Domenico Sanna Trio – Too Marvelous Words – una recensione In evidenza
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Uno dei più talentuosi pianisti jazz emerso negli ultimi tempi è il giovane Domenico Sanna. Il suo primo disco è “Too marvelous for words”, pubblicato dalla nuova casa discografica Tosky Records. Si tratta del disco con cui questa etichetta ha esordito sul mercato, e non avrebbe potuto fare scelta migliore: la Tosky Records, infatti, si propone di valorizzare i talenti musicali attraverso quattro diverse linee editoriali (jazz, pop-rock, musica per cinema e tv, context). Pianista giovane, dicevamo, ma già di solida esperienza, Domenico Sanna a soli 20 anni si esibisce nel locale Blue Note di Milano in qualità di ospite del Fabio Mariani Group. Studia pianoforte con musicisti di fama, sia italiani che stranieri: Greg Burke, Pino Iodice, Andrea Beneventano, Kenny Barron, Gorge Cables, Salvatore Bonafede e molti altri e nel 2007 si diploma a pieni voti presso l’Università della Musica.Vince, quindi, vari premi, tra i quali il Luca Flores 2009 e collabora con noti jazzisti: Stefano Di Battista, Giorgio Rosciglione, Flavio Boltro, Roberto Gatto, solo per citare alcuni nomi. Finalmente lo scorso anno approda all’incisione del primo disco a suo nome, appunto “Too marvelous for words”. Si tratta di un album estremamente elegante, raffinato, che vede la collaborazione fondamentale di due maestri dei rispettivi strumenti: Giorgio Rosciglione al contrabbasso e Marco Valeri alla batteria.
Proprio la scelta di avvalersi di musicisti appartenenti a generazioni tanto diverse (Rosciglione un punto di riferimento per il jazz italiano sin dagli anni ‘60; Valeri ormai una certezza della nuova generazione di batteristi e con un curriculum già ricco di prestigiose collaborazioni) fornisce la cifra stilistica dell’album, per il quale non è fuori luogo il termine “vintage”. In esso, infatti, si respirano atmosfere musicali retrò coniugate alla moderna sensibilità di Sanna, che pur ispirandosi evidentemente a pianisti noti come Ahmad Jamal e George Shearing, se ne distacca attraverso il suo talento, la sua personale esperienza e sensibilità. Nel disco si alternano riletture di noti standards (vale la pena ricordare almeno “Promenade” di Gershwin ) ed interessanti brani originali: in entrambi i casi ciò che risalta è un notevole affiatamento tra i musicisti, che si esprime nell’equilibrio delle melodie, nelle sonorità morbide, avvolgenti e negli arrangiamenti estremamente curati. D’altronde non è un caso che un pianista di fama e di consolidata esperienza come Dado Moroni sia rimasto profondamente colpito dall’ascolto di “Too marvelous for words”, al punto da esserne commosso: “La musica che stava uscendo dai miei speakers (…) raccontava storie antiche, ma usando un linguaggio nuovo e l’unico modo in cui potevo descriverla stava nell’immagine che un grande pianista americano, sul finire degli anni ’50, quindi nel pieno boom della fantascienza, avesse trovato il modo di viaggiare nel futuro (…) e poi fosse tornato nel passato e avesse inciso un lavoro che raccontasse le sue avventure impossibili (…)”. Insomma, un disco forse inusuale nell’attuale panorama jazz, ma che conquista per la sua elegante e riuscitissima miscela di sapori antichi ed umori moderni.
Marianna Giordano
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