Giuseppe Venezia: ‘Anteprima nazionale del disco un momento molto atteso’
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Si svolgerà a Roma giovedì 17 ottobre presso il Boaud Aire la prima tappa del tour di presentazione del disco di Giuseppe Venezia intitolato I’ve been waiting for you che uscirà il giorno seguente per l’etichetta Gleam Records. Ad accompagnarlo in quella che possiamo considerare una vera e propria anteprima ci saranno il polistrumentista lucano Attilio Troiano, al sassofono tenore e flauto, il pianista pugliese Bruno Montrone, il batterista lucano Pasquale Fiore e Fabrizio Bosso alla tromba. Ne parliamo a tu per tu con Giuseppe Venezia.
Per cominciare l'intervista parliamo subito del concerto di presentazione del tuo disco a Roma: ci vuoi dire come si svolgerà e anche quali saranno i principali brani che suonerete?
"Il concerto a Roma si terrà al Bouad Aire, un club meraviglioso in vicolo del Conte, 52. Non vedo l'ora di presentare in anteprima nazionale alcuni brani del mio album e festeggiare l’uscita del disco su tutti gli store digitali, allo scoccare della mezzanotte. È un momento che attendo con grande entusiasmo, un momento di celebrazione, di connessione, e non vedo l'ora di viverlo insieme al pubblico presente.
Vorrei essere più specifico sulla scaletta, ma spesso si finisce per suonare altro rispetto a quello che si è deciso e ci si adatta all'energia che si percepisce dal pubblico. Ogni sera racconta una storia nuova e diversa.
Sicuramente suoneremo la title track “I’ve been waiting for you”, un brano dedicato a mio figlio, insieme a “Song for Gerald” e “Messaggeri”. Chi lo sa? Magari eseguiremo tutti i pezzi… o forse no. Per scoprirlo, vi invitiamo a essere tra il pubblico quella sera!"
In questo disco ci sono tanti musicisti di spicco, tra cui spicca la presenza di Fabrizio Bosso: ci vuoi raccontare anche le ragioni per cui hai scelto questi partners di viaggio?
"Scegliere i musicisti per questo progetto è stato un processo istintivo e profondamente personale. Ho avuto la fortuna di collaborare con artisti straordinari sia in Italia che all'estero, ma quelli che compongono la mia band sono prima di tutto amici fraterni, con i quali ho condiviso non solo la musica, ma anche momenti significativi della mia vita.
Attilio, per esempio, è un polistrumentista dal talento cristallino che conosco dall'infanzia; con lui ho mosso i primi passi nella musica, e posso davvero definirlo il mio migliore amico. Il nostro legame si riflette nel suono che creiamo insieme, un’intesa che va oltre le note scritte.
Pasquale è un altro pilastro del gruppo. L’ho visto crescere musicalmente e sin dai suoi esordi ho cercato di coinvolgerlo nei miei progetti. La sua energia e il suo talento lo stanno portando a diventare uno dei batteristi più richiesti in Italia, e avere la possibilità di suonare con lui è una gioia.
Bruno, invece, è il pianista che ogni musicista desidererebbe avere al proprio fianco. La sua eleganza e preparazione lo rendono uno degli accompagnatori più raffinati del panorama musicale italiano, oltre a essere un solista incredibile. La sua presenza arricchisce ogni performance.
E poi c'è Fabrizio Bosso, la cui partecipazione al disco è nata in modo inaspettato e meraviglioso. Lo invitai a un concerto e, mentre discutevamo della musica, mi chiese se poteva provare alcuni dei miei brani. Dopo aver suonato insieme, mi sorprese dicendo che gli sarebbe piaciuto registrare un disco con noi. È un’occasione rara che non capita tutti i giorni, e ho colto l'opportunità di cementare la nostra amicizia attraverso la musica.
In definitiva, ognuno di questi musicisti porta qualcosa di unico al progetto, non solo in termini di abilità, ma anche di connessione umana. Insieme, abbiamo creato qualcosa di davvero speciale."
Parlaci anche dello stile di questo disco e soprattutto del tuo approccio al jazz?
"Definire uno stile unico per questo disco è una sfida, poiché ogni brano racconta una storia a sé. Certamente, la tradizione jazzistica è una presenza forte, ma ho cercato di fondere elementi classici con sonorità contemporanee che rispecchiano il mondo attuale. Brani come “Blue Bird” e “Messaggeri” sono profondamente radicati nel Be-Bop e Hard-Bop, ma ci sono anche pezzi che esplorano colori e atmosfere diverse, che forse non avrei incluso in un progetto più filologico.
Credo che queste diversità arricchiscano l’ascolto, offrendo un viaggio musicale che si snoda attraverso paesaggi sonori in continua evoluzione. Ogni brano invita l’ascoltatore a immergersi in un’esperienza nuova e stimolante.
Il mio approccio al jazz è piuttosto singolare. Ho iniziato a "comunicare" attraverso la musica ancor prima di suonarla. Da bambino ho studiato pianoforte, ma poi ho abbandonato; è stato durante il liceo, insieme al mio amico Attilio, che abbiamo iniziato a esplorare album di fusion e jazz moderno, accendendo la mia curiosità per le origini del jazz.
In prima liceo, ero affascinato da Pat Metheny e Chick Corea, mentre in quinto anno ero ossessionato dal trio di Oscar Peterson, Erroll Garner, Monk e Miles Davis.
La cosa più bella è stata la progressione del mio ascolto: scavando nel passato, ho imparato ad apprezzare e comprendere meglio la musica moderna. Ogni scoperta ha ampliato la mia visione e la mia sensibilità musicale, permettendomi di approcciare il jazz con un'apertura e una ricettività che spero si riflettano nel disco."
Raccontateci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?
"La nascita di questo progetto è stata un viaggio affascinante, che si è sviluppato in diverse fasi. Inizialmente, ho dedicato molto tempo alla scrittura dei brani, ce ne sono alcuni che non sono rientrati nella scaletta di questo disco ma che sono certo troveranno spazio per un progetto futuro. Un processo intimo che ha richiesto riflessione e introspezione.
Successivamente, ho condotto diverse session con musicisti diversi da quelli che oggi compongono la band. Queste esperienze sono state cruciali per orientarmi sulla direzione musicale da prendere e per affinare gli arrangiamenti.
Tuttavia, non è stato un percorso facile. Ero costantemente impegnato in altre collaborazioni come sideman, il che complicava il mio tentativo di ritagliarmi del tempo per concentrarmi su questo progetto.
Il cambiamento è avvenuto quasi per caso, durante un concerto con Fabrizio e gli altri musicisti. In quel momento, ci siamo ritrovati a suonare alcuni dei brani del disco, e tutto è diventato chiaro: il materiale musicale sembrava pronto da sempre. Era come se avessimo finalmente trovato il giusto equilibrio e la giusta alchimia.
Questa esperienza mi ha insegnato quanto siano importanti le persone giuste in un progetto musicale. Non posso che esprimere la mia gratitudine verso questi straordinari musicisti, che hanno contribuito in modo fondamentale al disco. Hanno portato la loro energia, sensibilità e talento, arricchendo il mio lavoro in modi che non avrei potuto immaginare. È stato un vero onore condividere con loro questo viaggio creativo."
Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti vengono in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?
"Ho sempre considerato me stesso fortunato, perché la musica è stata una presenza costante nella mia vita fin da bambino. Anche se nella mia famiglia non ci sono musicisti, ogni parente aveva la sua passione per artisti diversi, e io cercavo di scoprire chi potesse risuonare di più con me. Così, fin dalle elementari, ho esplorato una vasta gamma di generi, dal pop al rock, passando anche per la musica classica. Non pensavo di diventare un musicista; ascoltavo per pura gioia, divorando cassette e CD.
Durante gli anni del liceo, però, la mia curiosità per il jazz è esplosa. Ho iniziato a dedicare ore ad ascoltarlo, assorbendo i grandi classici. Anche se non avevo ancora scelto di suonare il contrabbasso, già cantavo gli assoli dei maestri, affascinato dalle loro melodie.
Parlare di influenze musicali è sempre complicato, perché molti artisti hanno segnato il mio cammino. Se devo citarne alcuni, non posso non menzionare John Patitucci, il cui album "Mistura Fina" ha rappresentato una vera svolta per me. La fortuna di conoscerlo e diventare amici ha aggiunto un valore inestimabile alla mia carriera; è un grande musicista, ma ancor di più, una persona eccezionale.
Ray Brown è stato un eroe per me per decenni, insieme a Paul Chambers, Sam Jones, Jymie Merrit, Wilbur Ware e Scott LaFaro, ognuno con il proprio bagaglio di insegnamenti.
Oggi, uno dei musicisti che ammiro di più è Gerald Cannon, a cui ho dedicato un brano nel mio disco, “Song for Gerald”. Gerald non è stato solo un maestro; è diventato uno dei miei più cari amici e mentori. Incontrarlo ha rappresentato una vera benedizione, arricchendo il mio percorso musicale”.
Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche altro concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?
"Assolutamente! Ho in programma tanti concerti di presentazione del mio disco, con date già fissate fino a marzo 2025. Ogni volta che salgo sul palco con questi straordinari musicisti, sento che è un regalo unico, e non vedo l'ora di condividere questa esperienza con il pubblico.
In parallelo, ho diverse collaborazioni entusiasmanti in arrivo, che mi vedranno impegnato come sideman in tour dal vivo nei prossimi mesi. Sarà una bella sfida incastrare le date per presentare il mio disco con tutti questi progetti, ma sono pronto a fare tutto il necessario!
In aggiunta, ci sono registrazioni in cantiere in cui sarò ancora una volta sideman, e sto già lavorando al mio prossimo progetto, un disco in piano trio. Anche se non posso rivelare troppo, posso dirti che il futuro è pieno di avventure musicali che non vedo l’ora di abbracciare e vivere con passione."