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The Sky Above Braddock di Mauro Ottolini – una recensione

Facciamo per un attimo un salto temporale e trasferiamoci con la mente a Pittsburgh in Pennsylvania. Proprio nella periferia di questo centro urbano, uno dei più importanti di questo stato, è situato un quartiere chiamato Braddock, un nome che forse non vi dirà niente, ma che comunque ha avuto una storia degna di essere raccontata. Se pensate, infatti, che l’economia di questa cittadina si basava sull’esistenza di un’acciaieria, capirete bene come la città, dopo il fallimento dell’industria siderurgica nel ’50, si sia trasformata in un vero e proprio deserto. Poi, se a questo aggiungiamo che negli anni ’80 il crack ci ha messo, per così dire, il carico da novanta, allora il gioco è fatto ed ecco che Braddock diventa una specie di città fantasma. Una brutta storia, un’epopea del declino, un esodo infernale che qualcuno, però, armato di tanta passione, ha voluto raccontare a suon di note. Unico intento, quello di far rivivere le situazioni e le atmosfere legate ad un periodo, ad un luogo, ad un’epoca che, forse, alla musica hanno dato veramente tanto. E così è nato “The Sky Above Braddock”, un lavoro discografico ideato da Mauro Ottolini, trombonista, e pubblicato da Cam Jazz, che ripercorre in un modo del tutto originale la storia di una cittadina che il tempo ha coperto di polvere forse con troppa cattiveria.

Allegria, tristezza, inventiva e sperimentazione convivono in un lavoro decisamente multiforme in cui le diverse voci di un’epoca parlano attraverso le note di un trombone, di un piano, di un clarinetto, di un sax, di una fisarmonica e, perché no, anche di una batteria che nella seconda track, “Workin man blues”, ci è sembrata somigliare un po’ al suono di un martello utilizzato da un operaio degli anni ‘50. Ma questo è soltanto un piccolo dettaglio, perché l’anima di “The Sky above Braddock” è fatta di tradizione, ma anche di sperimentazione, di suoni distorti, dei lamenti di un popolo alle prese con una crisi che ne ha decretato l’esodo.

La track 3, infatti, “Mayor John”, dedicata al sindaco John Letterman (che a far rinascere la città ce la sta mettendo proprio tutta) sembra quasi un lamento, un sussulto di immagini sfocate che si trasforma in uno strillo di rabbia disegnato da un imponente solo distorto. Magari, chissà? Quando Mauro Ottolini ha arrangiato questa canzone stava pensando proprio a Mayor John, mentre tenta di rimettere in sesto i pezzi di un puzzle ormai andati perduti, oppure al prefisso della Pennsylvania, 6-5000, (titolo di un’altra track) che questo stravagante personaggio ha tatuato sul braccio. E poi c’è anche un brano dedicato a Vicky Vargo, la bibliotecaria, che anche lei ostacola la decadenza della città. Una melodia dolce, accesa di tanto in tanto dal caldo suono di una fisarmonica, che ci fa immaginare una signora armata di occhiali e calamaio seduta nel suo studio a studiare l’anima della sua città.

Ma quello che colpisce in questo lavoro è l’insieme. 8 membri con tre special guestes che riempiono tutti gli spazi vuoti. Chiaramente se parliamo di Mauro Ottoilini, si capisce bene che i fiati avranno un ruolo preponderante, ma gli altri strumenti come il piano, la chitarra e persino la fisarmonica trovano un loro spazio all’interno di una sperimentazione continua che genera una specie di piacevole disordine ben organizzato. Attraverso tutti questi strumenti musicali, Braddock acquista un’altra anima, un’altra voce, riemerge dal passato e fa parlare di sé come se fosse un libro scritto dal suono degli strumenti. Un vero gioiello che coniuga tradizione e sperimentazione e che ci ha fatto veramente venire voglia di aprire un libro per leggere le vicende e i personaggi legati a questo piccolo spaccato di storia.

Carlo Cammarella

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