Jazz Agenda

Lasciatevi incantare dal Sign Of Sound

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La parola chiave per la serata dello scorso martedì 7 all’Alexander Platz, potrebbe essere “rincorrersi”. Ad accompagnare il progetto di interazione pittorico-musicale Sign Of Sound, sono due insigni personaggi della scena jazz romana: Daniele Pozzovio e Davide Pentassuglia, che abbiamo già avuto modo di conoscere, assieme al produttore, chitarrista, compositore e video maker Alex Marenga. “Madre” di Sign Of Sound è Fabiana Yvonne, a cui abbiamo dedicato una breve intervista. 

Come nasce il progetto Sign Of Sound?

Nasce da una serie di incontri che hanno poi dato l’input all’idea. Io parto dalla danza classica e contemporanea, per poi affacciarmi alla pittura. È per quest’ultima che mi trasferisco a New York, dove entro molto a contatto con la scena jazz locale. Seguire molti concerti ed interagire con i musicisti mi ha portata a visualizzare queste dinamiche musicali. Man mano la visualizzazione è diventata più complessa e assieme all’improvvisazione musicale io improvvisavo visivamente, a mia interpretazione ovviamente, i suoni degli strumenti. Il processo si è sviluppato poi in maniera piuttosto incognita, nel momento in cui vi si è unita la danza. La tela per me troppo piccola e il forte rapporto che avevo col movimento e il corpo mi hanno portata sempre ad essere a cavallo tra questi due mondi, che si negavano a vicenda. La musica, in un certo senso, li ha fatti incontrare. Il primo musicista ad accogliere questo progetto è stato Gregoire Maret. È stato invece più difficile portarlo in Italia, nonostante ora abbia preso molto piede.

Ed invece questa formazione come si è creata?

Anch’essa dal risultato di un percorso. L’ultimo membro con cui sono entrata in contatto è Alex Marenga. Anche lui come me “manipolatore”! Mentre con Davide Pentassuglia ci lavoro già da circa un anno. Ci siamo trovati subito bene a lavorare insieme. Lui è un grande improvvisatore, oltre che effettista e rumorista. La cosa molto bella è che spesso sono io a “suonarlo”. Infatti spesso è il paint performer a creare un ritmo con le spatole (uno degli strumenti utilizzati), che il musicista segue.

Come è avvenuta la scelta dei materiali?

Avendo lavorato anche come scenografa, ho avuto modo di sperimentare diversi materiali; potendo studiare anche diverse cose come il taglio delle luci, l’intensità, le superfici… In base alla loro variazione, ovviamente, si hanno diversi effetti. La cosa nuova è che si lavora in sottrazione del colore, e non in addizione!

Oggi sei stata accompagnata da altre ragazze, chi sono?

Sono Carmen Nicoletti, Laura Fantuzzo (paint performer della serata) e Pamela Guerrini. Tre ragazze che hanno partecipato al seminario che ho tenuto alla Casa del Jazz e che stanno facendo formazione presso l’Accademia di belle arti.

Dicevamo quindi “rincorrersi” come parola chiave. Come il rincorrersi delle improvvisazioni, che non si fermano nemmeno per un minuto; il rincorrersi delle note allora, delle mani svelte di Pozzovio sul piano (o direttamente sulle sue corde), e quelle di Laura sul pannello; dei segni “dipinti” che vengono subito trasformati in nuovi. È indubbio l’affiatamento tra i musicisti, che creano netti contrasti tra i due principali strumenti, piano e batteria, che sembrano scontrarsi, lottare, per primeggiare. Di valenza significativa, soprattutto nel trasformarsi del pannello-scenografia, è la componente elettronica, con l’inserimento successivo di una chitarra, che apporta continuità e fluidità ai diversi momenti musicali e ai movimenti della performer. La divisione in due ambienti diversi delle componenti musicale e pittorica, purtroppo non rende a pieno la bellezza e il fascino creati dalla performance nella sua interezza. Sicuramente da vedere e rivedere ancora; perché, si sa, l’improvvisazione non dà mai gli stessi risultati!

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

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Live Report: Hard Chords Trio… e dintorni

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L’inusuale location di Q e dintorni fa da palco, sabato 28 maggio, ad un’altrettanto inusuale performance degli Hard Chords Trio, freschi vincitori del premio Elsa Morante per la musica. Avevamo già avuto modo di conoscerli ed apprezzarli durante un’intervista (che potete trovarequi), ma in “veste” live li riscopriamo sempre più entusiasmanti. La formazione, composta da Paolo Grillo al contrabbasso, Davide Pentassuglia alla batteria e Lorenzo Ditta al piano, propone i più celebri successi della musica rock internazionale riarrangiati in chiave jazzistica. L’album Ram Colours, presentato ufficialmente a marzo, che raccoglie questi affascinanti esperimenti, contiene inoltre composizioni originali del gruppo. 

L’apertura è affidata ad una pietra miliare per eccellenza, una Grace che spazia nei suoni della batteria, perdendo il suo aspetto più graffiante, ma con un’enfasi maggiore sull’intensità. Principalmente è il piano a far emergere il tema distintivo di questo e degli altri brani, mentre contrabbasso e batteria vi “costruiscono” intorno. Da subito risalta la differenza di caratteri dei tre musicisti, che si completano a vicenda riuscendo a creare un unico “soggetto” ben in equilibrio tra le parti. Paolo, molto più timido, si fa scudo con lo strumento, diventando un tutt’uno con esso. È Lorenzo a risultare il più scenografico, con il suo muoversi frenetico e l’espressività del suo volto. Mentre Davide, sempre molto concentrato, sembra perdersi nella musica stessa. Ognuno trasmette al pubblico una parte del proprio sentire; tutti insieme ce ne danno una visione completa. Si prosegue con i netti contrasti di Come as you are, arrivando alla bellissima Teardrop, decisamente meno “delicata” dell’originale ma proprio per questo di forte impatto; è un peccato che non sia presente nel disco! Ugualmente per Material Girl, dalla divertente rivisitazione. Quasi a voler essere un gioco che spezza proprio a metà concerto. Si conclude con i Police, i Metallica ed i Pearl Jam. Un bel crescendo, insomma, che tiene desta l’attenzione, con la grande capacità di coinvolgere ed unire un po’ tutti; nei ricordi che ognuno lega ad una canzone piuttosto che all’altra e nello stupore dell’inaspettato.

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

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“Live Report: Il battesimo” del Daniele Pozzovio Trio alla Casa del Jazz

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Tra i giovani talenti dell’attuale scena jazzistica capitolina Daniele Pozzovio, che martedì 10 maggio ha presentato il suo nuovo progetto in trio alla Casa del Jazz, emerge per la sua “gavetta”. Romano classe ’77, si diploma presso la Saint Louis Jazz academy di Roma nel 1996 e al conservatorio di Frosinone nel 2000 con il massimo dei voti. Nello stesso anno frequenta i seminari del Berklee College of music di Boston; conseguendo un riconoscimento alla carriera ed una borsa di studio per la Berklee university, per poi suonare in diverse edizioni di Umbria Jazz. Compone ed esegue al pianoforte le colonne sonore di film appartenenti alla storia del cinema muto, tra i quali: MetropolisL’Inferno del dott. Mabuse di Fritz Lang, il Gabinetto del dott. Caligaridi R.Wiene, l’Uomo con la macchina da presa di D.Vertov, alcuni cortometraggi dei fratelli Lumiere, il viaggio sulla luna di G.Melies, commissionate dall’istituto di cultura tedesca a Roma. Nel 2001realizza un omaggio a Man Ray: una performance di arte realizzata insieme a delle installazioni di pittura elettronica e musica, in collaborazione con Alfredo Anzellini. Nella sua carriera ha collaborato con musicisti come Bruno TommasoGiovanni TommasoStefano TagliettiStefano BollaniRamberto Ciammarughi,Massimo ManziAldo Bassi Gabriele Coen. Nel 2003fonda insieme ad Alvise Seggi l’Arteval TrioScrive nel 2003 quattro colonne sonore realizzate per la rubrica di Rai-educational Il mosaico su delle animazioni per bambini tratte da 4 favole di Alberto Moravia, oltre a diverse collaborazioni con Rai 3. Collabora con l’Istituto superiore di fotografia (2004) per la realizzazione di un seminario di tre appuntamenti sul cinema espressionista tedesco, realizzando tre colonne sonore per il FaustMetropolis ed il Gabinetto del dott. Caligari. Fonda insieme a Leonardo Cesari Max Ottaviani l’Organic Trio, con il quale suona subito al Circolo del Ministero degli esteri. Nasce da qui il progetto Tenco 2005 con Raffaela Siniscalchi cantante di Nicola Piovani. 

Trampolino di lancio per il Trio di Daniele Pozzovio (Daniele Pozzovio al piano, Giorgio Rosciglione al contrabbasso e Andrea Nunzi alla batteria) è, come dicevamo, l’importante “vetrina” della Casa del Jazz, che porta a battesimo questa nuova formazione, come lo stesso Daniele ci racconta: “Con Giorgio suoniamo insieme da una decina di anni. Tra le diverse esperienze fatte assieme c’è anche la creazione di un festival. È un rapporto più duraturo e continuo. Anche Andrea lo conosco da 10 anni, ma sono state minori le opportunità per suonare con lui. Era tanto che volevo farlo però, quindi questa è stata l’occasione… Ed eccoci qua! In pratica il trio nasce stasera. Questo concerto è inoltre il preambolo al disco che pubblicherà la Casa del Jazz e che registreremo a luglio durante l’evento di Villa Celimontana”. Il repertorio esplora un po’ tutte le sfaccettature del jazz classico: “Più vado avanti più mi lego alla tradizione. Sto facendo un back molto forte verso il materiale degli anni ’40-’50”; purtroppo con l’assenza, per questioni tecniche, dei brani originali: “L’esigenza di portare avanti brani originali è forte. Oltre che dal mio background classico, traggo ispirazione molto dai i musicisti con cui lavoro, che mi consigliano anche”. La sua (giusta) “arroganza musicale” contrasta con un’estrema timidezza, che lo porta a sedere di spalle al piano quasi a voler sfuggire agli sguardi e alle lodi del pubblico. Eppure lo si riscopre scenografico e fiero nell’esibizione finale al piano solo, in cui dà un’alta dimostrazione della sua bravura. Rosciglione, come sempre maestrale, fa un po’ da guida e un po’ da tramite tra il pubblico e Pozzovio. Il concerto risulta fitto e incalzante, nel susseguirsi dei brani come nei gesti dei musicisti stessi, tenendo tutti col “fiato sospeso” fino alla fine. Decisamente meritevole la formazione e l’intera serata, immeritata la sala semivuota!

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

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Live Report: Isabella Nicoletti trio al Charity Cafè

È nell’intimità del Charity Cafè che venerdì 8 aprile abbiamo avuto modo di rincontrare Isabella Nicoletti e la sua affascinante voce. Degni di nota sono i suoi “accompagnatori”, due giovanissimi talenti dell’attuale scena musicale: Giuseppe Talone al contrabbasso e Francesco Poeti alla chitarra. Talone, dopo aver studiato prevalentemente da autodidatta segue il corso di basso elettrico e contrabbasso presso il St. Louis Music Center di Roma, vincendo la borsa di studio di merito nel 1997 sotto la guida dei Maestri Luca Pirozzi, Marco Siniscalco e Pietro Ciancaglini. Dal 2000 si esibisce nei migliori Jazz Club della capitale e partecipa a diversi eventi internazionali come il Jazz Hoeilaart Intern’l Contest ed il Jerusalem Festival. Poeti, invece, classe 1980, frequenta corsi con i più importanti chitarristi del panorama internazionale quali Adam Rogers, Jim Hall, Mike Stern, Scott Henderson, Peter Bernstein e molti altri. Nel 2001 vince la borsa di studio frequentando i corsi We Love Jazz,collaborando in seguito con Tony Scott, Kenny Wheeler, Nicola Stilo, Stefano Cantini, Matt Renzi, Fabrizio Sferra e molti altri.

Il trio si esibisce principalmente in standard jazz, swing e blues, fino alle armonie ricercate ed al virtuosismo ritmico di Thelonious Monk, aprendo e chiudendo il concerto con due brani di bossanova e samba. L’intesa si vede e si sente! L’interazione è resa quasi superflua dalla vicinanza del pubblico al palco, che in tal modo “entra” del tutto nello spettacolo riuscendo persino ad ascoltare ciò che i musicisti dicono tra loro. L’espressività addirittura nella mimica facciale di Isabella arricchisce d’impatto visivo i brani, che vengono così completati in emozionalità, del pubblico e della cantante. Particolarmente suggestiva Never let me go, che indubbiamente acquista lustro dalla sempre delicata voce della Nicoletti. Mentre Poeti nei suoi assoli ci stupisce, dimostrandoci tutta la sua bravura (su cui comunque non avevamo dubbi). Sicuramente un trio da seguire con attenzione!

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

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CASA DEL JAZZ live diary – 6 settembre 2011 – Rita Marcotulli “racconta” i Pink Floyd

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La Casa del Jazz ci regala l’ultima rassegna in questa estate settembrina, abbandonando le sonorità che hanno contraddistinto il “Casa del Jazz Festival”, per 6 giorni di puro progressive. “Progressivamente”, questo il nome della rassegna, apre con un gruppo d’eccellenza guidato da una pianista d’altrettanta fama: Rita Marcotulli. “Us and them – Pink Floyd sounds” è un omaggio che attinge alle diverse realtà musicali dei componenti, dal risultato per nulla scontato! La folla alla biglietteria non tradisce le aspettative. Del resto i Pink Floyd rientrano in quella categoria di gruppi che uniscono generazioni, e forse anche la presenza sul palco del cantante Raiz, storico frontman degli Almamegretta, ha il suo peso. Fatto sta che ci ritroviamo tutti sul solito prato, frequentato un’estate intera (per chi è rimasto un vacanziero di città!), con le facce più abbronzate e rilassate a farci stupire ancora una volta. C’è meno rigore e più voglia di interagire con chi ci sta intorno. Ai tavoli le chiacchiere hanno il sapore dei viaggi che ciascuno racconta, ma tutti buttano un occhio al palco almeno una volta, in segno di attesa. Lo spiedo del kebab c’è ancora, ad impregnare l’aria, a ricordarci che in fondo può essere ancora estate. L’afa ha lasciato il posto ad un’aria più leggera, così si ha più piacere a stare all’aperto (ed anche a pensare di essere già tornati a Roma!).

Alla breve presentazione della serata e del festival in sé, tutti si ricompongono pronti all’ascolto. Sul palco salgono in sette: oltre alla Marcotulli al piano e Raiz alla voce, abbiamo Andy Sheppard al sax;Pippo Matino al basso elettrico; Fausto Mesolella alla chitarra elettrica; Michele Rabbia alle percussioni e Mark Mondesir alla batteria. Se l’impronta di Raiz si avverte distintamente nelle sonorità arabeggianti, Michele Rabbia le valorizza con la sua bravura nel manipolare i suoni degli oggetti più disparati (in questo caso in particolare, la capacità di ricreare suoni “elettronici” attraverso una lastra di metallo). Fiori all’occhiello i virtuosismi di Sheppard e della Marcotulli. Pur non volendo stravolgere la struttura originaria dei brani, essi si ripresentano nuovi, non sempre immediatamente riconoscibili, ma ugualmente affascinanti ed inebrianti. L’uso del riverbero li rende eterei, avvolgenti; lascia che diventino un ricordo, un sogno. Come se la loro presenza lì, in quel momento, non fosse del tutto scontata. Colpisce, tra i brani, il modo in cui “Shine on you crazy diamond” sia stata spogliata da qualsiasi orpello virtuosistico, lasciandone emergere la bellezza del testo ed accentuando il contrasto tra la voce graffiante di Raiz e quella più “pulita” di David Gilmour. Senza tentare di surclassare o dare un’interpretazione originale di un brano unico nel suo genere.

Il progetto è ambizioso e ben riuscito. Riesce a calamitare l’attenzione e a regalare un po’ di nostalgia a chi i Pink Floyd li ama dagli esordi.

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

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Benvenuti in “Contrada Casiello” – una recensione

Contrada Casiello” è l’incontro/scontro (così definito) trafolklore musicale italiano, ritmi e colori sudamericani, qualche malinconia da chansonnier e antiche passioni per il blues e il jazz. All’interno del disco si muove di brano in brano un particolare melting pot che abbraccia la realtà di provincia, completa del corollario di personaggi “tipici” ed accadimenti paradossali dal colore (o dal candore) popolare, con quella urbana e multiculturale della capitale. Tutti aspetti  fortemente caratterizzanti l’autore, Gerardo Casiello, nato a San Giorgio del Sannio, dove a otto anni comincia a studiare pianoforte classico e chitarra. È da qui che comincia il suo percorso musicale, esibendosi con varie formazioni locali. Sin da piccolo si interessa ad ogni genere di musica: dal pop dei Beatles al progressive rock, dal  blues al jazz, e non da ultimo alla canzone d’autore italiana: da Modugno a Paolo Conte, da De Andrè a Carosone, da Buscaglione fino a Rino Gaetano. Molti di questi artisti hanno inciso sulla sua maturazione artistica. Nel 1996 si trasferisce a Roma per studiare alla Facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza, stabilendo un saldo rapporto di collaborazione musicale con il suo relatore,  Francesco Giannattasio, docente di Etnomusicologia e, negli anni Settanta, musicista e membro fondatore de “Il Canzoniere del Lazio”.

Giannattasio segue da vicino la produzione musicale di Gerardo, che dal 2003 propone con successo le proprie canzoni nei locali del centro e sud dell’Italia con un gruppo e un progetto denominati “Contrada Casiello”, diventando il produttore del disco “Contrada Casiello”, uscito nel mese di ottobre del 2009 (finalista del Premio Tenco 2010 nella sezione “Opera Prima”). Gerardo è accompagnato dalla sua band composta da Antonio Ragosta alle chitarre, Emiliano Pallotti alla fisarmonica, Stefano Napoli al contrabbasso e Pasquale Angelini alla batteria. Il disco vive in bilico tra fantasia e ricordo, permeato da una poesia “caposselliana” meno malinconica, più incline alla ricerca del sorriso. È semplice il modo in cui Casiello racchiude tutto il suo mondo in una contrada, in cui nessuno manca all’appello; il presidente, il poeta pazzo, l’innamorato…e le donne! Un fermo immagine che rievoca pezzi di vita a chi è vissuto in provincia, e un modo vivido di farla sperimentare a chi non  conosce il gusto retrò eppure ancora attuale di “far balli ravvicinati di decimo tipo, tutti in pista acconciati con le donne appese al dito”.

Serena Marincolo

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PMJL nel segno del Re del pop al Roma Jazz Festival

Dopo il grande successo della primavera scorsa ritorna questa sera, mercoledì 30 novembre, al Roma Jazz Festival il PMJL Parco della Musica Jazz Lab, il collettivo di giovani talenti del jazz italiano capitanato da Enrico Rava, l’ensemble più recente prodotto dalla Fondazione Musica Per Roma. Il PMJL presenterà il progetto ispirato a Michael Jackson, il re assoluto del pop che con le sue canzoni e la sua arte ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica e dello spettacolo.

Enrico Rava  tromba
Mauro Ottolini  trombone e arrangiamenti
Andrea Tofanelli  tromba
Claudio Corvini  tromba
Daniele Tittarelli  sax alto
Dan Kinzelman  sax tenore
Franz Bazzani  tastiere
Giovanni Guidi  pianoforte
Marcello Giannini  chitarra
Dario Deidda  basso elettrico
Zeno De Rossi  batteria
Ernesto Lopez Maturel  percussioni

30 novembre Sala Sinopoli ore 21

Biglietto: posto unico 20 euro

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Tringvall Trio al Roma Jazz Festival

Il Trio Tingvall presenta questa sera, 29 novembre all’Auditorium il suo nuovo album Vägen (“La via”), registrato in Italia nel maggio 2011. Martin Tingvall, Omar Rodriguez Calvo e Jürgen Spiegel vi hanno fatto confluire le esperienze degli ultimi anni, quasi a voler riunire appunti di viaggio presi qua e là. Il brano di apertura, “Sevilla”, è nato infatti durante il tour spagnolo del 2010, mentre “Shejk Schröder” rammenta una corsa sul dorso di un cammello. Ma le fonti di ispirazione sono anche altre: “Den Ensamme Mannen” (“L’uomo solo”), uno dei brani più delicati del CD, è scaturito dopo la lettura di un romanzo dello scrittore svedese Hakan Nesser. “Efter Livet” (“Dopo la vita”) è invece una riflessione su cosa aspetta ognuno di noi quando sta per arrivare il tempo della morte. Vägen presenta anche alcune novità: la già menzionata “Efter Livet” vede in campo anche una sezione di archi e fiati e “På Väg” è un pezzo per piano solo. Nell’insieme l’album consegna intatta la vitalità delle performance dal vivo, alternando momenti ritmicamente incalzanti ad altri in cui a prevalere è uno spiccato senso poetico. Il pianista, nonché leader del gruppo, è svedese, il bassista cubano, il batterista tedesco: già questo dona al Tingvall Trio un tocco di personalità. Nel 2006, l’album di esordio, Skagerrak, uscito per la Skip Records, è più che un semplice biglietto da visita: cantabilità tematica, freschezza ritmica, influssi provenienti dal pop più sofisticato ma anche dalla musica classica, piena consapevolezza storica del piano jazz trio sono elementi che sin dall’inizio contribuiscono alla definizione di una musica che combina limpide linee melodiche con una prorompente energia.

29 novembre Teatro Studio

Inizio concerto ore 21

Biglietto: posto unico 10 euro

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Live Report: ¡Flamenco! bollente con Rodrigo y Gabriela

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Rodrigo y Gabriela sono la musica. Attraversano i vari generi, legandoli assieme, con disinvoltura, naturalezza; con la consapevolezza che tutto ciò che è percepibile al nostro orecchio possa diventare, senza distinzioni, musica. Tutto è riconducibile a quest’unico genere. Loro ne sono la prova. Partiti da trash metal in Messico, la loro storia attraversa l’Europa per approdare a Dublino, con un repertorio che va dal metal, agli standard jazz; dal flamenco, al rock. Tutto rigorosamente in acustico. Filo conduttore che lega tutto ciò che questo duo rappresenta, sono le proprie origini e la capacità di renderle una costante inconfondibile. Le loro chitarre, lanciate in velocità, non sono per nulla intimorite dalla sfida, tant’è che all’attivo la coppia ha sei dischi tra registrazioni in studio e live, ed uno in arrivo. Dopo questa premessa, potete ormai ben immaginare che tipo di concerto ci abbiano riservato martedì 22all’Auditorium! La sala Sinopoli è satura molto prima dell’orario d’inizio. Il pubblico è prettamente giovane, anche se qua e là non disdegna di far capolino qualche chioma canuta. La compostezza che ci ha accompagnati durante i precedenti spettacoli, oggi non ha senso d’essere. L’eccitazione si palpa nelle urla d’acclamazione e nell’incapacità di restare seduti sulla propria poltroncina.

Tutto questo, probabilmente, le maschere non se lo aspettavano; tant’è che ronzano preoccupate da porta a porta cercando un modo per tenere la situazione sotto controllo. Quando si spengono le luci svanisce ogni tipo di inibizione data dal luogo, per far posto ad applausi, fischi, scalpitio di piedi e fragore. Sul palco, soli e senza alcun tipo di scenografia, Rodrigo e Gabriela riempiono totalmente lo spazio. Hanno già imbracciato le chitarre e senza perder tempo cominciano a suonare. Siamo ipnotizzati al punto da non renderci conto che i brani scorrono alla stessa velocità delle loro mani sugli strumenti. Vederli suonare è un’esperienza incredibile. Quattro mani bastano -a loro!- a suonare per un’intera formazione. Nelle pause, in attesa che vengano riaccordate le chitarre, si intrattengono con noi raccontandoci la loro storia in rigoroso spagnolo messicano, che non tutti capiscono, ma che riceve sempre una risposta.

 

Nonostante il successo e gli attestati di stima attribuiti da musicisti di fama mondiale, il modo di fare è rimasto spontaneo e caloroso, come la propria terra ha loro insegnato. E questo è un merito ancor maggiore, che gli consente di entrare in sintonia, anche solo per quelle due ore, con il pubblico d’occasione. “Volvemos a tocar” ci dice Rodrigo riprendendo lo strumento; e viene da pensare che bella parola sia tocar -suonare-, nell’indicare sia l’azione che il gesto. Materializzandoli entrambi in un’unica immagine. Il concerto prosegue diventando a più riprese un vero e proprio “botta e risposta” tra i due, che non perdono l’opportunità di sfidarsi in riff sempre più veloci e complessi. Ogni tanto viene accennata un’Orion o una Sweet child o mine, ed è ben più che visibilio! Poi una nuova pausa; siamo arrivati quasi alla fine e Rodrigo ci invita a ballare su un omaggio ad Astor Piazzolla, Libertango, seguito da un medley dei pezzi più belli e richiesti. Ovviamente non ce lo lasciamo ripetere due volte! Nel panico generale della sicurezza, siamo in tantissimi a raggiungere il palco e scatenarci tra le risate e lo sbigottimento di quelli a cui abbiamo ricordato per un momento la propria gioventù. Siamo lì, così vicini che possiamo allungare le mani per toccare le loro, qualcuno si becca addirittura la scaletta del concerto, per tutti gli altri c’è quel momento di complicità generale, di condivisione di un momento di gioia che nessuno potrà dimenticare.

Serena Marincolo

foto di Valentino Lulli

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