Jazz Agenda

Carlo Cammarella

Carlo Cammarella

Marco Bruno racconta l’album d’esordio intitolato Stay Together

Un album che spazia tra diversi generi musicali come il rock, il pop, l’elettronica, la musica world, la fusion, in cui l’improvvisazione jazz e l’interplay sono sempre i veri protagonisti. In questo modo potremmo riassumer il disco d’esordio del bassista Marco Bruno intitolato Stay Togheter con un repertorio composto da 5 originali e 2 cover. Ecco il racconto del leader di questo progetto!

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Stay Together è il risultato della mia vita musicale e alcuni dei brani al suo interno sono in cantiere da quando avevo 16 anni. In effetti la produzione di questo primo album rappresenta per me il coronamento di un sogno. Il titolo nasce da una frase di uno dei membri della band: “l’importante è stare insieme”. Appunto il disco è dedicato a chi ancora oggi nel 2023 soffre del disagio sociale della solitudine. A livello stilistico invece, l’album in questione propone un approccio tipico del jazz come quello dell’interplay e dell’improvvisazione, al quale vanno ad aggiungersi varie contaminazioni come quella del Rock-pop o della musica elettronica ed etnica.

Raccontaci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Il progetto nasce come risposta alla pandemia. Troppo tempo avevo passato a dedicarmi ai progetti altrui e mai al mio. Cosi decisi che era il momento di mettere su una scaletta con i vari brani che avevo in cantiere! Per cominciare ho scelto la formazione di piano trio per poi sperimentare anche lo stesso repertorio con un trio acustico formato da chitarra classica e percussioni. Dopo circa un anno contavo già numerose esibizioni nella capitale ed anche fuori e capii che era arrivato il momento di concretizzare ciò che avevo prodotto. La registrazione dell’album è avvenuta nello studio Synthesia di Roma agli inizi di novembre ad opera di Andrea Iannone (mix e master). Lo step successivo era quello di espandere il suono fin ora sperimentato, aggiungendo quindi altri strumenti come sassofoni, chitarra e percussioni, andando ad evolvere il trio in quintetto.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

Come descritto prima il punto di arrivo è forse la maturazione del suono avvenuto in fase di registrazione. Adesso mi impegno tutti i giorni per cercare di farlo conoscere. A nuovi ascoltatori e a programmare un tour per questa estate.

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

Tra gli artisti che hanno influenzato la mia scrittura ci sono sicuramente i bassisti elettrici del jazz come Jaco Pastorius, e chi è venuto dopo di lui tipo Hadrian Feraud, Linely Marthefan, Avishai Cohen, Tim Lefebvr, Pippo Matino e Dario Deidda. Vengono evidenziate anche altri spunti come quelle degli Est, Shai Maestro, Donny McCaslin e spirits finger.

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Ci ho pensato abbastanza, anche perché ho in cantiere altri 7 brani al momento e un giorno vorrei replicare con un nuovo album. Penso di voler aspettare ancora, anche per avere il modo di inglobare nuove influenze cambiando un po’ il mio stile odierno, cercando quindi di non ripetermi. Il target del prossimo disco vorrei fosse più indirizzato verso la musica elettronica, cercando di mantenere comunque un assetto acustico.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Al momento sono alla terza data dopo la presentazione dell’album, avvenuta il 9 dicembre qui a Roma. La prossima data è per la rassegna di Jazz Over curata dal direttore artistico Francesco Mascio. Tolto questo non ho altre date per il momento ma conto di cercarne oppure organizzarne altre.

Alessandro Menichelli - Songs of Days Gone By: “Una narrazione musicale di esperienze passate”

Si intitola Songs of Days Gone By il disco d’esordio del trio del pianista Alessandro Menichelli recentemente pubblicato dall’etichetta Emme Record Label. La band è completata da Nicolò di Caro alla batteria e Lorenzo Scipioni al contrabbasso. Un progetto brillante, dinamico e moderno in cui il jazz diventa il mezzo per raccontare delle storie vissute dai protagonisti. Ecco il racconto del protagonista legato a questa nuova avventura.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

“Songs of days gone by” è un disco di undici composizioni originali ed è, come vuole in qualche modo evocare il titolo, una narrazione musicale di incontri ed esperienze passate; la dimensione del ricordo è quindi l’habitat di questa musica ma anche l’idea del viaggio è trascinante, del resto molti sono i momenti di improvvisazione; infatti trovo che inventare, creare in modo estemporaneo significhi sentire in modo più profondo il momento presente.

Raccontaci adesso la vostra storia di questo progetto: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Conosco Lorenzo Scipioni da molti anni e si può dire che musicalmente siamo cresciuti l’uno affianco all’altro mentre Nicolò Di Caro è stati uno dei più importanti incontri che ho avuto nei miei anni di vita a Roma; siamo molto legati umanamente e questo mi ha permesso di condividere con loro la mia musica e ha reso loro possibile di arricchirla pienamente con la loro sensibilità unita a delle grandi doti musicali. Abbiamo iniziato dapprima a suonare standards della tradizione e gradualmente, man mano che entravamo in contatto anche musica originale sviluppando il nostro personale sound di gruppo.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

Questo è il nostro primo disco insieme, la soddisfazione per il risultato finale e il divertimento durante la preparazione ce lo fa naturalmente pensare come un bel punto di partenza o comunque come una tappa felice. Per me è anche un saluto ad un periodo della mia vita che ha portato questa musica e che ho voluto cristallizzare per andare altrove più leggero magari.

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa tviene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

La musica classica e i cantautori italiani mi hanno dato sempre molto, per la composizione direi Debussy, Piazzolla, Morricone. Se restringessimo per comodità il campo al piano trio abbiamo degli ascolti in comune e questo è un elemento importante, direi gli E.S.T. o i trii di Brad Mehldau, Bill Evans. Vorrei citare il sassofonista Kenny Garrett perché mi ha anche ispirato la traccia 8 contenuta nell’album.

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Al momento ci piacerebbe portare la nostra musica alle persone con dei live così da poter far rivivere ogni volta in modo diverso questo disco, abbiamo però già iniziato a lavorare sul nuovo materiale: composizioni classiche rielaborate ed arrangiate per la dimensione del piano trio, staremo a vedere come si evolve!

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Presenteremo sicuramente il disco a breve nelle Marche, che è la nostra regione, poi nei festival fra la primavera e l’estate. Siamo impegnati in progetti diversi che porteranno a delle registrazioni, per quanto riguarda il nostro trio ora ci godiamo questo lavoro dando il giusto tempo alle nuove idee di maturare e di prendere forma.

 

 

Valentina Fin racconta l’ultimo album intitolato A chi esita: “Un disco che parla di poesia”.

Pubblicato dall’etichetta Giotto Music A chi esita è l’ultimo disco della cantante Valentina Fin con una formazione in quintetto completata da Manuel Caliumi al sax, Luca Zennaro alla chitarra, Marco Centasso al contrabbasso e Marco Soldà alla batteria. Un album composto da brani originali in cui i brani si ispirano spesso a poesie della letteratura internazionale. Ecco il racconto della leader di questo progetto.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

“A chi esita” è un disco che parla di poesia. È la terza incisione a mio nome, ma il primo vero lavoro come cantante e compositrice. È costituito da 8 brani originali che vedono l’alternarsi di esposizioni lunghe che danno ampio spazio all’improvvisazione, come “Dreams are dangerous” e “A chi esita”, e brani miniatura come QQ dalle sonorità jazz-rock o “Quasi un madrigale” ispirato all’omonima poesia di Montale. Ho una grande passione sia per l’arte che per la letteratura ed è proprio da questi ambiti che raccolgo le suggestioni che ispirano i testi delle mie composizioni. “Marina cade dal muro”, per esempio, va a musicare, sempre in trio e con atmosfere sognanti e rarefatte, uno dei 18 aforismi del Manifesto d’artista dalla performer serba Marina Abramovic, dedicato al rapporto dell’artista con l’ispirazione. Questo disco vuole infatti essere celebrazione della ricerca interiore, dell’indugiare, un invito a trovare una forma di spiritualità nei suoni della propria esistenza.

Raccontaci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Negli ultimi due anni ho lavorato molto sulla mia identità come artista, riflettendo sulla direzione che volevo prendere. Ho concentrato la mia produzione in composizioni che valorizzassero attraverso il mio medium espressivo, la musica, ciò che mi definisce come artista: la commistione tra le arti. La grossa spinta creativa è arrivata a fine 2021 quando ho vinto il concorso “Tomorrow’s Jazz” di Veneto Jazz e poi nel 2022 con il secondo premio a Riga Jazz Stage. Grazie a questi riconoscimenti, ho fatto un tour europeo, per il quale ho potuto presentare la mia musica. Ed è così che ho iniziato a fare delle session prima in trio con Luca Zennaro alla chitarra e Marco Centasso al contrabbasso, che sono i due musicisti con cui ho iniziato, orchestrando poi i brani per una formazione più ampia, con una ritmica completa e un solista: Marco Soldà alla batteria e Manuel Caliumi all’alto sax. L’ampliamento dell’organico è stato parte integrante del processo creativo per costruire un sound il sound completo e coerente con la mia idea di musica.

Per una band o per un artista, un disco può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza. Per te cosa rappresenta?

“A chi esita” è un milestone nel lungo percorso che è la scoperta della mia identità artistica. Nell’ambito del project management milestone segnala un importante punto di arrivo (e di partenza) nel ciclo di un progetto. Un’artista si scopre e si dichiara, ma poi riparte, si riscopre e si rinnova. Questo disco è per me un importante traguardo, ma un punto di partenza nel più ampio progetto di ricerca su sé stessi che è proprio di ogni musicista.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

Sono molti e non solo musicali. Trovo profonde ispirazioni in ambiti artistici come l’arte visiva contemporanea, la performance e la poesia. Dal punto di vista musicale un chiaro riferimento è Norma Winstone nel suo trio con John Taylor e Kenny Wheeler, ma anche Fred Hersch e il suo incredibile lirismo. Vorrei citare anche il mondo del cantautorato italiano che è stato fondamentale nella mia crescita artistica, in particolare la musica di Luigi Tenco.

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi, quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Spero di portare in concerto questo progetto il più possibile. La performance dà molto spazio all’improvvisazione, che crea delle aperture rispetto alla musica scritta e sono curiosa di vedere cosa può succedere. Il concerto di release che abbiamo fatto sabato 14 gennaio Al Vapore Bar e Musica di Mestre, ha dato il via a quello che spero sarà un tour estivo e autunnale nel 2023. Mi piacerebbe anche tornare all’estero e portare la mia musica fuori dai confini nazionali dopo l’esperienza positiva dello scorso anno. Infine, non voglio smettere di scrivere per questo ensemble.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Il 22 aprile saremo negli studi Rai per un live a Piazza Verdi (se si può dire) mentre il 4 maggio al Circolo Nadir di Padova. Di nuovi progetti in cantiere ce ne sono: sono stata selezionata come mentor per il programma ECSA-AEC Mentorship Programme 2022-2023 dedicato a compositrici e cantautrici, organizzato congiuntamente da European Composer and Songwriter Alliance, AEC European Association of Conservatoires e European Jazz Network. Già il 20 e 21 marzo sarò a Bruxelles per cominciare e non vedo l’ora. Ho inoltre alcuni dischi in cantiere: un lavoro inciso nel 2021 insieme al pianista Stefano Battaglia che contiamo di far uscire nel 2023, un progetto in voce e quartetto di fiati dedicato ai compositori americani di musica contemporanea del ‘900 capitanato da Rossano Emili, un lavoro che unisce musica barocca e improvvisazione libera.

Lorenzo Bisogno racconta il nuovo disco Open Spaces uscito per Emme Record Label

Pubblicato dall’etichetta Emme Record Label, Open Spaces è il disco d’esordio di Lorenzo Bisogno alla testa di un quartetto completato da Manuel Magrini al pianoforte, Pietro Paris al contrabbasso, Lorenzo Brilli alla batteria e lo special guest Massimo Morganti al trombone. Un lavoro elegante e dall’innato senso melodico dove il contemporary jazz si sposa alla perfezione con i suoni della tradizione. Ecco il racconto di Lorenzo Bisogno.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Nel disco sono presenti 8 tracce di cui 5 brani originali composti nell'ultimo anno, una composizione scritta durante il mio soggiorno a New York ("Searching for the next") e due arrangiamenti di standards ai quali sono molto legato: "The Moontrain" di Woody Shaw e " 317 East 32nd Street" di Lennie Tristano. A completare la band ci sono Manuel Magrini al pianoforte, Pietro Paris al contrabbasso, Lorenzo Brilli alla batteria e la special guest Massimo Morganti al trombone.

Raccontaci adesso la storia di questo progetto: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Volevo incidere un disco ormai da diverso tempo, soprattutto al ritorno dal mio lungo periodo a New York dove ho frequentato il master in jazz Studies presso il Queens College in cui ho avuto molti stimoli ed incontri importanti. Grazie alla vittoria del premio Massimo Urbani nel 2021 ho avuto la possibilità di registrare e produrre questo album presso il Tube Recording studio per l'etichetta discografica Emme record Label di Enrico Moccia. Ho voluto subito coinvolgere dei musicisti ai quali sono sempre stato legato sia umanamente che professionalmente: Manuel Magrini al pianoforte, Pietro Paris al contrabbasso e Lorenzo Brilli alla batteria. Mi piaceva l'dea di registrare questo album insieme a loro perché sono diversi anni che cerchiamo di costruire insieme un suono in quartetto; inoltre ad impreziosire il tutto ho voluto inserire uno dei musicisti che più ammiro nella scena internazionale, il trombonista, arrangiatore e compositore Massimo Morganti.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

Per me questo disco rappresenta un nuovo punto di partenza; per un artista registrare un disco significa mettere un punto fermo per la carriera, una fotografia di quel particolare momento, raccogliendo i pregi e i difetti che ne derivano. Essendo molto critico con me stesso, questa opportunità è stata l’occasione per decidere di incidere questo primo disco da leader. Il disco oggigiorno è un biglietto da visita per il musicista, un modo per far conoscere la propria musica, quindi mi sto impegnando molto per portarlo in giro nei vari festivals jazz.

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

Sicuramente il primo grande impatto con il jazz è stato grazie all’incontro con Ramberto Ciammarughi, che mi ha fatto capire come raccontare una storia mentre si improvvisa, sviluppando una personalità e un suono proprio. Più tardi grazie all’esperienza newyorkese ho avuto modo di conoscere musicisti incredibili come Antonio Hart, sassofonista che è stato la spalla di Roy Hargrove per tanti anni; Tim Armacost uno dei tenoristi più apprezzati della scena jazz internazionale che è stato per me un grande coach musicale e non solo; Jeb Patton, pianista dal quale ho imparato la vera essenza dello swing; poi ce ne sono tantissimi altri che sono stati di grande impatto per il mio percorso come ad esempio Joel Frahm, Mark Turner, Ari Hoenig, Tom Harrell, Lee Konitz. Ovviamente poi ci sono tutti i musicisti che hanno fatto la storia del jazz e che tutti abbiamo trascritto e studiato almeno una volta per capire a fondo questo linguaggio come S. Rollins, D. Gordon, F. Hubbard, J. Coltrane, B. Powell etc.

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Spero di portare avanti questo quintetto, suonando la mia musica nei vari festival jazz d’Italia e d’Europa; veniamo da un’estate intensa dove abbiamo suonato un’anteprima del mio album in Italia, in Svizzera e in Spagna e spero di poter continuare con questo progetto.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

C’è già l’idea di un nuovo album, magari con una formazione diversa. La dimensione del duo con pianoforte o fisarmonica mi affascina molto e mi piacerebbe cimentarmi in un nuovo progetto così diverso; ma anche la formazione trio con contrabbasso e batteria è sempre stato un suono molto affascinante per me, essendo più libero armonicamente e ritmicamente. Ora sto lavorando per cercare concerti da fare con questo quintetto e il prossimo appuntamento sarà a Roma presso ‘Il Cantiere’’, un posto fantastico gestito dal collettivo Agus.

“North of the Sea”: il disco blues di Manlio Milazzi e JJ Appleton

North of the Sea è il nuovo album di Manlio Milazzi nato dalla collaborazione con JJ Appleton.

Completamente autoprodotto e registrato in due sessioni live, North Of The Sea è un disco di blues acustico con 12 tracce di cui 3 originali firmate da Manlio Milazzi (Crazy Head, One More Parade e Heavy Heart Blues) e 1 da Appleton (Stove Hot Ouch).

Le 8 cover sono un omaggio al meglio della tradizione americana, con riferimenti e sonorità che spaziano da Chicago a New Orleans, fino al Texas Blues intriso di swing di T-Bone Walker.

I Got Loaded è un omaggio al blues chicano dei Los Lobos, Going Up The Country è una superba interpretazione di Appleton di una canzone di Taj Mahal. Insomma, la palette è decisamente variegata e ricca e tutto funziona grazie a un feeling profondo che il trio ha costruito data dopo data.

 

Manlio Milazzi racconta così l’incontro con JJ Appleton: «Era una notta buia e tempestosa a Denver e l’ultima jam notturna stava per concludersi all’interno della sala conferenze dell’hotel di un’importante convention internazionale di musica. Il cantante e chitarrista JJ APPLETON ed io, veniamo presentati l’un l’altro da un comune amico e collaboratore, la leggenda dell’armonica Jason Ricci. “Voi ragazzi dovreste conoscervi”, dice. La chimica tra noi due è istantanea: “Dobbiamo andare in tour insieme!”»

 

Ascolta il disco: https://open.spotify.com/album/1TzCLFvWoAxeZ8YzUVFGwl

 

Il nuovo album nasce infatti come coronamento del secondo tour europeo fatto nel 2022 (il primo era pre-pandemia, 2019) e rappresenta in buona parte la scaletta che il trio ha portato in giro tra Italia, Croazia e Austria. Due dei brani originali sono stati scritti durante il tour, così come molti degli arrangiamenti che sono stati provati live, riscritti, riprovati e infine registrati.

 

Anche il titolo stesso parla del tour, North Of The Sea è da dove il viaggio inizia e dove il viaggio finisce, quel Nord Est italiano - Trieste - a cui Manlio è profondamente legato. E Nord Est e mare sono parte dell’identità di Appleton: new yorkese doc, made in Brooklyn.

 

Il disco North Of The Sea di Manlio Milazzi, voce e armonica, con JJ Appleton, voce e chitarre,

e Simone Serafini, contrabbasso, è uscito il 15 novembre 2022 ed è stato registrato e mixato a Udine da Francesco Marzona. L’Album è disponibile sulle migliori piattaforme di streaming musicale.

 

I MUSICISTI

La storia musicale di APPLETON include 2 album di blues acustico, registrati con Jason Ricci e premiati dalla critica. 3 album da solista e un contratto con AATW/Universal. JJ è stato ospite al Late Night Show con Stephen Colbert, al Good Morning America e al Carson Daly.

Inoltre è stato scelto personalmente da David Bowie come chitarrista per il pluripremiato musical Lazarus. Come produttore JJ APPLETON ha lavorato con Kesha, Grace Gaustad, Erin Bowman e Darius Rucker.

 

MILAZZI è uno degli armonicisti più apprezzati della scena blues italiana e europea. Già vincitore dell’International Blues Challenge nel 2009 e premiato al World Harmonica Championship di Trossingen nel 2013. Allievo del genio dell’armonica Carlos Del Junco, MILAZZI ha collaborato con autentiche leggende della scena internazionale quali: Bob Margolin, Chris Jagger, Tonky De La Pena, Enrico Crivellaro, Aki Kumar

 

Insieme a loro, al contrabbasso, c’è Simone SERAFINI. Bassista e contrabbassista pluripremiato (Targa Tenco 2014 con il disco “Penisolati” di L. Vescovo, Chicco Bettinardi, Barga Jazz, Concorso Internazionale di Jazz del Cons. Santa Cecilia, Premio delle Arti “Targa P. Jeffreyed tra gli altri). Serafini collabora con molti musicisti della scena jazzistica e non, tra cui F. Bosso, P. Fresu, S. Henderson, J. Dludlu, D. Brown, K. Gesing, R. Gould, D. Menza, B. Margolin, J. Stowell, M. Gibbs, T. Honsinger, M. Negri, M. Giammarco, P. Tonolo, M. Tamburini, G. Falzone, G. Maier, E. Crivellaro, G. Venier, A. Onorato, G. Telesforo, M. Ionata L. Malaguti, P. Soave, B. Lauzi;

 

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MANLIO MILAZZI BIOGRAFIA

 

Nato a Trieste, classe 77, si appassiona al blues, al rock’n’roll e a tutta la musica afroamericana fin da giovane ascoltando i dischi che riesce a “rubare” in casa. A 16 anni scopre l’armonica e scopre alcuni dei grandi maestri: Sonny Boy Williamson II, Little Walter, Slim Harpo e molti altri ancora.

Manlio quindi inizia a suonare da autodidatta, divorando i pochi dischi di blues reperibili in città e cominciando a connettersi con la ricca realtà musicale triestina, che proprio tra gli anni 80 e 90, gode di una scena musicale blues/jazz ricca e prolifica.

In questo contesto Manlio si forma come armonicista, sideman di alcuni dei grandi nomi della scena locale - Franco Toro e Mike Sponza su tutti - prima e band leader poi per necessità di dare forma e voce ai suoi blues. In questi anni, grazie all’avvento della rete, i confini della città di provincia sono facilmente superati e lo scoprire la scena musicale europea e americana fa crescere velocemente la voglia di crescere come armonicista, come musicista e artista.

Dopo una breve permanenza nel Nord Ovest americano, rientra a Trieste e fonda nel 2006 i Tillamook. Band che prende ispirazione dalla storica Butterfield Blues Band e con cui cerca di costruire un proprio linguaggio, saldamente fondato sul blues contemporaneo. I Tillamook vinceranno l’edizione italiana dell’International Blues Challenge 2008 e si guadagneranno i palchi dell’edizione americana, a Memphis - Tennessee.

Negli anni successivi continua a viaggiare tra Europa e Stati Uniti per mettersi in contatto con la scena musicale internazionale e confrontarsi con alcuni dei più grandi armonicisti contemporanei tra cui Paul DeLay (che purtroppo se ne andrà pochi anni dopo il loro incontro), Jason Ricci e Carlos Del Junco. Con questi ultimi costruirà una relazione profonda che avrà un’influenza permanente sul suo modo di suonare e di concepire l’armonica, non solo come strumento principe del blues ma come strumento maturo in grado di spaziare tra stili e generi.

Attualmente collabora con il musicista blues triestino Franco Toro e insieme al chitarrista Jay Tommasini e il bassista friulano Simone Serafini mantiene la formazione Manlio & The Free Kings.

Negli anni ha suonato e collaborato con autentiche leggende della scena internazionale quali: Bob Margolin, Chris Jagger, Tonky De La Pena, Enrico Crivellaro e molti altri.

Nel 2015 conosce a Denver il chitarrista di New York JJ Appleton con il quale è spesso in tour in Europa e con cui ha registrato, nel 2022, l’album North Of The Sea.

 

Federica Cerizza racconta il disco Casa: “Niente mi rappresenta di più del piano solo”

Si intitola Casa il disco d’esordio della pianista Federica Cerizza uscito per l’etichetta Filibusta Records nel novembre del 2022. Un disco in piano solo elegante, raffinato e ricco di contaminazioni dove il jazz si fonde con la classica e dove la musica diventa il sottofondo per raccontare una storia. Ecco il racconto di questo progetto…

Perché la scelta di fare un disco in piano solo?

Il piano solo è la dimensione più antica e personale che ho, mi accompagna da sempre, dall’infanzia ad oggi. Sedersi al pianoforte con lo scopo di cercare i miei suoni e dar loro senso e logica fino a costruire un discorso è qualcosa di cui ho ricordo dal momento stesso in cui ho messo le mani su un pianoforte. E’ la mia parte più autentica e personale, la cosa più onesta che posso offrire. Quando ho pensato al mio primo album è stato quasi automatico pensare ad un piano solo.
In questi anni ho avuto occasione di suonare in tante formazioni, dal duo a piccoli collettivi di improvvisatori, suonare con gli altri è meraviglioso e fa parte delle esperienze più belle che la musica e la vita possano regalare. Ma per ora nulla mi è più caro e sento più vero e mio dell’immaginario musicale che ho creato al pianoforte nell’arco di questi vent’anni di musica e di studio. E’ la mia fantasia, il mio modo di sentire la musica. In questo momento non c’è niente che mi rappresenti di più del piano solo.

Dopo l’uscita di alcuni singoli, nel 2022 sei arrivata a comporre un album, quale è stato il tuo percorso?

I due singoli usciti prima dell’album, Pastorale e Vibrazioni, sono nati dopo l’incontro con Luigi Bonafede con cui ho avuto l’onore di registrarli. Ma non erano inseriti in un progetto o in un’idea musicale più ampia. Sono riuscita a dare invece una forma al lavoro in piano solo dopo circa un paio d’anni di lavoro intensivo in questa direzione, in questo senso l’incontro con Stefano Battaglia e il lavoro che ho svolto con lui sono stati molto significativi per me.

Come descriveresti il genere e le sonorità di questo album

La musica del disco nasce dall’unione dei mondi musicali che amo di più: il jazz, la musica classica del Novecento, l’improvvisazione libera e alcune atmosfere del rock progressive.

I brani raccontano tue emozioni, raccontano storie?

Dietro ogni brano c’è un piccolo racconto o in generale un significato. Voci di fiume per esempio è il tentativo di ricreare l’effetto acustico di due fiumi che si incrociano, un luogo che esiste realmente e al quale sono affezionata. La bambina nella bolla è un brano dedicato al mondo dell’infanzia e in particolare è ispirato al racconto scritto da una bambina di cui sono stata maestra. Casa invece è un racconto sonoro che parte da atmosfere piuttosto cupe e a tratti meccaniche e man mano si schiarisce in una sorta di viaggio metafisico verso casa, inteso come il ritorno a percepire la propria umanità, ritrovarsi.

I brani sono associati a dei quadri, da dove sei partita, dalle composizioni che avevi in mente o dall’ispirazione visuale?

Prima c’è sempre la musica. Sono convinta che la musica abbia un significato intrinseco in sé, come pura arte del suono e non necessiti di parole per essere spiegata o immagini per essere resa meno astratta. Esiste però un pubblico oltre al musicista e io sono assolutamente convinta della necessità di andare oltre un pubblico di soli amatori o appassionati. La musica deve e può arrivare a tutti, a volte basta poco per superare certe barriere. Con gli house concert che organizzo a casa mia tocco con mano questa consapevolezza, tutti restano affascinati dalla musica e dall’energia che si crea.

Quando ho incontrato Laura Cignacco, l’autrice dei quadri, abbiamo ragionato su questo: dare agli ascoltatori una chiave di lettura in più per immergersi nella musica, pensando soprattutto a un tipo di ascoltatore che magari è sì affascinato dalla musica, che la cerca, ma che non è il classico appassionato di jazz, di classica... Dal mio punto di vista è un ottimo pubblico quello che dal nulla resta colpito da un tipo di musica che non ha mai ascoltato prima.   I quadri sono un linguaggio in più e sono pensati per circondare il pianoforte durante i concerti. Laura è stata completamente libera di creare le tele, non le ho dato nessun tipo di indicazione, le ho solo fatto ascoltare i brani finiti. Per me sono quadri bellissimi, ad altissimo impatto visivo.

Da cosa hai preso ispirazione per le tracce dell’album?

Il mio modo di comporre parte dal pianoforte, le idee nascono dalla pratica di tante ore di studio e improvvisazione libera. Poi cerco di condensare il discorso fino a creare un ambiente sonoro specifico che posso collegare a una mia esperienza diretta. Una cosa che mi sta a cuore e che sento mia. L’amore per il mondo dell’infanzia, la casa, il luogo dove si incrociano i fiumi che mi piace visitare, tutte cose molto vicine a me e personali ma che possono essere lette in modo ampio e universale.

Da cosa trarrai ispirazione per il prossimo album?

Non so ancora! E’ tutto da vedere, di certo sarà un disco pensato per una formazione, dal trio in su.

Hai delle date in programma?

Sì, suonerò il 10 dicembre alla Filanda di Martinengo (BG), l’11 dicembre alla Fondazione Piseri a Brugherio (MB) e il 13 alla Pieve a Cologno Monzese (MI).  A gennaio suonerò il 14 da Kono Dischi a Biella, il 19 al Libero Pensiero a Lecco e il 25 a Milano nella Sala Devatta.

 

 

Esce Controra: il disco d'esordio degli ALP Trio – etichetta Filibusta Records

Si intitola Controra il disco d’esordio degli ALP Trio in uscita per l’etichetta discografica Filibusta Records (distr. Digitale Believe, distr. Fisica Goodfellas). La band è formata da tre polistrumentisti molto versatili, attivi da tempo in diverse formazioni e in progetti solisti. Parliamo di Fabio Anile, pianista che ha composto musiche per cortometraggi e installazioni audiovisuali, Luca Pietropaoli, alla tromba e al basso che ha collaborato in gruppi come Fonderia, Pensiero Nomade ed Ensemble Enarmonia, e infine Salvatore Lazzara, chitarrista e bassista, che è il fondatore di Pensiero Nomade ed uno dei componenti della band prog rock dei Germinale.

Cosa si nasconde dietro a questo progetto? Partiamo dal titolo. Fin dall’antichità, in certi luoghi, nel pieno dell’estate, le giornate hanno un giro d’ore, dopo il mezzogiorno, in cui la calura è più profonda, la luce più abbagliante e il mondo è immerso in una calma immobile e rovente. Chiunque abbia fatto esperienza della stagione estiva al sud, o comunque nelle zone mediterranee, sa di cosa stiamo parlando: si potrebbe dire che questa parola sintetizza non solo una serie di cose che si fanno (o meglio, che non si fanno) durante quel periodo del giorno, ma anche i pensieri che nascono, e con loro i desideri.

Secondo Platone, in questo periodo di tempo il sole si arresterebbe a metà del suo corso e renderebbe infuocati il cielo e la terra; le cicale cantano e inducono torpore mentale, gli uomini abbandonano i luoghi aperti e si rifugiano al coperto, nelle grotte o nelle case per riposarsi. In quel momento escono Pan, le Ninfe ed altre divinità, che possono invasare e possedere gli incauti che escono. La controra è letteralmente un’ora contraria, avversa all’attività, in cui si rifugge l’aperto e si cerca riparo al fresco di una casa, in un giardino, in un luogo appartato. E perciò diventa un momento di rifugio, attesa, riposo e di sospensione del tempo. Abbiamo provato a immaginare quale musica potesse nascere nella controra e, da mediterranei, abbiamo provato a mescolare le nostre influenze sulla base di questa idea, dando vita appunto ad una musica per lenire il caldo, l’apatia languida, e che lascia sospesi in attesa che il tempo scorra. Ogni traccia segue il fluire delle ore e delle fasi del sonno, fino all’inevitabile risveglio.

ALP Trio – bio: Controra: la musica possibile, dopo il silenzio. ALP Trio è il tentativo di trovare una risposta alla domanda sulla musica che può accompagnare il nostro tempo. Soprattutto dopo che ogni genere è stato attraversato, ogni esperienza compiuta, ogni suono ascoltato. Quello che potrete trovare in questo progetto musicale è il risultato di un intenso e meticoloso lavoro di sottrazione, di ricerca dell’essenza, della misura e del ritmo necessario. Non è un caso che il cd si chiami “controra”, quel momento del giorno in cui non è possibile tollerare azioni superflue, pensieri superflui, desideri superflui. La parte del giorno che si dichiara più vicina alla quiete, solo apparentemente stanca e lenta. Che è poi l’unico modo di esistere e resistere in questa vita inutilmente veloce, francamente illusoria, spesso inautentica. Fabio Anile, Salvo Lazzara e Luca Pietropaoli hanno compiuto un’opera di sublimazione dei generi a loro più cari, il jazz, l’ambient, l’elettronica, alla ricerca di una pulsazione e una risonanza più profonde.

 

Link per ascoltare il disco

https://bfan.link/controra

 

Line up:

Salvo Lazzara: electric guitar, 9 strings touch guitar, noises & soundscapes

Luca Pietropaoli: trumpet, electric bass, double bass, drum programming

Fabio Anile: piano, synths, percussions

 

Tracklist:

[14:00 PM] / [14:05 PM] / [14:11 PM] / [14:14 PM] / [14:23 PM] / [14:27 PM] / [14:33 PM] / [14:38 PM]

 

Discografia:

ALP Trio – Controra (Filibusta Records, 2022, album)

 

Luca Pietropaoli: Ha cominciato a giocare con la musica fin da tenera età: i vinili di Bach, Inti-Illimani, The Beatles, Simon & Garfunkel erano perfette colonne sonore di concerti immaginari da mettere in scena con ogni sorta di strumento improvvisato. Principale canale espressivo del desiderio di creatività, la musica lo ha da sempre attratto nelle sue innumerevoli declinazioni temporali e geografiche. Trombettista, cornettista, bassista, sound designer e compositore, ha lavorato e pubblicato album in ambito progressive jazz (Fonderia), world jazz (Pensiero Nomade), rinascimentale (Concerto Romano, Officina Musicae), sinfonico (Ensemble Enarmonia) ed elettronico (in veste solista), esibendosi dal vivo in Italia, Inghilterra, Germania, Austria, Belgio, Lussemburgo. Album e collaborazioni: “Fonderia” (Bizzarre Production, 2002) con Fonderia; “Re>>Enter” (Vinyl Magic, 2006) con Fonderia; “My Grandmother’s Space Suit (Biz, 2010) con Fonderia; “Imperfetta solitudine” (Filibusta records, 2013) con Pensiero Nomade, “Guided by Noise” (Filibusta records, 2017) con Salvo Lazzara; “Appunti per una teoria delle maree” (Filibusta records, 2018) con Salvo Lazzara, Davide Guidoni e Claudio Milano; “Outside the Cave” (NAU records, 2014) come solista; “Microdancing” (2020) come solista.

Fabio Anile: Pianista di formazione classica, Fabio anile (classe 1970) si è accostato sin da giovanissimo alla musica spaziando in generi diversi, ma sempre con una predilezione per la dimensione cinematica di essa. Dalle atmosfere dell’ambient più rarefatta, all’ostinato del minimalismo classico, la ricerca sonora di Fabio Anile si muove sempre lungo la stessa direttrice: la sua musica è un lavoro sul tempo e la sua percezione. Ha composto musiche per cortometraggi e istallazioni audiovisuali. Album e collaborazioni: “Music for Piano and Strings” (in uscita a Gennaio 2023), “Fractal Sextet” (Alchemy records, 2022), “Weightless” (Laverna, 2009), “Fractal Guitar 1”, “Fractal Guitar 2” (con Stephan Thelen), “Materia e Memoria” (con Pensiero Nomade), “Sacro e Profano” (soundtrack per mostra fotografica), “Non da sola” (corto di Xavier Plagaro Mussard, 2011), “La Pelosa” (corto di Xavier Plagaro Mussard, 2010), “Artificialia” (istallazione multimediale di Luigi Pagliarini). Live Performance: si è esibito in numerosi festival nazionali e internazionali a Roma, Firenze, Milano, Zurigo, Colonia, Berlino, Anversa e negli States a Santa Cruz (come headliner), San Diego, Oakland. Nel 2009 si è esibito on-line al primo Virtual Sound and Visual Festival (VSV Festival) e ha prodotto in primo “International Live Looping Festival” in Italia (Roma, 2009).

Salvo Lazzara: Chitarrista e bassista. Dopo gli esordi nella new wave e dark wave si dedica al progressive rock con la band Germinale, con cui incide cd fino alla fine degli anni ’90. All’inizio degli anni 2000 inizia un percorso solista con il moniker Pensiero Nomade, un progetto in cui si dedica alla ricerca sonora, fra musica acustica e world jazz, contaminata da minimalismo ambient e da elettronica. Album e collaborazioni: “E il suo respiro ancora agita le onde” (Mellow records) con Germinale; “Cielo e terra” (Mellow records) con Germinale; “Scogli di sabbia” (AMS BTF) con Germinale; “La vostra ansia di orizzonte” (MA.RA.CASH. records) con Stefano Giannotti; “Guided by Noise” (Filibusta records) con Luca Pietropaoli; “Appunti per una teoria delle maree” (Filibusta records) con Luca Pietropaoli, Davide Guidoni e Claudio Milano; “Per questi ed altri naufragi” (AMS BTF) con Pensiero Nomade; “Tempi migliori” (AMS BTF) con Pensiero Nomade; “Materia e memoria” (Dodici Lune) con Pensiero Nomade; “Imperfetta solitudine” (Filibusta records) con Pensiero Nomade; “Da nessun luogo” (Filibusta records) con Pensiero Nomade; “Canti del disincanto” (Filibusta records) con Pensiero Nomade; “Un cerchio perfetto” (Filibusta records) con Pensiero Nomade.

 

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Francesco Del Prete racconta il disco Rohesia ViolinOrchestra: tra musica e tradizioni locali

Si intitola Rohesia ViolinOrchestra l’ultimo disco del violinista Francesco Del Prete uscito il 22 novembre per l’etichetta Dodicilune. Parliamo di un lavoro unico nel suo genere, che ha radici profonde nella cultura mediterranea e nelle tradizioni locali. Tutti i brani, infatti, presenti in due versioni, sono stati scritti per essere accostati ai vini della Cantina Cantele che insieme all’artista ha coprodotto questo progetto. Ecco il racconto di Francesco Del Prete in merito a questa nuova avventura…

Buongiorno Francesco e benvenuto. Per cominciare ti va di descrivere il tuo lavoro ai lettori di Jazz Agenda?

Rohesia ViolinOrchestra” è un disco pensato, realizzato e coprodotto insieme a CANTELE, azienda vinicola salentina ormai radicata sul territorio nazionale e ampiamente riconosciuta a livello internazionale. Dando per scontate le indubbie qualità della Cantina in questione – originalità e passione su tutte – quel che maggiormente m’incuriosisce ed entusiasma è l’approccio sinestetico messo in atto da tale realtà: rendere i propri vini un’esperienza multi-sensoriale attraverso sapori, fragranze, colori, profumi, strategie di comunicazione…

Da qui il mio desiderio di immaginare vere e proprie colonne sonore dedicate a cinque tra le più prestigiose bottiglie di vino firmate Cantele – Rohesia Pas Dosè, Teresa Manara Chardonnay, Rohesia Rosé, Rohesia Rosso, Amativo – dopo averle degustate e averne studiato le caratteristiche: note gustative, sentori olfattivi, modalità di produzione, colori e sfumature, intensità, corpo, eventuale effervescenza, nome, etichetta…

Quali sono state le tue maggiori fonti di ispirazione?

Nonostante io non ne sia un esperto, sono da sempre affascinato dal vino e da tutto il mondo che lo circonda: la dimensione “naturale” che lo caratterizza, dall’impianto e la cura dei vitigni fino al momento della vendemmia; la trasformazione dell’uva in qualcosa di magico – non per niente definito da tempo immemore il nettare degli dei – attraverso il sapiente lavoro dell’enologo che come un novello alchimista e attraverso interventi mirati inventa “nuove miscele” e in alcuni casi prova anche a correggerne eventuali leggeri difetti; i benefici e gli effetti stimolanti sul consumatore – moderato, ovviamente.

Tale mia fascinazione, lo stupore di fronte a tanta bellezza sono sicuramente sottesi in tutto l’album e mi hanno ispirato costantemente; ma a seconda del vino in questione ho adottato dei percorsi differenti, due esempi su tutti: mentre per il Rohesia Pas Dosé è stato fondamentale sottolinearne musicalmente il suo caratteristico perlage, l'insieme delle bollicine e la sua effervescenza, per il Teresa Manara Chardonnay invece l’avvincente biografia della protagonista – travolta da un destino irruente che l’ha condotta in Salento contribuendo di conseguenza a creare la realtà vinicola familiare – è ­stata la scintilla ispiratrice più indicata per stimolarmi a scrivere e raccontare questa bottiglia. Ecco perché per ogni vino ho seguito strade, chiavi di lettura e interpretazioni diverse.

L’album ha un doppio binario: le composizioni e il vino, come hanno interagito?

Per quel che mi riguarda, ho già provato a spiegare ciò nella risposta precedente. Ma il mio punto di vista, in quanto artefice del progetto, è relativo; in realtà conto di girare la domanda direttamente al pubblico che assisterà alle future performances. Da parte nostra ci aspettiamo che chiunque ascolti il brano abbia voglia di gustare il vino; o che gustando il vino sia tanto stimolato ed incuriosito da ascoltare il brano; oppure, per essere ancora più ambiziosi, unire le due esperienze e sublimarne il momento magari approfondendo la percezione di sé stessi.

Il doppio binario è anche nelle sonorità, acustiche ed elettroniche, puoi spiegarci la scelta?

Di elettronica in questo disco c’è veramente poco, se non per alcune tensioni ritmico-percussive necessarie per sottolineare determinate esigenze compositive. Invece tengo a precisare che, a proposito di sonorità, ci sono due versioni delle stesse canzoni e ora vi spiego il motivo: inizialmente, dato il numero contenuto dei brani e il minutaggio limitato dell’opera, con l’etichetta Dodicilune abbiamo pensato di realizzarne un Ep; poi invece ho cominciato a riflettere sull’idea di arrangiamento da impiegare e costruire per valorizzare al massimo le mie idee musicali: utilizzando la mia procedura compositiva – che ho deciso di chiamare ViolinOrchestra, termine contenuto anche nel titolo del disco, cioè un’intera orchestra ottenuta sovraincidendo più e più volte un solo violino polifunzionale cioè sfregato con l’archetto, pizzicato, plettrato, percosso con le dita in modo da esaltarne tutte le risorse musicali ed espressive melodiche, armoniche e ritmiche più o meno evidenti – è stato naturale pensare a delle versioni orchestrali ricche di tracce, colori e sfumature diverse; dunque, proprio da qui è nata l’esigenza di proporne delle varianti più asciutte, minimali ed unplugged, ottenendo in tale maniera risultati espressivi totalmente differenti perché orientati verso suggestioni e soluzioni musicali del tutto differenti ma altrettanto efficaci: un brano solo con violino e arpa, un altro con violino, flicorno e violoncello, oppure violino, pianoforte e voce lirica o anche violino e chitarra acustica; ecco quindi edito per voi un Lp (Long Playing) a tutti gli effetti, contenente dieci brani.

Raccontaci anche il tuo personale percorso artistico e come si è sviluppato nel corso del tempo.

Tutto inizia con lo studio del violino classico in conservatorio, ma da sempre mi intrigano improvvisazione da una parte e composizione consapevole dall’altra; jazz e musica etnica quindi come terreni fertilissimi su cui coltivare ed affinare, sperimentando, il mio linguaggio e il mio suono. Ad un certo punto tutti questi percorsi ed interessi si intrecciano al desiderio di andare oltre le ormai note risorse melodiche dello strumento violino, scoprendone ed evidenziandone potenzialità inimmaginabili che in ambito classico non si trovano rappresentate: ecco dunque già pubblicati Corpi D’Arco e Cor Cordis, due album di una trilogia programmata col fine di andare oltre la superficie delle cose per tirarne fuori l’essenza. Rohesia ViolinOrchestra s’inserisce perfettamente in questo mio percorso del tutto personale che propone il violino come una lente interpretativa della realtà che ci circonda; attraverso di esso viene presentata una diversa visione dell’oggetto o elemento in questione che, di conseguenza, si arricchisce di nuovi accostamenti culturali: in questo caso, il violino con il vino. Ma è solo il primo: è mia intenzione proseguire in queste mie proposte alternative e spero di parlarvene presto.

Come porterai live l’album e quali sono gli appuntamenti già fissati in agenda.

Tra qualche giorno presenteremo un nuovo videoclip, a cura di Silvio Bursomanno, di un brano estratto dal disco, e siamo entusiasti della cosa. Per quanto riguarda i live – dimensione necessaria per il sottoscritto – proprio la natura di questo progetto ci impone di non scindere la proposta musicale dalla degustazione dei rispettivi calici al fine di ottenere un completo coinvolgimento del pubblico. Ecco perché con la cantina Cantele stiamo organizzando al meglio degli eventi sinestetici mirati che gli interessati troveranno pubblicizzati sulle nostre pagine social. Ecco perché concludo invitando i vostri affezionati lettori a seguirmi e vi ringrazio per questa intervista: spero di vedervi presto a qualche mia esibizione e – perché no? – con il giusto calice in mano.

 

Live Bootleg: il racconto dal vivo dei Melty Groove

Si intitola Live Bootleg il disco d’esordio dei Melty Groove uscito nel settembre 2022. Un lavoro pregno di elementi funky, soul e blues, interamente registrato dal vivo che si compone di otto cover di grandi artisti quali Steve Wonder, Eric Clapton, Adele, Battisti. Un progetto, dunque, che rappresenta un vero e proprio percorso artistico e soprattutto e che mantiene fede allo spettacolo dal vivo. Ecco il racconto dei membri della band.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

(Alice) Ciao! E’ un disco live, registrato presso il Birra Ceca di Rivoli, vicino Torino. E’ un album che racchiude in 8 brani una sintesi di quello che è il nostro sound, la nostra identità musicale. Ci piaceva l’idea di pubblicare qualcosa di estremamente vivo, genuino, senza rimaneggiamenti. E’ un prodotto per noi molto importante, perché rispecchia esattamente la dimensione dei nostri concerti. Stiamo ricevendo molti apprezzamenti per questo!

Raccontateci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

(Carlo) La nostra storia è relativamente giovane: ci siamo formati ufficialmente nel 2020, a ridosso dell'inizio della pandemia. L'incontro tra Edoardo (batteria) ed Alice (basso e voce) è avvenuto quasi per caso durante un workshop tenuto dall'hammondista jazz Alberto Marsico. Poi successivamente mi sono aggiunto alle tastiere. Da quel momento il gruppo ha preso una forma via via sempre più nitida, abbiamo cominciato a riarrangiare delle cover di brani di Stevie Wonder o Eric Clapton e successivamente abbiamo aggiunto altri elementi, come cori gospel o improvvisazioni. Trattiamo le cover come se fossero dei brani inediti, ci piace stravolgere totalmente i brani e rivestirli di sonorità nuove. Negli ultimi concerti abbiamo deciso di proporre anche i nostri primi brani originali, come l'ultimo singolo "I wanna know why" pubblicato a Settembre (Ascolta su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=QNcaJZGrzHQ ).

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

(Alice) Una fotografia del momento in cui ci troviamo. Noi sappiamo bene che una band è un concetto in continua trasformazione, per questo ci è parso utile "fotografare" un certo repertorio musicale e pubblicarlo su un album. Così è nato il nostro primo EP, che è registrato totalmente live, proprio per dare una forma genuina e spontanea alla nostra identità. "Live Bootleg" è anche un disco autoprodotto coi nostri mezzi, lo abbiamo stampato anche in versione fisica in un piccolo packaging ecologico ed è disponibile sulla nostra pagina bandcamp (https://meltygroove.bandcamp.com/album/live-bootleg ) o presso i nostri concerti.

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

(Edoardo) Nella vita di un musicista si attraversano varie fasi di ascolto... e tutte indistintamente (e anche inconsapevolmente) fanno parte di un proprio bagaglio personale. Noi siamo tre musicisti molto diversi: Alice ha una propensione naturale verso il blues, Io ho studiato batteria jazz/pop e Carlo ha un background che spazia dal progressive rock alla musica etnica. I nostri riferimenti sono collocati tra gli anni 70-80... un artista tra tutti: Stevie Wonder.

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

(Alice) Stiamo scrivendo dei brani originali e questo ci diverte molto. Vogliamo che il nostro repertorio sia incentrato sugli inediti e il prossimo passo sarà pubblicare un album di nostre canzoni.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

(Carlo) Sì abbiamo pianificato una serie di concerti per tutto il 2022 e contemporaneamente stiamo portando avanti le registrazioni dei prossimi singoli. Tra qualche settimana partiremo per la Svizzera e al ritorno pubblicheremo un nuovo videoclip, che non possiamo ancora svelare. Invitiamo tutti a seguirci sui social per essere aggiornati!

 

Streaming disco e singolo

Bandcamp: https://meltygroove.bandcamp.com/album/live-bootleg

Youtube:

https://www.youtube.com/watch?v=yzOU_YwrKcg&list=PLyQ1KbkpkUVb8ovJn5nZl_TmL3zahCGKa&index=1

Spotify: https://open.spotify.com/track/2c5GCSojoLerTWtRAeRob9?si=d2bc171e883b4f8f

 

Social e Contatti

Website: https://meltygroove.it

Facebook: https://www.facebook.com/meltygrooveband/

Instagram: https://www.instagram.com/meltygroove/

 

Federico De Zottis racconta il nuovo disco Open: “La ricerca melodica è stata la guida”

 

Si intitola Open il disco d’esordio del gruppo 3.00 a.m. nato dalla volontà del sassofonista Federico De Zottis. Un progetto che prende forma dalla passione per i grandi maestri del jazz anni ’60 pubblicato dall’etichetta Emme Record Label. La formazione è completata da Diego Albini al pianoforte, Mirko Boles al contrabbasso e Stefano Lecchi alla batteria. Il leader di questo quartetto ci ha raccontato come è nata e come si è evoluta nel tempo questa nuova avventura.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Il Disco si intitola Open ed è stato registrato il 4 ed il 5 gennaio 2022 al Bluescore studio di Milano. Il titolo ha un doppio significato; da un lato descrittivo delle musiche e del linguaggio adottato, dall'altro metaforico. Per quanto riguarda il lato descrittivo, le armonie delle parti improvvisate vengono alleggerite e “aperte” rispetto alle armonie utilizzate per i temi, questo per poter consentire una maggiore libertà interpretativa ai musicisti. Dal punto di vista metaforico, invece, la parola open esprime il desiderio di aprirsi al confronto con il prossimo, descrive con efficacia la necessità avvertita di espormi come musicista e compositore. L'album è composto da sei brani, cinque originali più una mia interpretazione del brano Like a queen, una canzone uscita nel 2021 del collettivo svedese Spring Gang. Il materiale utilizzato per la composizione dei brani è stato accumulato molto lentamente, le prime bozze risalgono a circa sei anni fa e sono maturate di pari passo al mio percorso di crescita musicale.

Parliamo adesso anche dell’aspetto compositivo dei brani. Ci vuoi raccontare che tipo di ricerca hai effettuato per portare alla luce questo album?

La ricerca melodica è probabilmente il principio più importante che mi ha guidato. Tutti i brani, tranne uno (Madalena), sono nati da un'idea melodica. Per prima cosa, infatti, ho scritto la melodia dei temi, libera da una forma predefinita.  In alcuni casi l'idea originaria si è riversata naturalmente in strutture più note come la forma canzone AABA (è il caso di Henry e Estremi rimedi); in altri casi, invece, è sfociata in strutture più elaborate e inedite (come Heimay e Nord/ovest). Le melodie dei temi sono state i primi mattoni di questo progetto, risalgono a circa sei anni fa e non hanno subito grosse modifiche nel corso del tempo. Successivamente all'elaborazione delle melodie ho pensato alle armonie, ai ritmi ed alle forme. Questi tre aspetti sono quelli che hanno subito continue modifiche, raffinandosi molto lentamente e maturando di pari passo al mio percorso di crescita musicale.

Il secondo elemento importante di questo progetto riguarda la ricerca del timbro sul sassofono contralto. L'album è registrato in quartetto, batteria, pianoforte e contrabbasso, una scelta che mi ha permesso di lasciare il giusto spazio al timbro del sax. Negli ultimi anni ho lavorato molto su questo aspetto, sia tecnicamente con esercizi e studi mirati, sia culturalmente, ascoltando molti sassofonisti. L'ultimo principio importante che ha guidato le mie scelte compositive è stato la necessità di creare degli spazi comodi per poter sviluppare delle improvvisazioni “aperte”.

Raccontaci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

3.00 a.m. è il nome che da circa 10 anni usavo ogni volta che mi capitava di suonare con un mio progetto, si può dire quindi che lo utilizzassi come una sorta di pseudonimo. Questo significa che nel corso degli anni sono stati diversi i musicisti che hanno fatto parte di 3.00 a.m. Quartet. La più grossa difficoltà che ho dovuto affrontare per poter concretizzare il lavoro è stata quella di trovare musicisti disposti ad investire tempo, energie, risorse e personale sensibilità nel progetto. Non è stato semplice ottenere tre artisti disposti ad impegnarsi nella realizzazione di un lavoro che avrebbe previsto una lunga preparazione.

Sono particolarmente grato ai tre musicisti che mi hanno accompagnato in questa impresa, Stefano Lecchi, Mirko Boles e Diego Albini, non solo per la fiducia accordatami, ma anche per il contributo significativo che hanno dato alla forma finale dei brani con la loro personale sensibilità musicale. Di fatto ora 3.00 a.m. Quartet non può che essere composto da questi musicisti, non è più un mio pseudonimo ma è diventato a tutti gli effetti un gruppo composto da: Federico De Zottis, Stefano Lecchi, Diego Albini e Mirko Boles

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Sinceramente fatico a rispondere. Da un certo punto di vista sicuramente questo disco è stato un punto di arrivo, come ho scritto nella precedente domanda il materiale è stato accumulato negli anni, quindi stavo solo attendendo l'occasione giusta per poterlo incidere.  Da un altro punto di vista invece potrebbe essere considerato un punto di partenza, il risultato ottenuto ha galvanizzato i componenti del quartetto e ci ha lasciato con il desiderio di promuovere e portare in giro questo lavoro

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

Il tipo di jazz che preferisco è quello della prima metà degli anni Sessanta. Dischi come Juju di Wayne Shorter; Miles Smile sempre di Shorter con Miles Davis, Page One di Joe Henderson; First meditation, A love Supreme e Crescent di Coltrane; oppure, ancora, Discovery! di Charles Lloyd, rappresentano il tipo di jazz che preferisco ascoltare. Il modo in cui questi grandi maestri hanno affrontato in quel periodo la composizione, e quindi anche l'improvvisazione, è stato, dal mio punto di vista, molto libero, ma al tempo stesso fortemente ragionato e razionale.

Molti dei temi presenti in quei dischi riescono ad essere fortemente melodici e cantabili, nonostante le scelte armoniche alle volte spigolose. Penso a brani come House of jade, o Yes or no di Juju, oppure Forest flower di Discovery!, penso a Jinrikisha di Page One o ancora Footprints in Miles Smile. Le armonie presenti in questi dischi non sono degli impervi percorsi ad ostacoli come quelle tipiche del periodo be-bop, ma piuttosto assomigliano a degli sconfinati campi aperti nei quali è possibile muoversi con maggiore libertà.

Con le dovute proporzioni, questo tipo di sensibilità è quella che ho cercato di riprodurre nel mio lavoro. Pensando, invece, al panorama contemporaneo, il sassofonista che maggiormente mi ha colpito, e che probabilmente ho tentato di emulare inconsciamente, è stato David Binney; inoltre, l'album che ha inciso nel 2017 The time verse ha probabilmente influenzato significativamente due delle mie composizioni (Henry e Madalena).

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Non ne ho la più pallida idea, per quanto l'entusiasmo per il progetto al momento sia alto se non si trovano occasioni per portare il progetto in giro a lungo andare l'entusiasmo cala. Ci impegneremo quanto più ci è possibile per promuovere il nostro lavoro con la speranza di ottenere una buona risposta

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Per il momento, oltre a presentare il disco nei principali locali jazz milanesi (garage moulinsky, bakelite, corte dei miracoli...)  abbiamo un paio di date fissate per l'autunno: una al festival Jazzmi di Milano ed una a Rovereto organizzata da Emilio Galante.

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