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Il Tango da Napoli a Buenos Aires – una recensione

Quando uno pensa a Napoli e a Buenos Aires gli vengono in mente un sacco di cose che le due città hanno in comune. Che ne so, i quartieri in faccia al mare. E che quartieri. A Napoli ad esempio alcuni si chiamano ‘spagnoli’, a indicare una storia, una direzione (la direttrice est-ovest), una sottomissione. Sono strade strettissime, vicoletti, piene di minuscole costruzioni una sopra l’altra, che sembrano quasi toccarsi. A Buenos Aires si chiama ‘Villa 31′, ed è una baraccopoli pazzesca, a ridosso del porto. Come a Napoli, sotto le baracche e sopra i grattacieli di una capitale moderna. Questa roba qua, che ci crediate o no, suona. Suonano le contraddizioni e le tradizioni, e suona il mare, come a Napoli, mare verdastro, da cui arrivano influenze da mezzo mondo, attraverso le navi cargo, attraverso i marinai scavati dentro e fuori.

C’è qualcuno che è riuscito a mettere questi suoni dentro un disco. Giuliana Soscia, fisarmonicista, pianista, compositrice, studiosa attenta della musica popolare italiana e internazionale, insieme a Pino Jodice, pianista, compositore e arrangiatore, una delle figure chiave del jazz italiano. Queste due personalità si sono fuse insieme in un progetto che si chiama ‘Italian Tango Quartet’ e che comprende Aldo Vigorito al contrabbasso – che si alterna con Francesco Angiuli, ed Emanuele Smimmo alla batteria.

 
L’Italian Tango Quartet  suona jazz, prima di tutto. Certo, suona anche il tango, suona anche la musica napoletana, e suona anche le città e i loro quartieri e il loro mare, ma questo è un disco di jazz prima di ogni altra cosa, poiché improvvisamente molla gli ormeggi comodi delle strutture armoniche per prendere il volo e portarti in territori sconosciuti, pieni di sorprese ad ogni quarto, a ogni ottavo terzinato, fino a farti sbattere improvvisamente contro un muro di note. E’ la città che suona, la senti.

Soscia e Jodice hanno preso le composizioni di Roberto de Simone, quelle di Astor Piazzolla, quelle antiche di Bovio e Cannio (la Serenata di Pullecenella è di incerta datazione, comunque tra il 1912 e 1916) e le hanno aperte, sezionate, ci hanno scavato dentro, infarcendole di soli melodici ma anche spesso e volentieri completamente liberi, ai limiti del percorso free tracciato a suo tempo da Coleman, e tutto questo per parlarci di gente in movimento, movimento ritmico e movimento di migrazione, movimento di masse di uomini alla ricerca di un posto dove stare, di una città accogliente e tra le città più accoglienti al mondo non possono non esserci Napoli e Buenos Aires. Un disco consigliatissimo, impreziosito da uno scritto del caro Alfredo Saitto, questo edito da Alfamusic, che ricorda tra l’altro Alfama, che magari non c’entra niente, ma che è un quartiere antico di Lisbona, la patria del Fado. E magari è solo una mia impressione, ma io ci sento anche il Fado qui dentro. E un altro mare, un altro quartiere, un’altra città accogliente, un altro posto dove andare.

Adelchi Battista

 

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