo appuntamento. Già, perché non finisce mica qui. Il work è ancora molto in progress ma ci siamo divertiti talmente tanto (come speriamo vi siate divertiti voi) che continueremo a dare spazio ai giovani emergenti con meno possibilità di trovare visibilità nei canali più blasonati; cosa che è stata sempre una delle basi di questo sito. Ci stiamo già muovendo per dare un seguito a questa esperienza live che per la prima volta ci ha visto nel ruolo di organizzatori e avremo premura di annunciare la prossima data.  Nel frattempo se siete curiosi, date un’occhiata al servizio del nostro fotografo Valentino Lulli…  E al prossimo concerto….

Ciccio Russo

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Live report: a Kind of Trio alla Casa del Jazz

A chiudere il programma settembrino della Casa del Jazz, venerdì 30, il sassofono di Max Ionata accompagnato da due autentici protagonisti della scena newyorkese: il batterista Clarence Penn ed il contrabbassista Reuben RogersKind of Trio è un disco (in prossima uscita) ed anche il nome del trio stesso. Quasi a riecheggiare un famoso “Kind of Blue”, ma anche a sottolineare la particolarità del progetto in sé. L’eclatante evoluzione di Ionata già era conclamata da tempo: considerato uno dei sassofonisti più interessanti del panorama jazzistico italiano. Di Penn e Rogers basterebbe annoverare le collaborazioni d’eccellenza quali Dizzy Gillespie, Enrico Rava, Dave Douglas, Dianne Reeves, Wynton Marsalis ed altri, oltre che l’intensa attività concertistica all’attivo. Il primo è definito da alcuni critici il batterista più elegante del jazz contemporaneo, scelto da molti per la sua estrema versatilità in tutti i generi di musica. Di Rogers si può dire che, oltre a guidare diversi progetti a proprio nome, collabora stabilmente con alcuni dei migliori musicisti della scena internazionale. La sala completamente piena preannuncia il successo. I nomi, del resto, sono altisonanti! Il trio dimostra subito grande affiatamento (già sperimentato in precedenza, con un altro lavoro discografico di successo).  

In particolare Penn e Rogers risultano essere estremamente divertiti dalla situazione scambiandosi battute e “giocando” tra loro. Intensamente espressivi, dai loro volti la musica prende nuova forma; il corrucciarsi delle fronti, le smorfie delle labbra, l’intensità dei loro occhi, arricchiscono i brani di una diversa sensorialità che risulta quasi indispensabile alle note. Sicuramente conferitori di quella sfumatura “black” che solo il jazz della Grande Mela può regalare. Così, alla composizione melodica tipicamente italiana si affianca, in modo variabile, un caleidoscopio di generi che spaziano dal soul al rythm ‘n blues, arricchendo di movimento ed originalità i pezzi. Il sassofono di Ionata diventa voce, canto. Un po’ in disparte rispetto agli scambi d’intesa di contrabbasso e batteria, la sua figura mantiene comunque ben salda l’attenzione su di sé, dimostrando carattere e determinazione nel lasciare una forte impronta ai brani. I pezzi sono undici: otto portano la firma di Clarence Penn e Max Ionata ed uno di Reuben Rogers, che arrangia anche una splendida versione di “Con Alma” di Gillespie. Bellissimo in fine l’omaggio a Morricone con il brano “Love Theme”, dal film Nuovo Cinema Paradiso. E’ Ionata a cadenzare i brani con alcuni interventi in cui racconta al pubblico l’evoluzione del disco, dei brani appena suonati o a strappare un sorriso con aneddoti riguardanti gli ignari compagni d’esperienza, che ascoltano pur non capendo! La serata scorre veloce, grazie alla giusta continuità tra un brano e l’altro, lasciandoci immersi in un’atmosfera d’oltreoceano in attesa dell’uscita del disco…

Serena Marincolo

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Live Report: Caterina Palazzi Quartet, Gianluca Petrella e Ipocontrio all’Auditorium

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Era parecchio che mancavamo all’ Auditorium e con nostra sorpresa rimaniamo sempre affascinati da questo posto che rappresenta l’unione perfetta tra architettura e musica. La serata è calda in tutti i sensi e noi ci troviamo qui per seguire la rassegna  “Jammin 2011” organizzata da il Saint Louis College of Music per celebrare i suoi 35 anni di attività. Oggi ci presentano in apertura gli “Ipocontrio” , vincitori nel 2009 del concorso nazionale per i giovani talenti Saint Luis Jazz Contest, gruppo composto da Bruno Salicone al pianoforte, Francesco Galatro al contrabbasso e Armando Luongo alla batteria. In seguito come “portata” principale il Caterina Palazzi Quartetcon un ospite speciale : Gianluca Petrella. Gli ” Ipocontrio” si presentano con una formazione che propone delle sonorità molto piacevoli all’ascolto. Marciano a tempo di swing, l’atmosfera che si respira è quella degli anni ’30, ma non mancano dei momenti di puro stile, tra brani originali e standard jazz eseguiti con estrema facilità e fluidità. Il piano, la batteria e il basso creano un magnifico connubio che ci fa sperare di poterli ascoltare ancora.

Il Caterina Palazzi Quartet è composto da Danielle Di Majo al sax, Giacomo Ancillotto alla chitarra, Caterina Palazzi al contrabbasso e Maurizio Chiavaro alla batteria. Ospite speciale è Gianluca Petrella, trombonista eclettico dalle mille risorse sonore. I brani presentati vengono dall’ultimo lavoro i Caterina Palazzi, “Sudoku Kuller”, una sintesi delle diverse esperienze musicali di questa giovane contrabbassista. Sonorità che passano dal rock e confluiscono nel jazz,  lasciandoci, però, un sapore di originalità e di contemporaneità. Il tutto viene arricchito dall’eclettico Gianluca Petrella capace di inserirsi in questo contesto con una sua rilettura personale. Alla fine del set ci ritroviamo entusiasti di questo progetto e consapevoli della bella realtà musicale che siamo stati fortunati di sentire. Due gruppi molto differenti tra loro ma entrambi con molto da dare. Ascoltateli se vi capita…

foto e articolo di Valentino Lulli

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CASA DEL JAZZ LIVE DIARY : Le Orme e il Banco del Mutuo Soccorso chiudono Progressivamente

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Non c’è discussione sul fatto che i primi anni ’70 siano stati i più prolifici per il rock progressivo italiano, anni in cui le più importanti formazioni di questo genere producevano i migliori dischi e i migliori concerti. E le persone che spesso ci hanno raccontato di quel periodo, ce l’hanno definito come magico e irripetibile, come un qualcosa che si respirava nell’aria e che forse non sarebbe tornato più. Certo, se ci pensiamo un po’ su, la prima cosa che potremmo rispondere è che probabilmente hanno anche ragione, ma pensandoci meglio, potremmo anche contestare dicendo che domenica 11 settembre alla Casa del Jazz (nell’ambito del Festival Progressivamente), a vedere Le Orme e il Banco del Mutuo Soccorso, c’erano quasi tre mila persone. E non parliamo soltanto di nostalgici amanti della musica degli anni ’70, ma di un pubblico che forse rappresenta tutte le generazioni e che semplicemente ama la buona musica. Quindi, cerchiamo di proiettarci per un attimo in quella serata e per capire meglio l’atmosfera diciamo subito che ben prima dell’inizio del concerto non era rimasta l’ombra di un posto a sedere. Gente seduta per terra, in piedi, vicina al mixer e ai lati del palcoscenico per un concerto davvero indimenticabile che ci ha fatto sentire come dei privilegiati baciati da una buona stella, magari da “La croce del sud”, giusto per fare una citazione ad hoc. Ma lasciamo stare le parole rubate a persone che sicuramente hanno più inventiva di noi e cerchiamo di tuffarci nell’atmosfera di questa splendida serata.

I primi a salire su questo palcoscenico e ad incantare un pubblico più che mai ansioso di ascoltare sono Le Orme. Certo, è probabile che tutti gli amanti del progressive siano a conoscenza della separazione avvenuta fra gli ultimi due membri della storica line up, ovvero il batterista Michi Dei Rossi e il vocalistAldo Taglialapietra, ma questo non vuol dire che il gruppo abbia perso la voglia e l’inventiva per stupire e per stupirsi. E quindi, se pensiamo che adesso alla voce c’è Jimmy Spitaleri, fondatore dei Metamorfosi, allora possiamo proprio dire che sebbene le cose cambino, come a volte è anche giusto che sia, la buona musica rimane sempre tale e riesce sempre ad emozionare. E poi la presenza scenica non è da sottovalutare per niente. Spitaleri si presenta con una chioma lunga e folta e con tutta l’energia necessaria per affrontare una serata del genere.

 

Fin dall’inizio, infatti, da quando Le Orme cominciano a suonare, riescono a creare atmosfere surreali, a trascinarti in quell’arte della sperimentazione che soltanto pochi musicisti riescono a fare così bene. La prima parte è dedicata tutta all’ultimo lavoro d studio, La via della Seta. Testi che parlano di viaggi, sia terreni che mentali, musiche che hanno il potere di farti abbandonare la realtà per permetterti di tuffarti in un universo parallelo fatto di suoni, colori, ma anche di arte e poesia. Due viaggi, uno compiuto attraverso il suono degli strumenti, l’altro attraverso la narrazione e la conoscenza. C’è anche il tempo per fare un tuffo nel passato con il disco Felona e Sorona, suonato al momento della chiusura, e per ascoltare quella musica corale, sinfonica, monumentale che da sempre è stata, secondo noi, la principale caratteristica di questa formazione. E il concerto in questo modo acquista diverse sfaccettature, diversi momenti che lo rendono unico e irripetibile fino all’ultima chiusura della batteria di Michi Dei Rossi, sempre impeccabile, come del resto tutti gli altri membri delle Orme.

Ora, solitamente dopo che termina il primo concerto bisogna aspettare un po’ di tempo perché cominci il secondo. In generale passano una ventina di minuti, ma questa volta, forse perché la voglia di suonare era davvero tanta, non ne sono passati neanche cinque. Il Banco del Mutuo soccorso, infatti, sale sul palcoscenico della Casa del Jazz dopo un brevissimo tempo di intervallo e comincia a suonare con tutta l’energia che tutti gli amanti di questa band si aspettano di percepire. Francesco di Giacomo, voce della band, a 60 anni suonati ha ancora energia da vendere e Vittorio Nocenzi piuttosto che suonare vola sulla tastiera. Ma la cosa bella, che viene spesso sottolineata da più membri della band, è che la musica è condivisione. Senza il pubblico non ci sarebbe la stessa alchimia e quindi niente di tutto quello che abbiamo visto e sentito sarebbe possibile. Sono parole che ci fanno capire la passione che c’è dietro ogni singola nota suonata o pizzicata su ogni strumento. Energia pura, energia positiva, energia che ci fa viaggiare nello spazio e nel tempo e che allo stesso tempo riesce a metterti nelle migliori condizioni possibili.

 

Francesco di Giacomo ha ancora una voce capace di emettere suoni irripetibili e di alternare ad essi momenti di recitazione pura, come se il concerto fosse un’opera d’arte in continuo movimento. E sebbene ci sia un momento in cui ogni singolo elemento riesca ad emergere, la cosa più bella rimane sempre quella musica d’insieme che durante questa serata indimenticabile è riuscita ad ipnotizzare il pubblico per oltre un’ora e mezzo. Il concerto, quindi, scorre veloce e nella sua complessità risulta, leggero, coinvolgente quasi inafferrabile. Con il Banco tutto diventa semplice, si crea un legame fra pubblico e palco, i ritmi incalzanti e la potenza che viene sprigionata dalla formazione coinvolge tutti, anche quelli che magari si trovavano lì per caso ignari di quello che avrebbero ascoltato. E la cosa che ci ha davvero colpito è l’umiltà, la semplicità, la spensieratezza con cui la serata viene affrontata, come se questi illustri signori con alle spalle 40 anni di rock progressivo si fossero fermati davanti allo scorrere del tempo per regalarci attimi di estasi per i nostri timpani.

E come grande conclusione di questa serata, che sicuramente ricorderemo per un bel po’ di tempo, salgono sul palco insieme al Banco le Orme. E immaginatevi cosa può succedere in un concerto con due formazioni del genere che suonano insieme canzoni capolavoro come Non mi rompete. E’ qualcosa che ci viene veramente difficile da spiegare senza l’ausilio di quei musicisti che per 20 minuti ci hanno fatto viaggiare con ritmi e melodie che non si possono definire coinvolgenti perché altrimenti sarebbe troppo riduttivo. Insomma, quella di domenica è stata la conclusione in grande stile di un festival (Progressivamente) che per una settimana ci ha davvero tenuto compagnia con alcuni dei migliori musicisti della scena di ieri, di oggi e chissà… Forse anche di domani.

Carlo Cammarella

foto di Valentino Lulli

 

 

 

 

 

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CONCERTI JAZZ A ROMA

CASA DEL JAZZ LIVE DIARY: Fonderia , Nico Di Palo & Vittorio Scalzi “New Trolls”

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Eccoci qui , come al solito a seguire il festival PROGRESSIVAMENTE , evento ospitato dalla Casa del Jazz .Questa sera ascolteremo prima uno splendido progetto quale quello della Fonderia, gruppo formato da Emanuele Bultrini (chitarra), Stefano Vicarelli (piano  organo synths), Federico Nespola (batteria), Luca Pietropaoli (tromba) e Paolo Pecorelli (basso). Subito dopo, per non farci mancare nulla, Nico Di Palo (voce e tastiera) e Vittorio De Scalzi (voce ,tastiere,chitarre e flauto) ci riporteranno agli albori del prog italiano con la loro storica formazione dei New Trolls, accompagnati da Andrea Maddalone (chitarra e voce), Francesco Bellia (basso e voce), Roberto Tiranti (voce e chitarra) e Giorgio Bellia (batteria). La Fonderia ci propone un’emozionate miscela di prog, jazz, rock e funk. La musica scorre leggera e ci lasciamo prendere dai ritmi dati dalla batteria e dai fantastici suoni emessi dal basso, che passa dalle sonorità rotonde e piene degli anni ’70 a suoni più duri, quasi rock. Il tutto è intramezzato da splendide melodie di tromba che ci riportano a suoni più vicini al jazz, e da una chitarra e una tastiera che ci avvicinano più al mondo del progressive. Gradita sorpresa è stata la partecipazione di Barbara Eramo, che con la sua splendida voce ha dato vita, insieme alla Fonderia, a un momento magico ed emozionate . In conclusione questo progetto risulta piacevole, ben fatto e soprattutto molto sentito dal gruppo. Il risultato che ne esce è sicuramente frutto di un duro lavoro, e gli si renda merito di questo.

 

“New Trolls”, cosa vogliamo aggiungere? Un concerto tenuto magistralmente, una carica che qualche spettatore definisce migliore di quella dei tempi che furono. Non credo di essere abbastanza bravo per descrive la forza , il ritmo e l’aria che si respirava mentre suonavano. Le voci di Nico Di Palo e di Vittorio De Scalzi sembrano essere le stesse di qualche decennio fa; sembra che per loro il tempo si sia fermato, e ancora brucino il palco. Vittorio De Scalzi si agita alle tastiere canta e suona il flauto, mentre Nico Di Palo, più contenuto, ci stupisce con la sua voce. Il resto della band non è da meno e sembra di sentire le vocalizzazioni dei vecchi “New Trolls” . Iniziano suonando parte del Concerto Grosso n° 1 e del Concerto Grosso n° 2. Ci deliziano con il nuovo album Concerto Grosso – The Seven Seasons, dove si avvalgono della collaborazione di Shel Shapiro per le liriche in inglese e chiudono con i loro pezzi classici del primo pop italiano. A mezzanotte si sta per concludere il concerto, ma il pubblico chiede a gran voce un bis. Con grande sforzo dell’organizzazione gli viene concesso. Chiudono, a sorpresa, con la partecipazione diMax Tortora che interpreta assieme a Vittorio De Scalzi l’ultimo pezzo della serata. Se avete la possibilità non perdetevi un concerto di questa formazione…anzi non dovete assolutamente perderlo!

Valentino Lulli

foto di Valentino Lulli

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CASA DEL JAZZ LIVE DIARY: Goblin…Rebirth e Murple a Progressivamente

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Quanti avranno rimpianto la lunga chioma di gioventù da poter scuotere assieme alla batteria diAgostino Marangolo ieri sera? Quello a cui abbiamo assistito nell’ambito del festivalProgressivamente, è stato un concerto dal dovuto successo (nonostante, purtroppo, la Casa del Jazznon fosse gremita come in altre occasioni), trascendente ogni discussione riguardo la divisione della band originaria in due analoghe. I Goblin…Rebirth ci hanno regalato il meglio di se stessi, suonando con la passione e l’entusiasmo che sempre li ha contraddistinti. L’attuale formazione, voluta da Fabio Pignatelli e Agostino Marangolo, due dei componenti storici dei Goblin, ha accolto nelle sue filaAidan Zammit e Danilo Cherni alle tastiere e un instancabile quanto virtuoso Giacomo Anselmi alle chitarre. Ad acclamarli anche un buon numero di giovanissimi; tra i quali il gruppo è diventato popolare probabilmente più attraverso Profondo RossoSuspiria ed altri noti film che vantano colonne sonore a cura di Pignatelli e Marangolo. Eppure sotto (e sopra!) il palco ci sembrano tutti giovani e ruggenti al momento, presi dal tuffo negli “anta ribelli” che stanno vivendo. Per un’ora e mezza, senza sosta, l’attenzione è rapita. Sono loro a farla da padrone. Nessuno si muove (sono pochi gli audaci che sfidano i vicini di sedia alzandosi col rischio di distrarre l’intera fila!), non c’è chiacchiericcio. Solo sguardi d’intesa e scrosci di applausi. Alle spalle dei musicisti, in un loop psichedelico, scorrono scene dei film ai quali i Goblin hanno “prestato gli strumenti”, creando un’atmosfera inquietante ed “allucinogena”.

I brani si incalzano, Anselmi si destreggia rapido tra una chitarra elettronica ed una acustica. C’è spazio però per una parentesi in cui è Marangolo a prendere la parola e presentare il progetto proposto per l’occasione. Goblin è forse uno dei momenti più intensi del concerto, nel quale è proprio Marangolo a regalarci un provocante assolo di batteria e in cui comunque tutti gli strumenti risultano più spinti. Alla fine, quando Anselmi prende in mano il suo bouzouki, sappiamo tutti bene cosa ci attende! Sulla scritta “Avete visto PROFONDO ROSSO di Dario Argento” i Goblin Rebirth ci salutano; e noi li omaggiamo con una meritatissima standing ovation. Si riaccendono le luci. Le sedie vuote. Per la nostra band non è finita qui! Difatti il pubblico si è affrettato sotto il palco a complimentarsi di persona, a porgere un saluto o semplicemente nel tentativo di scambiare una chiacchiera con uno dei musicisti. Ed è proprio da questo lato del palco che ci colpisce un Wolkswagen, parcheggiato come se fosse in esposizione per i sopracitati “anta ribelli”, che reca la scritta Murple, il secondo gruppo previsto per questa sera. Speriamo di vederli saltar fuori proprio da lì al momento giusto, ma non è così.

Sono già sul palco a prepararsi, approfittando della distrazione momentanea. Forse l’attenzione per questa formazione è stata mal valutata, perché invece ci hanno dimostrato di avere una gran carica ed ironia. Pier Carlo Zanco, Mario Garbarino e Duilio Sorrenti hanno ricostruito il gruppo nel 2008, “regalando” ai fans un secondo album: Quadri di un’esposizione. Ispirato all’omonima creazione di Musorgskij. Ad accompagnarli durante la serata Maurizio Campagnano alla chitarra e la giovanissima voce di Claudia d’Ottavi. L’emozione dei componenti è palpabile; la d’Ottavi, probabilmente nuovissima recluta, cerca conferma negli occhi degli altri quando si tratta di presentare i brani. Con grande tenerezza viene supportata dal gruppo, che un po’ la burla (bonariamente è ovvio!), un po’ la incoraggia. Il tempo per loro è breve, per questo non si risparmiano mai. Il salto da un progressive più “duro” ad atmosfere più folkeggianti è piacevole e ci rilassa. Baba Yaga, tutta al femminile, ci piace molto; e Claudia d’Ottavi dimostra di saper gestire bene il palco col suo volteggiare e il fare un po’ teatrale a discapito dell’aria lievemente impacciata che sembrava avere all’inizio. La dimostrazione è che i Murple hanno saputo coraggiosamente tener testa al caleidoscopio di emozioni che li avevano preceduti, senza tentennare. Divertendosi e divertendo hanno dato degna chiusura alla serata. Peccato per chi non c’era, perché noi ne siamo usciti entusiasti!

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli, Riccardo Arena

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