Una copertina, un contenitore che nella sua compostezza ed essenzialità racchiude una seducente raccolta d’intramontabili brani del repertorio jazzistico americano. Linguaggio Swing e mood contemporaneo, questa la scelta e l’impronta che Luca Velotti(sassofonista di Paolo Conte dal 1992 e frequentatore assiduo di set prestigiosi con Piovani, Morricone e Trovajoli) ha scelto di dare al suo ultimo disco “A clarinets Affair”. Chi lo accompagna è un altro fiato d’eccezione:Bepi D’amato (clarinettista solista dell’Italian Big Band) e lo straordinario trio diretto da Giorgio Cuscito (pianista e autore di “Archivio del jazz” per Radiotre) insieme a Guido Giacomini al contrabbasso e Alfredo Romeo alla batteria. Un quintetto di professionisti competenti dietro “A clarinets Affaire” prodotto dalla Nuccia Records e da noi assolutamente certificato come eccellente.
Tra le simpatiche note di copertina Velotti scrive : “Non ti deve piacere subito” ma in realtà ci è più che piaciuto, lo abbiamo trovato sensatamente di tendenza. Frutto di un lavoro d’ensemble che tira fuori seduttive note swing e bebop rispolverate in chiave moderna, il disco si presta a raffinate variazioni di gusto e di stile. Il cosiddetto Jazz Mainstream servito con rigorosa professionalità: un summit di brani che fa incontrare “Recado” di Djalma Ferreira ed il suo squisito sapore imbossanovato con il sofisticato “Just One Of Those Things” di Cole Porter, a seguire “Lazy River” del pianista H. Carmichael, conosciuto come il compositore della ben nota “Sturdust”. A chiudere la raccolta la bellissima “Sweet Georgia” composta dallo stesso Velotti.
Non potevamo aspettarci meno stile dal sassofono di Luca Velotti che, oltre al succitato Conte, ha lavorato e registrato in “Area newyorkese” con Pete Malinverni, Al Casey, Bob Wilber e Bill Crow. E non potevamo aspettarci meno carattere anche dal clarinetto “free” di un talentuoso jazzista autodidatta come Bepi D’Amato. Al trio di Cuscito lasciamo il tocco avanguardista e il suo bagaglio di apprezzabili collaborazioni anche in campo extra jazzistico con Fred Bongusto, Renzo Arbore, Gigi Proietti e Peter Van Wood. Non crediamo di dover aggiungere altre parole a quello che vuole mostrarsi da sé un ottimo lavoro: pieno di Musica, Armonia e notevole tecnica esecutiva. La soddisfazione è garantita e come chioserebbe Luca Velotti: “Vuoi comprare l’ultima copia? Prendili tutti!”
Da Roma a Tokyo il sax baritono di Red Pelliniammalia e restituisce l’incanto del newyorkese Cotton Club, di quel jazz che si serviva e riveriva durante l’era del Proibizionismo, che sa di ambra e perle ed anche di gangster leggendariamente gentiluomini. Il suo ultimo lavoro “Roma – Tokyo”, che ha preso forma durante gli spostamenti frequenti del musicista tra i jazz club di Roma e quelli della Capitale nipponica, ci ha colpiti ed incuriositi. Fabiano Pellini, conosciuto nel jazz romano come “Red”, ha alle spalle una salda esperienza da direttore d’orchestra e arrangiatore. Si è diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia in clarinetto e, conclusi gli studi classici, ha deciso di dedicarsi al jazz da appassionato virtuoso di uno degli strumenti più complessi (e i cui cultori sono assai rari), il sax baritono.
Con il suo ultimo lavoro prodotto dalla Nuccia Records, Pellini ha riproposto indimenticabili standard come “It’s all Right” e “You do something to me”, nella parentesi Porter Medley e Moonlight Serenade di Miller, in cui la melodiosa voce di Aidy Manas si accompagna allo scuro e malinconico sax di Pellini, nonché all’ottimo tocco al pianoforte di Giorgio Cuscito, ineffabile collaborazione che si unisce a quella dell’alto eccellente pianista Adriano Urso. Ancora un medley ad incorniciare le tracce del disco, quello “simpaticamente” dedicato ad una Roma che ci piace immaginare notturna e più statunitense che mai: “Roma nun fa la stupida stasera” e “Arrivederci Roma”, in cui un Sound languido e delicato si unisce ad un vivace soffio Dixie.
Imprescindibile l’altro dei due brani vocali del disco: “Blow Again Francesco”, scritta dallo stesso Pellini e interpretata dalla seconda voce (non certo in ordine di qualità o importanza) di Sebastiano Forti. La batteria è lasciata ad Alfredo Romeo e alle sue bacchette rodate ed affinate da numerose collaborazioni, tra cui ricordiamo quelle con Lino Paturno e George Masso. Spazio ritmico con l’estro jazzistico di uno dei più richiesti e attivi contrabbassisti Guido Giacomini.
Un disco “Roma – Tokyo” che vi invitiamo ad ascoltare, frutto di un lavoro che non vuole essere incomprensibilmente di nicchia e pretenzioso, ma piuttosto musicale, e che potrebbe essere un buon ponte sonoro, nelle convenzioni del jazz classico, per un genere in sé complesso e troppo spesso assai rarefatto. Ciò che ci ha colpiti maggiormente, infatti, è quella semplicità che viene sostenuta da una sensibilità musicale eccellente e da una naturalezza molto vivace, che di certo non appesantiscono gli stili musicali che confluiscono in questo progetto. Insomma, un buon disco che abbiamo notevolmente apprezzato per la bravura degli interpreti e soprattutto per il piacere che ci ha suscitato nell’ascoltarlo.
In precedenza vi avevamo già parlato di Anita, l’ultimo lavoro di Luisa Cottifogli (ex cantante dei Quintorigo) pubblicato dall’etichetta Nuccia Records, un progetto interessante che ha visto la trasformazione di uno spettacolo teatrale “Anita dei due Mondi”, prodotto dal Ravenna Festival nel 2008, in un cd esclusivamente musicale. E sono tante le contaminazioni che abbiamo potuto ascoltare in un lavoro che ci è apparso ben curato nei minimi dettagli, a partire dalla musica latino americana per giungere ad alcuni dialetti tipici della tradizione italiana. Quindi, senza girarci troppo intorno, non neghiamo che questo progetto, così ricco di contaminazioni diverse, ci ha davvero incuriositi e di conseguenza abbiamo raggiunto Luisa Cottifogli che ci ha raccontato in prima persona la storia di Anita.
Prima che diventasse un progetto elaborato in studio “Anita” è stato uno spettacolo teatrale, “Anita dei Due Mondi”, vuoi raccontarci la genesi di questo nuovo lavoro?
“Questo lavoro nasce da uno spettacolo teatrale: “Anita dei due mondi”, prodotto da Ravenna Festival nel 2008 con la regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi.. Lì sulla scena agiva Anita Garibaldi, attraverso parole e musica, e il mio ruolo era quello di entrare da attrice nel personaggio – visto attraverso momenti e temi fondamentali della sua vita – e uscirne da musicista per cantare. In un secondo momento ho sentito la necessità di raccogliere in un cd esclusivamente musicale alcuni dei brani più significativi dello spettacolo, con l’aggiunta di altri due che avevo nel cassetto. I temi del cd sono i leit-motiv dello spettacolo: l’attesa (Anita che aspettava Garibaldi di ritorno dalle guerre e dai viaggi, Anita che per cinque volte ha aspettato un figlio da lui…). Poi la determinazione della propria vita (Anita, che da bimba è stata educata come un maschio dal padre, viene poi costretta dopo la morte di lui, all’età di quattordici anni, a sposare un uomo non amato, più vecchio, spesso ubriaco e autoritario. Allora aderisce alla politica libertaria di ribellione al potere dell’impero, si innamora di Garibaldi e decide di fuggire con lui per combattere al suo fianco, per la libertà del popolo brasiliano e di quello di altri paesi sudamericani. Lascia suo marito che era partito in guerra nelle truppe imperiali e decide la sua vita, ritrovando la libertà nella quale era cresciuta). Infine il ricordo e la morte (Anita ricordava in modo struggente i momenti nei quali era vivo il padre, che la portava a cavalcare sulla spiaggia e la spronava alla libertà e alla vita)”.
Quanto ti rispecchi nella figura di Anita?
“Sia nello spettacolo teatrale che nelle parole dei miei brani l’identificazione fra Luisa e Anita è quasi totale, attraverso i temi della libertà, dell’auto-determinazione della propria vita, dell’avventura del vivere, ma anche della morte , dell’attesa e del ricordo. Temi universali che permettono l’identificazione di ognuno di noi con i testi delle canzoni. Forse la forza del disco “Anita” sta proprio qui. Ed è la prima volta che in un mio lavoro sono le parole a motivare e a generare la musica e che, pur di non compromettere la forza dei testi, talvolta canto sottovoce. Un critico ha recentemente scritto: “Anita ha l’effetto di far dimenticare la musica e di scardinare il confine fra la vita e la mia vita … canzoni che Luisa Cottifogli mi ha strappato dall’anima, come fossero sempre state mie”.
In Anita sono molte le contaminazioni con la musica latino americana. C’è un affetto particolare che ti lega al Sudamerica?
“Questo ideale viaggio in Sudamerica è legato al personaggio stesso di Anita, nata a Laguna nel sud del Brasile (territorio nel quale veniva parlata una lingua mista di portoghese e spagnolo, il “Portugnolo”) poi emigrata a seguito di Garibaldi in Uruguay e in Italia dove a Mandriole, nei pressi di Ravenna, troverà la morte. Ecco allora che nel disco si intrecciano il portoghese brasiliano, lo spagnolo, l’italiano e perfino il romagnolo. E l’italiano che utilizzo è volutamente imperniato di ritmiche e richiami melodici sudamericani. Ogni progetto che realizzo mi porta in varie parti del mondo attraverso le lingue parlate e i linguaggi musicali, e ogni volta finisco per innamorarmi di quello che trovo. In questo caso sono sbarcata per la prima volta in Sud America, scoprendo un bellissimo repertorio che intendo utilizzare nel live di “Anita” accanto ai brani del cd”.
E quale è il tuo legame con la cultura popolare italiana?
“Anche in questo caso basta scavare nelle radici culturali e nei dialetti di ogni regione d’Italia per scoprire fonti ineguagliabili di poesia e forme musicali fra le più disparate e interessanti. Un esempio: attraverso il lavoro di ricerca sulle tradizioni romagnole che ha preceduto la registrazione del mio precedente disco “Rumì”, ho scoperto un mondo affascinante che mi ha dato forti ispirazioni musicali, ma anche la voglia di conoscere le varie regioni d’Italia con lo stupore e l’interesse che di solito dedichiamo a paesi lontani considerati “esotici”. Lo stesso stupore che mi ha preso quando ho incontrato, grazie alla collaborazione musicale coi piemontesi Marlevar, la cultura e la lingua provenzale delle valli del cuneese”.
Quando suonerai a Roma ?
“Anita ha un trascorso romano piuttosto burrascoso. Nel 1849 arriva nella capitale per riunirsi al suo amato Giuseppe Garibaldi, ma è subito costretta con lui alla fuga, inseguita dalle truppe francesi e austriache dopo il crollo della repubblica romana. Durante questa trafila troverà la morte nei pressi di Ravenna. Dopo un anno Garibaldi tornerà in Romagna a prenderne le spoglie per portarle con sé a Nizza. Nel 1932 esse saranno definitivamente deposte nel basamento del monumento equestre del Gianicolo dedicato all’eroina dei due mondi. Mi piacerebbe riportarla alla vita proprio a Roma, attraverso i miracoli che solo l’arte e la musica sanno compiere. E spero sarà molto presto”.