Jazz Agenda

Carlo Cammarella

Carlo Cammarella

Al Blue Monk parte la rassegna Jazz Evidence

I mesi di ottobre, novembre e dicembre si tingono di jazz al Blue Monk di via Mirri con la rassegna Jazz Evidence che vedrà salire su questo palcoscenico alcuni fra i musicisti più quotati a livello italiano ed internazionale. Primo appuntamento da non perdere con Alice Ricciardi il 13 ottobre per poi proseguire in quelli successivi con Roberto Gatto il 27 ottobre, Rosario Giuliani il 19 novembre e Bill Saxton il 1 dicembre. Quattro appuntamenti infrasettimanali da non perdere con musica di qualità e concerti di spessore. Di seguito la programmazione della rassegna.


MARTEDI' 13 OTTOBRE

Alice Ricciardi - voce

Gianluca Figliola - chitarra

Pietro Lussu - fender rhodes

Luca Fattorini - contrabbasso 

Marco Valeri - batteria

INGRESSO: Tessera ARCI + contributo Up to You 

 

MARTEDI' 27 OTTOBRE

Roberto Gatto - batteria 

Gianluca Figliola - chitarra

Domenico Sanna-fender rhodes

Matteo Bortone-contrabbasso

INGRESSO: Tessera ARCI + contributo Up to You 

 

GIOVEDI' 19 NOVEMBRE

Rosario Giuliani - sax

Gianluca Figliola - chitarra

Leo Corradi - organo hammond

Marco Valeri - batteria

INGRESSO: Tessera ARCI + contributo Up to You 

 

MARTEDI' 01 DICEMBRE

Bill Saxton - saxophone

Marco Di Gennaro - piano

Vincenzo Florio - double bass

feat. Gregory Hutchinson - drums

Info Utili da leggere attentamente

Durante gli appuntamenti Jazz Evidence sarà allestita HIGH LIFE
Mostra Fotografica sul Jazz, a cura di Annalisa Gonnella
http://www.annalisagonnella.com/sito/

TESSERAMENTO:
per partecipare alle attività è obbligatorio 
ESSERE TESSERATI ARCI 2015

Se NON SEI ANCORA TESSERATO e desideri diventare socio dell'Ass. di Promozione Sociale C'MON! 
è necessario prima leggere lo #Statuto e compilare la #REGISTRAZIONEONLINE [quì: http://www.monkroma.club/tesseramento/ ]
Una volta ricevuta la mail di #CONFERMA è possibile ritirare la Tessera all'ingresso del Monk, versando il contributo annuale.

NON E' QUINDI POSSIBILE TESSERARSI DIRETTAMENTE ALL'INGRESSO, SE NON SI E' EFFETTUATA LA REGISTRAZIONE ONLINE.


Monk // C'Mon! // Circolo Arci Roma
Via G. Mirri, 35 - Portonaccio - RM
staymonk


INFO:

http://www.monkroma.club/
06 6485 0987
INGRESSO con Tessera ARCI


Via Giuseppe Mirri, 35 

Ricomincio da Tre: la programmazione del mese di ottobre

Il mese di ottobre ricomincia in grande stile al Ricomincio da Tre di San Mariano con una programmazione ricca musicisti di grande livello. Ogni venerdì, infatti, il locale della provincia di Perugia ospiterà il meglio del jazz italiano con artisti d'eccezione. Si parte venerdì 9 ottobre con Lucrezio de Seta Quartet, per poi arrivare al concerto di Francesco Diodati Yellow Squeeds, per terminare con i live del trio capitanato da Francesco Arcelli e dal quartetto di Elias Setemseder. Ogni evento del venerdì verrà preceduto da una Jam Session che si terrà ogni giovedì. Di seguito la programmazione aggiornata del mese di ottobre e tutte le informazioni per raggiungere il locale.

 

RICOMINCIO DA TRE

VIA ALDO MORO 106 SAN MARIANO PERUGIA, 06073 Perugia

0755173601

 

Giovedì 8 ottobre

Jam Jazz

 

Venerdì 9 ottobre

Lucrezio de Seta Quartet

Lucrezio de Seta, batteria

Leonardo de Rose, contrabbasso

Andrea Rea, pianoforte

Vincenzo Presta, sax tenore

 

Giovedì 15 ottobre

Jam Jazz

 

Venerdì 16 ottobre

Freancesco Diodati Yellow Squeeds

Francesco Diodati, chitarra

Enrico Zanisi, pianoforte

Enrico Morello, batteria

Glauco Benedetti, basso tuba

Francesco Lento, tromba

 

Giovedì 22 ottobre

Jam Jazz

 

Venerdì 23 ottobre

Cristiano Arcelli Trio

Cristiano Arcelli, sax

Stefano Senni, contrabbasso

Bernardo Guerra, batteria

 

Giovedì 29 ottobre

Jam Jazz

 

Venerdì 30 ottobre

Elias Stemseder Quartet

Elias Stemseder, clarinetto - piano

Eldar Tsalikov - clarinetto - sax

Igor Spallati - basso

Ugo Alunni - batteria

 

 

 

 

Claudio Ottaviano racconta il suo disco Aurora: "La distensione, lo spazio, il gusto atmosferico sono le cose che cerco!"

La nascita di un disco per un artista è sempre un momento molto particolare. Ma nel caso di Claudio Ottaviano rappresenta un momento davvero particolare, addirittura unico e singolare. Il secondo progetto da leader del contrabbassista di origini siciliane, a cui hanno preso parte Tino Tracanna ai sassofoni, Antonio Zambrini al piano, Roberto Paglieri alla batteria, si intitola Aurora e va visto proprio in questa ottica. Il perché ce lo spiega in prima questo talentuoso musicista ormai trapiantato a Milano da diverso tempo.
 
"Il nuovo album "Aurora" - ci spiega Claudio - è il secondo album che registro da leader e arriva due anni dopo il mio primo disco "Notturno". Le 10 tracce del disco sono mie composizioni originali dai toni distesi e melodici, e sono state quasi tutte composte all’alba, appunto. Per qualche ragione mi ritrovo spesso in quell’orario seduto sul pianoforte, o perché toro a casa da qualche concerto o da qualche festa, oppure perché proprio mi sveglio con in testa una melodia proveniente dai sogni che poi sul piano prende corpo, scivolando nel reale. L’Aurora, quel momento delicato di passaggio luminoso dal nero al bianco (come i tasti del piano), in cui gli opposti si incontrano, mi affascina moltissimo e inoltre anche quella luce azzurra che spesso si crea e che fa l’effetto “blue room” ha per me qualcosa di paradisiaco, di sovrannaturale, che mi ispira terribilmente. Questo diciamo è il lavoro invisibile che ho svolto, di scelta del setting atmosferico. Poi sulla scena gli attori di questo album, oltre a me che accompagno al contrabbasso, sono Antonio Zambrini al pianoforte, Tino Tracanna ai sassofoni tenore e soprano e Roberto Paglieri alla batteria. Si tratta di tre artisti preziosissimi, di rilievo artistico internazionale, e ad essere sincero devo dire che il disco è riuscito soprattutto grazie alla loro performance eccezionalmente ispirata e di straordinaria concentrazione emotiva. Io mi sento più come il regista nascosto, mentre sulla scena sono loro a brillare di bellezza."
 
Ma cosa rappresenta questo disco per Claudio Ottaviano? Un punto di arrivo oppure un punto di partenza? A proposito il contrabbassista siciliano sembra avere le idee molto chiare
 
"La caratteristica della vita e dell’arte di oggi è la compressione: compressione in termini temporali, in termini tecnologici e in termini spirituali. Aurora probabilmente nasce dal mio bisogno di distensione e di comunicare in maniera sincera una vibrazione profonda, un colore. La distensione, lo spazio, il gusto atmosferico sono le cose che cerco. Tino, Roberto e Antonio hanno fatto in questo senso un lavoro meraviglioso: in tutto il disco non c’è alcuna traccia di narcisismo strumentale o di virtuosismi fini a se stessi; ogni nota da loro suonata è profondamente sentita e come scolpita nello spazio. Tutto è al servizio della musica e non dell’ego personale. Questa forse è la cosa che mi rende più orgoglioso di questo album. E dunque per rispondere alla tua domanda Aurora per me rappresenta l’integrazione armonica degli opposti e una nuova consapevolezza personale di far parte di un tutto."
 
Claudio ci racconta anche il suo percorso musicale che comes spesso accade comincia fin dalla tenera età...
 
"Il mio percorso musicale inizia col mio primo ricordo: un libricino per bambini con gli “asinelli suonatori”. Credo che tutta la mia vita si stia svolgendo a partire (e verso) quell’immagine. Inoltre parlando con tanti colleghi musicisti, ho notato che è cosa abbastanza comune l’esistenza di un’immagine nell’infanzia che diventa la chiave, che racchiude il simbolo di quello che succederà in futuro. Sono cresciuto poi con una mamma che mentre faceva i mestieri di casa ascoltava Ella, Miles o Bird e da subito ho amato quei suoni. Da bambino suonavo il piano, poi a 13 anni ho iniziato a suonare il basso elettrico e a 15 il contrabbasso. A 16 anni ho fatto il mio primo concerto con dei professionisti alle Scimmie di Milano e lì è incominciata la mia avventura. Poi ho viaggiato parecchio con la testa e anche fisicamente alla ricerca della musica. Ho collaborato con tantissime persone, si sa che il bassista è un po’ la escort della musica, ma da due anni sono innamorato e fedele ad una band che è diventata la mia famiglia: gli Sugarpie And The Candymen, progressive-swing band meravigliosa, con cui ho la fortuna di girare tutta Europa. Siamo da poco rientrati dall’Umbria Jazz, dove eravamo resident band, e il 12 luglio che era il mio compleanno (ne ho fatti 30), l’abbiamo festeggiato sul palco di fronte a decine di migliaia di persone accompagnando il grandissimo Renzo Arbore, e poi per un brano si è unito anche il grande pianista Stefano Bollani. Credo che per tutta la vita mi ricorderò il giorno in cui ho fatto 30 anni!"
 
Carlo Cammarella

Cecilia Sanchietti racconta Circle Time: “Un viaggio tra stili che tocca e trascende il jazz”

Si intitola Circle Time ed è l’ultimo disco che porta la firma di Cecilia Sanchietti pubblicato da Alfa Music. Completano la formazione Gaia Possenti al pianoforte, Davide Grottelli sassofoni, Stefano Napoli contrabbasso e lo special guest David Boato tromba e flicorno. Un progetto che rappresenta un vero e proprio viaggio nel presente, che prende spunto da diverse culture e dove non mancano le contaminazione stilistiche.

Circle Time – ci spiega Cecilia Sanchietti - è un progetto di musica jazz originale ricco di contaminazioni etniche/afro/popolari, ma anche interazioni con altri stili e modi di conduzione vicini all’even 8th, al pop e al funk. Brani ritmici e più articolati lasciano il posto ad altri più morbidi e pieni di colori e atmosfere. Il concetto di fondo è proprio quello dell’interazione e di un viaggio tra stili che tocchi e al tempo stesso trascenda il jazz e le sue contaminazioni, senza mai identificarsi in maniera definitiva con nessuna di esse. Da qui il termine stesso “Circle Time” che significa letteralmente “tempo del cerchio” e deriva dalla psicologia umanistica. E’ una metodologia  per condurre discussioni di gruppo in modo interattivo e paritario. I partecipanti si dispongono in cerchio e il setting diventa uno spazio di scoperta, di confronto e costruzione, libero dall’idea del giudizio e dell’errore. Questo disco è quindi “Circle Time” non solo perché riproduce lo stesso setting in quanto attraverso l’interplay e l’improvvisazione jazzistica il gruppo propone, stimola e contiene l’espressione di ciascun artista, ma anche perché il risultato è un percorso e un continuo richiamo e scambio tra stili. Il disco, uscito lo scorso marzo e presentato presso il “Ventotto di Vino Jazz Club” e  “Il Cantiere “ di Roma con l’etichetta Alfa Music, propone brani composti prevalentemente da me e Federica Zammarchi. Vede inoltre la partecipazione come autori di Davide Grottelli e Stefano Scatozza, mio direttore all’interno dell’Orchestra del 41esimo Parallelo.”

Dietro ogni disco c’è sempre un pensiero. E così anche dietro Circle Time si nasconde un’idea, un viaggio che a quanto pare Cecilia ha compiuto nel presente tra musiche, tradizioni e culture differenti. A proposito la batterista romana ci spiega che:

Il principale motivo del disco era il desiderio di fare una fotografia del presente, del mio importante momento storico, musicale ma anche personale, che paradossalmente rappresenta più un inizio, un punto da cui cominciare, che non un punto di arrivo. Voleva essere un modo per fermare un progetto che ho reputato di qualità, pieno di ottima musica, ottimi musicisti e un bellissimo suono, cercando di dargli un senso che non fosse solo esecutivo, ma anche culturale e sociale. Volevo fare un disco che fosse non solo per me, ma anche e sopratutto per la gente, pieno di proposte accessibili  a tutti, anche ai non esperti di musica jazz, piacevole, passionale. Tra le altre cose, vedendolo a ritroso, credo di aver voluto anche dar voce, involontariamente, a ciò che mi ha condotto qui oggi senza esserne consapevole, alle tante esperienze umane del mio passato non musicale, ma di educatrice e volontaria. Grazie a queste esperienze e alle storie che ho avuto il privilegio di conoscere, avevo tanto di cui parlare in questo disco. Bosnia, Kossovo, Senegal, Chiapas, Repubblica Democratica del Congo, Rwanda e alcuni tra i territori più periferici dell’Italia, sono tutti in questo disco e tra le mie dediche. Il disco vuole essere quindi un progetto di qualità pieno di bella musica che recupera il senso sociale della stessa. Come scrive Dario Zigiotto nelle note di copertina, l’album è “una splendida intuizione progettuale e artistica, perché dietro c’è un’idea e, cosa ancor più importante, un sentimento aperto: un’espressione di umanità dove la libertà del jazz attrae i legami sociali e accoglie le diverse identità”.

Come spesso accade, però, il percorso musicale di un musicista è denso di ostacoli. Anche per Cecilia Sanchietti compiere questo cammino non è stato facile, ma forse più alte sono le difficoltà, maggiore è la soddisfazionefinale  . A proposito prosegue dicendo che:

Ho iniziato a studiare la batteria all’età di 18 anni, non piccolissima, dopo aver studiato per 5 anni pianoforte. Per me non è stato facile, quando ero adolescente non era così “scontato” e favorito dalla famiglia e dal contesto sociale il fatto di voler fare il musicista e in particolare batterista. Nel tempo mi sono sentita sempre più appoggiata, ma è stato un lungo processo e devo molto ai miei principali maestri, che mi hanno supportato umanamente e musicalmente, primi tra tutti Mimmo Antonini e il mio Maestro, Emanuele Smimmo. Gli ultimi anni ho studiato jazz con Fabrizio Sferra, da cui ho appreso cosa voglia dire essere un batterista musicista e da cui, come spero di aver saputo esprimere sul disco, ho capito il senso del “comporre” melodie anche con uno strumento ritmico come il nostro. Ho frequentato i principali seminari in ambito jazz, dalle Clinics della Berklee a Perugia, al Tuscia in Jazz, con Ron Savage e Francisco Mela e seguito lezioni di percussioni con Massimo Carrano alla Percento Musica. Nel 2009 ho ricevuto l’attestato “Outstanding musician-ship” dai docenti della Berklee.”

E per quanto riguarda il percorso professionale invece? 

“Il mio percorso professionale - conclude Cecilia - si è sviluppato nel corso degli anni passando dal pop, al funk, per approdare al jazz e in particolare alla musica etnica e al cantautorato circa una decina di anni fa. Non sono una jazzista purista, anzi, per me il jazz è stata una piacevole scoperta, da un punto di vista professionale, intorno al 2007. Devo molto a Giorgio Cuscito, sassofonista e pianista jazz, che mi ha introdotto in questo mondo da cui non ne sono più uscita. Il jazz per me ha coinciso con il passaggio alla professionalità, ho iniziato con lo swing e il jazz tradizionale, per arrivare poi a “scoprire” la musica etnica e le sue contaminazioni, le modalità di conduzione afro e popolari, di cui mi sono innamorata e infine l’even 8th. Solo ora, dove aver suonato svariati stili, mi accorgo di quanto per me questo sia stato importante e non, come spesso si può credere, un deterrente per suonare jazz.”

Carlo Cammarella 

 

 

 

Mike Stern Band di scena all’Auditorium

E’ un musicista che oggi viene considerato da tutti come un’icona della chitarra, un maestro senza eguali che fa parte a pieno titolo della storia della musica, un artista fra i più apprezzati dal pubblico e dai critici. Parliamo di Mike Stern, uno dei chitarristi più amati nel mondo, che martedì 18 maggio farà visita all’Auditorium insieme alla sua band composta da Bob Malach al sax, Dave Weckl alla batteria e, special guest della serata, Richard Bona al basso elettrico e voce. E dire che la carriera di Mike Stern non comincia proprio sotto la stella del jazz, ma sotto l’influenza del blues e del rock’nroll di Eric Clapton e Jimi Hendrix. Tuttavia la sua vera formazione avviene negli anni ’70, quando frequenta il Berklee College of Music. Ed è questo il periodo in cui il giovane ragazzo di Boston inizia a consolidare quello stile che lo porterà a compiere diverse collaborazioni con musicisti di fama internazionale (fra i più importanti ricordiamo Miles Davis, Jacopo Pastorius, ilvibrafonista Mike Mainieri e il sassofonista Michael Brecker). Il suo album di debutto è “Upside Downside” (1986) al quale partecipano Sansborn, Pastorius e il batterista Dave Weckl, ma la sua vera consacrazione avviene con l’album “Play” del 1999 e con Voices del 2001. E quella di martedì sarà per gli amanti della chitarra e del jazz una serata da non perdere.

Francesca Trissati Quartet all’Alexanderplatz

Sarà una serata all’insegna dello standard jazz, quella che si terrà domenica 16 maggio presso l’Alexanderplatz, . Francesca Trissati, leader dell’omonimo quartetto, proporrà una rivisitazione in chiave moderna dei grandi classici della tradizione e alcuni brani inediti del suo repertorio. Cresciuta con la musica nel sangue, la giovane cantante comincia a cantare fin dall’età di 10 anni e si avvicina al jazz ispirandosi alle grandi interpreti del passato come la grandissima Ella Fitzgerald.  Conosce molto bene gli standard e allo stesso tempo ama i grandi musicisti italiani come Rea, Trovesi, Coscia, Gatto, Zanchini eccetera. Una musicista versatile, dunque. E il quartetto che domenica sera riscalderà il palco dell’Alexanderplatz possiede proprio questa caratteristica, la capacità di spaziare tra ritmiche eterogenee come lo spirituals, l’Hard-Bop e il Funky, unita ad un sound pulito ed avvolgente.

Live Report: I G Unity in concerto al Beba do Samba

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Dopo il successo del concerto di Caterina Palazzi al teatro Lo Spazio, la rassegna Spazio Jazz si è spostata lo scorso giovedì presso il Beba do Samba, storico locale di San Lorenzo ove è sempre di scena la musica live. Dunque, una nuova sfida ed una nuova casa, che ci ha dimostrato la sua calorosa accoglienza già a partire da questo primo appuntamento. E in questa splendida serata che ha visto protagonista la musica di Django Reinhardt, sono saliti su questo palcoscenico i G-Unity, un trio composto da tre giovanissimi, nato dalle ceneri dei Gipsy Italien. Gabriele Giovannini e Giuseppe Civiletti, membri storici del trio, hanno già all’attivo un disco con la precedente formazione dall’omonimo nome, mentre un nuovo progetto è in cantiere assieme a Daniele Gai. Gabriele Giovannini ci ha raccontato la genesi di questo nuovo progetto.

Ragazzi, per cominciare raccontateci la genesi di questo progetto. Come sono nati i G-Unity?

Il progetto nasce dalle ceneri di una nostra vecchia formazione, i Gipsy Italien, con cui io e Giuseppe abbiamo anche fatto un disco dal titolo omonimo. Purtroppo le cose non sono andate bene e così eccoci qui. Abbiamo reclutato un ottimo Daniele Gai alla chitarra per poter continuare un discorso e un progetto musicale che ci sta particolarmente a cuore.

Tutti e tre condividete la passione per il Manouche e soprattutto per Django Reinhardt. Cosa vi ha portato ad amare questo genere e soprattutto  questo artista così geniale?

“Hai detto bene, Django era un genio. E il Manouche altro non è che la musica di Django, quindi il Gypsy Jazz è Django e amare il Gypsy Jazz significa amare Django. Grande Musica, dalla tradizione vastissima, come vastissima è la produzione artistica di Django; dalle musette, allo swing, alle melodie tzigane. Una musica ricca di vita, di sfumature e colori che ha un lato romantico molto malinconico e un altro più aggressivo, un altro ancora più evocativo e sognante; il tutto condito dalla travolgente vitalità tipica del mondo gitano. E’ un genere affascinante, soprattutto per i chitarristi, essendo musica che nasce appunto dalla chitarra (di Django) e incentrata su questo strumento. Quindi, nel mio caso, essendo chitarrista, amando la chitarra e la grande musica in generale, il Gypsy Jazz è una conseguenza naturale.”

E parlando in senso più generale cosa vi ha affascinato di più del mondo gitano e di questa cultura che in musica si traduce spesso in ritmi serrati e travolgenti?

“L’umanità, la gioia, la condivisione, la famiglia. Una grande tradizione tramandata di padre in figlio, di famiglia in famiglia. Uno stile di vita, cui solo i gitani potevano dar vita. Il loro modo di vivere, di affrontare la vita ed il mondo sono perfettamente rappresentati dalla loro musica. Una musica e una cultura meravigliose, estremamente umane.”

 

Nel corso della serata che abbiamo avuto il piacere di vedere giovedì scorso al Beba Do Samba abbiamo visto un repertorio che spaziava da brani della tradizione Manouche ad altre musiche riadattate in chiave gipsy. Insomma, vi piace anche mescolare le carte in tavola?

“Si abbiamo eseguito brani di Django, della tradizione gitana e anche qualche brano appartenente al repertorio jazzistico. Django era solito suonare su standard americani, e ne ha anche registrati molti negli studi della Rai a Roma nel 1949 e 1950 con batteria, contrabbasso e piano e con solo musicisti italiani. Per quanto ci riguarda tendiamo a proporre dal vivo i brani che più ci piacciono, indipendentemente dal genere musicale, adattandoli al nostro modo di concepire musica per trio acustico.”

Il genere Manouche è anche un genere molto virtuoso che richiede un grande studio alle spalle. Ci volete raccontare anche quanto lavoro c’è dietro alle performance che noi vediamo dal vivo?

“Al di là dello studio e del lavoro individuale sullo strumento, il lavoro di gruppo è incentrato sull’arrangiamento. Ci piace molto suonare e soprattutto suonare insieme, scegliere il repertorio più variegato possibile per evocare sensazioni ed atmosfere diversi, seguendo sempre ciò che più ci rende felici e soddisfatti. Per quanto riguarda la musica live l’impatto col pubblico ci obbliga a tenere la mente aperta lasciando sempre un margine di adattamento della scaletta in base alle emozioni che percepiamo dalla gente.” 

Da quello che abbiamo saputo il vostro è anche un progetto a cui spesso prendono parte altri musicisti. Ci volete parlare delle vostre collaborazioni?

“Nostro ospite consueto è Juan Carlos Albelo Zamora, dotatissimo violinista, che dà un grande supporto musicale e scenico alle nostre performance. Lui ha molta personalità e una grande musicalità e ci offre ancora più soluzioni musicali. Suonare con lui è sempre un piacere. E’ ricco di idee ed ha un approccio alla musica che a noi, e non solo, piace moltissimo.”

Visto che siete giovani e vi date anche molto da fare una domanda d’obbligo. Che cosa ne pensate dell’attuale condizione musicale italiana? E soprattutto che spazio c’è per un genere come il Manouche?

“He he he belle domande. Parlare della condizione della musica italiana in generale è un argomento troppo grande per essere trattato, comunque credo che in Italia ci siano molti musicisti bravissimi e ricchi di talento. Per quanto riguarda il Manouche è e resterà un genere di nicchia, poco ricercato, forse sottovalutato. Di spazio ovviamente ce n’è per tutti e per tutto, non credo esistano limiti.”

E per i prossimi progetti che cosa avete in mente?

“Guarda, il 20 Aprile saremo a L’Archivio 14 a via Lariana a Roma con Juan Carlos ed anche il 2 Maggio al Gregory’s Jazz club. Per l’estate stiamo organizzando alcuni concerti al quale sarai ovviamente invitato e a brevissimo entreremo in studio per registrare il nostro primo disco che sarà ricco di collaborazioni e che spero riusciremo a terminare entro la fine anno. Appena pronto ne riceverai una copia, stai pronto!”

E allora grazie mille. Aspetto con ansia! Grazie e in bocca al lupo per il futuro!

“Grazie a te Carlo ea a tutti i lettori di JazzAgenda!”

Carlo Cammarella

Foto di Valentino Lulli

Live report: Nicky Nicolai e Stefano di Battista Jazz Ensemble aprono Parioli in Musica

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Non poteva che cominciare nel migliore dei modi il Festival “Note di Lunedì Parioli in Musica” che lo scorso lunedì ha preso vita al teatro Parioli Peppino de Filippo. Una storica location da tempo consacrata alla televisione che torna a dare spazio alla cultura e soprattutto, per quello che ci riguarda, al grande Jazz. A calcare il palcoscenico in questa splendida serata, che ci ha regalato due ore di spensieratezza in un grigio lunedì di pioggia, ci sono stati due ospiti di eccezione: la vocalist Nicky Nicolai e Stefano di Battista con il suo jazz ensemble. Il concerto comincia con un momento molto intino scandito dalle note di un pianoforte e soprattutto dalla voce profonda di Antonella Lupi, giovane cantante apparsa anche a Sanremo, che per qualche minuto riesce ad incantare una platea gremita ed un teatro che sebbene sia lunedì è già tutto pieno.Poi la parola passa ai protagonisti veri e propri e soprattutto alla voce di Nicki Nicolai e al sassofono di Stefano di Battista. Si comincia con un brano tratto dall’ultimo album della cantante: “Più Sole”, una melodia allegra, spensierata che per uno strano caso del destino, visto che fuori pioveva veramente tanto, ci fa sorridere un po’ facendoci dimenticare il maltempo. 

Si passa poi ad un’atmosfera più intima per poi raggiungere i ritmi incalzanti del brano “Dall’Inizio dei Finali”, forse il migliore di tutta la serata, che ci fa respirare il clima tipico delle big band. Un ritmo incalzante e un groove deciso ci trasportano a suon di note dall’altra parte dell’oceano, magari un’altra epoca o in un’altra città. C’è anche il tempo per un’ospite d’eccezione, Eddy Palermo che salito sul palcoscenico ci offre un altro momento di intimità, accompagnando la voce, in questo caso soffice, di Nicky Nicolai con il brano “E se domani”. E non poteva mancare in una serata come questa un omaggio al grandissimo Lucio Dalla, scomparso da pochi giorni, con il brano che forse rappresenta maggiormente l’universo disegnato dal cantautore. Con le note di Piazza Grande, infatti, Nicky Nicolai canta accompagnata dal pubblico ricordando un amico, un musicista, un genio. Insomma, una serata divisa in vari momenti dove gli unici fili conduttori sono la voce di Nicky Nicolai, sempre grintosa e piena d’energia, e soprattutto il sassofono di uno strepitoso Stefano di Battista che durante questo lunedì di pioggia ci hanno regalato un concerto dedicato al grande jazz, ma anche alla musica d’autore. Decisamente un buon inizio per una rassegna appena nata che ha dalla sua parte un cartellone ricco di musicisti e soprattutto ricco di jazz.

Carlo Cammarella

Foto di Paolo Soriani

Live Report: Daniele Cordisco Organ Trio al Teatro Lo Spazio

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Il terzo appuntamento al teatro lo Spazio con la rassegna musicale Spazio Jazz (domenica 6 novembre) ha visto salire su questo nuovo palcoscenico dedicato al Jazz capitolino, l’Organ Trio del chitarrista Daniele Cordisco, formazione assai giovane completata dall’organo di Andrea Rea e dalla batteria di Giovanni Campanella che ci ha coinvolto fin dal primo minuto con tutta la freschezza e la voglia di suonare tipica dei gruppi che si stanno affermando nel panorama musicale italiano. Tanti gli ospiti che si sono alternati sul palcoscenico e che hanno dato vita ad una jam session ricca di colpi di scena e piena di entusiasmo. E in un periodo certamente non florido per la musica dal vivo, in cui molti locali hanno chiuso i battenti o si trovano in difficoltà, è sicuramente bello per noi constatare che la voglia di suonare è sempre tanta e che ad alimentarla ci sono i musicisti attivi da molto tempo, ma anche le giovani promesse che armate di passione ed entusiasmo hanno voglia di dire la loro. Ora, come alcuni di voi sapranno, Spazio Jazz è una rassegna nata in collaborazione con Blue Taste e Muzak Off, alla quale partecipiamo attivamente; motivo per cui ci teniamo particolarmente a raccontarvela (almeno in parte) visto che ad alternarsi sul palco ci sono stati anche alcuni dei musicisti più in vista del panorama capitolino e nazionale.

E veniamo allora alla serata vera e propria. Il concerto è cominciato sotto le note dell’Organ Trio capitanato dal giovane e talentuoso Daniele Cordisco, una formazione giovane che già dimostra una maturità artistica fuori dal comune, grazie ad un’empatia e ad un interplay solido e raffinato. La chitarra di Daniele è vivace, a volte si infiamma dando prova di un fraseggio dinamico ed energico, altre volte armonizza incastrandosi perfettamente con l’organo di Andrea Rea. Ed è forse questa la capacità che ci ha colpito di più di questo giovane musicista; una versatilità ed una scioltezza che non lo trascinano mai verso l’eccesso e che lo mettono in condizione di dialogare perfettamente con il resto della formazione. Dal canto suo, Giovanni Campanella dimostra una solidità che forse troviamo solo in pochi musicisti ed un tocco raffinato ed elegante che non va mai va a coprire il resto della formazione, legandovisi perfettamente. Ma se questa prima parte della serata ci ha lasciato davvero delle forti emozioni (nonostante il pubblico sia stato troppo ristretto) ad una certa ora della notte hanno cominciato a fare capolino dall’ingresso del teatro tanti altri ospiti che a mano a mano si sono alternati su questo palcoscenico. Fra questi vi possiamo segnalare Giorgio Cuscito, Antonella Aprea, Roberto Pistolesi, Cristina Ravot e anche il papà di Daniele, Nicola Cordisco.

Ora, descrivere un momento del genere, in cui alcuni musicisti di indubbia fama salgono su un palcoscenico soltanto per la pura e semplice “voglia di suonare”, è qualcosa di veramente speciale. E non lo diciamo soltanto perché in questa serata eravamo impegnati in prima persona, ma soprattutto perché lo spettacolo si è rivelato dinamico, coinvolgente e caratterizzato da diverse sfaccettature, a seconda dei musicisti che in quel dato momento si trovavano su palco. Dalle frizzanti note fuoriuscite dal sassofono di Giorgio Cuscito, alla calda voce di Cristina Ravot, che con la sua Bossa Nova ci trasporta in Brasile per qualche minuto, fino al momento in cui papà e figlio “Cordisco” suonano insieme regalandoci un momento di intimità familiare che si espresso dalle note di due chitarre superlative. Due stili completamente diversi, la vivacità del giovane che si mescola con la conoscenza di chi è più maturo, per un momento che i pochi presenti hanno apprezzato moltissimo. E che dire di più? Chi ama il jazz saprà bene che descrivere a parole situazioni del genere è compito arduo e difficile, specie perché di momenti ce ne sono stati veramente tanti, ognuno con la sua vivacità e con la sua particolarità. Dispiace solo che una serata del genere meritava sicuramente un teatro pieno, ma forse la pioggia e il timore di un’alluvione (viste la immagini in televisione) hanno fermato anche i più temerari. Certo è che i pochi eletti che quella sera si sono trovati al Teatro Lo Spazio avranno avuto la possibilità di vedere uno spettacolo che ricorderanno per un bel po’. Almeno fino alla prossima jam, dove vedranno tanti altri musicisti suonare solo e unicamente per la gioia di farlo!

Carlo Cammarella

Foto di Valentino Lulli

CASA DEL JAZZ LIVE DIARY : Le Orme e il Banco del Mutuo Soccorso chiudono Progressivamente

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Non c’è discussione sul fatto che i primi anni ’70 siano stati i più prolifici per il rock progressivo italiano, anni in cui le più importanti formazioni di questo genere producevano i migliori dischi e i migliori concerti. E le persone che spesso ci hanno raccontato di quel periodo, ce l’hanno definito come magico e irripetibile, come un qualcosa che si respirava nell’aria e che forse non sarebbe tornato più. Certo, se ci pensiamo un po’ su, la prima cosa che potremmo rispondere è che probabilmente hanno anche ragione, ma pensandoci meglio, potremmo anche contestare dicendo che domenica 11 settembre alla Casa del Jazz (nell’ambito del Festival Progressivamente), a vedere Le Orme e il Banco del Mutuo Soccorso, c’erano quasi tre mila persone. E non parliamo soltanto di nostalgici amanti della musica degli anni ’70, ma di un pubblico che forse rappresenta tutte le generazioni e che semplicemente ama la buona musica. Quindi, cerchiamo di proiettarci per un attimo in quella serata e per capire meglio l’atmosfera diciamo subito che ben prima dell’inizio del concerto non era rimasta l’ombra di un posto a sedere. Gente seduta per terra, in piedi, vicina al mixer e ai lati del palcoscenico per un concerto davvero indimenticabile che ci ha fatto sentire come dei privilegiati baciati da una buona stella, magari da “La croce del sud”, giusto per fare una citazione ad hoc. Ma lasciamo stare le parole rubate a persone che sicuramente hanno più inventiva di noi e cerchiamo di tuffarci nell’atmosfera di questa splendida serata.

I primi a salire su questo palcoscenico e ad incantare un pubblico più che mai ansioso di ascoltare sono Le Orme. Certo, è probabile che tutti gli amanti del progressive siano a conoscenza della separazione avvenuta fra gli ultimi due membri della storica line up, ovvero il batterista Michi Dei Rossi e il vocalistAldo Taglialapietra, ma questo non vuol dire che il gruppo abbia perso la voglia e l’inventiva per stupire e per stupirsi. E quindi, se pensiamo che adesso alla voce c’è Jimmy Spitaleri, fondatore dei Metamorfosi, allora possiamo proprio dire che sebbene le cose cambino, come a volte è anche giusto che sia, la buona musica rimane sempre tale e riesce sempre ad emozionare. E poi la presenza scenica non è da sottovalutare per niente. Spitaleri si presenta con una chioma lunga e folta e con tutta l’energia necessaria per affrontare una serata del genere.

 

Fin dall’inizio, infatti, da quando Le Orme cominciano a suonare, riescono a creare atmosfere surreali, a trascinarti in quell’arte della sperimentazione che soltanto pochi musicisti riescono a fare così bene. La prima parte è dedicata tutta all’ultimo lavoro d studio, La via della Seta. Testi che parlano di viaggi, sia terreni che mentali, musiche che hanno il potere di farti abbandonare la realtà per permetterti di tuffarti in un universo parallelo fatto di suoni, colori, ma anche di arte e poesia. Due viaggi, uno compiuto attraverso il suono degli strumenti, l’altro attraverso la narrazione e la conoscenza. C’è anche il tempo per fare un tuffo nel passato con il disco Felona e Sorona, suonato al momento della chiusura, e per ascoltare quella musica corale, sinfonica, monumentale che da sempre è stata, secondo noi, la principale caratteristica di questa formazione. E il concerto in questo modo acquista diverse sfaccettature, diversi momenti che lo rendono unico e irripetibile fino all’ultima chiusura della batteria di Michi Dei Rossi, sempre impeccabile, come del resto tutti gli altri membri delle Orme.

Ora, solitamente dopo che termina il primo concerto bisogna aspettare un po’ di tempo perché cominci il secondo. In generale passano una ventina di minuti, ma questa volta, forse perché la voglia di suonare era davvero tanta, non ne sono passati neanche cinque. Il Banco del Mutuo soccorso, infatti, sale sul palcoscenico della Casa del Jazz dopo un brevissimo tempo di intervallo e comincia a suonare con tutta l’energia che tutti gli amanti di questa band si aspettano di percepire. Francesco di Giacomo, voce della band, a 60 anni suonati ha ancora energia da vendere e Vittorio Nocenzi piuttosto che suonare vola sulla tastiera. Ma la cosa bella, che viene spesso sottolineata da più membri della band, è che la musica è condivisione. Senza il pubblico non ci sarebbe la stessa alchimia e quindi niente di tutto quello che abbiamo visto e sentito sarebbe possibile. Sono parole che ci fanno capire la passione che c’è dietro ogni singola nota suonata o pizzicata su ogni strumento. Energia pura, energia positiva, energia che ci fa viaggiare nello spazio e nel tempo e che allo stesso tempo riesce a metterti nelle migliori condizioni possibili.

 

Francesco di Giacomo ha ancora una voce capace di emettere suoni irripetibili e di alternare ad essi momenti di recitazione pura, come se il concerto fosse un’opera d’arte in continuo movimento. E sebbene ci sia un momento in cui ogni singolo elemento riesca ad emergere, la cosa più bella rimane sempre quella musica d’insieme che durante questa serata indimenticabile è riuscita ad ipnotizzare il pubblico per oltre un’ora e mezzo. Il concerto, quindi, scorre veloce e nella sua complessità risulta, leggero, coinvolgente quasi inafferrabile. Con il Banco tutto diventa semplice, si crea un legame fra pubblico e palco, i ritmi incalzanti e la potenza che viene sprigionata dalla formazione coinvolge tutti, anche quelli che magari si trovavano lì per caso ignari di quello che avrebbero ascoltato. E la cosa che ci ha davvero colpito è l’umiltà, la semplicità, la spensieratezza con cui la serata viene affrontata, come se questi illustri signori con alle spalle 40 anni di rock progressivo si fossero fermati davanti allo scorrere del tempo per regalarci attimi di estasi per i nostri timpani.

E come grande conclusione di questa serata, che sicuramente ricorderemo per un bel po’ di tempo, salgono sul palco insieme al Banco le Orme. E immaginatevi cosa può succedere in un concerto con due formazioni del genere che suonano insieme canzoni capolavoro come Non mi rompete. E’ qualcosa che ci viene veramente difficile da spiegare senza l’ausilio di quei musicisti che per 20 minuti ci hanno fatto viaggiare con ritmi e melodie che non si possono definire coinvolgenti perché altrimenti sarebbe troppo riduttivo. Insomma, quella di domenica è stata la conclusione in grande stile di un festival (Progressivamente) che per una settimana ci ha davvero tenuto compagnia con alcuni dei migliori musicisti della scena di ieri, di oggi e chissà… Forse anche di domani.

Carlo Cammarella

foto di Valentino Lulli

 

 

 

 

 

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