Jazz Agenda

Gli “Early Years” di Federico Procopio

Federico Procopio studia al Saint Louis College of Music e al Centro Ottava, nonchè privatamente con numerosi esponenti di spicco della chitarra e della musica in Italia e all’estero. Dal 2007 fa parte del gruppo F.R.A.M.E. con Roberto Lo Monaco (basso), Martino Onorato (piano), Alessandro Pizzonia(batteria), Federico Di Maio(percussioni), Stefano Profazi(chitarra acustica e classica). Nel 2009 inizia l’attività didattica insegnando in varie scuole. Sempre Nel 2009 entra a far parte del gruppoKarmamoi con Daniele Giovannoni(batteria), Serena Ciacci(voce), Alessandro Cefalì(basso), Fabio Tempesta(chitarra elettrica), con cui registra l’album d’esordio nel 2010 e si esibisce a Groningen durante l’Eurosonic Festival 2011. E’ uscito nel marzo 2011 Early Years, il suo primo lavoro discografico come leader, registrato con alcuni tra i migliori musicisti della scena musicale italiana e internazionale. Noi lo incontriamo in un pomeriggio uggioso sull’appena inaugurato Ponte della Musica; e seduti  per terra in un’atmosfera rarefatta, che molto ha in comune con il suo disco, ci facciamo raccontare del “viaggio” fino a(gli) Early Years.

Da “cosa” nasce Early Years?

“Sicuramente dall’esigenza di esternare ciò che sono, di materializzare, in un certo senso, le idee che mi rappresentassero maggiormente in un disco. Early Years sta a significare appunto i primi anni di formazione artistica; è inoltre una sorta di tributo a tutta la musica che mi ha formato, che ho ascoltato e con cui ho imparato a suonare”.

Questo disco mi è sembrato un po’ la sintesi dei due gruppi in cui già suoni, soprattutto per il tipo di sperimentazione.

“Si può dire di si, anche se in realtà gli altri gruppi, come idea, sono venuti dopo. La mia volontà di fare un disco solista è più lontana nel tempo. È sempre stato un mio chiodo fisso, qualcosa che si è formato poi pian piano. Certamente, dato che non mi sono mai ritrovato in un unico linguaggio musicale, è un insieme di più generi. O meglio ancora di tutto quello che ho recepito nel mio percorso musicale. Come tutti sono passato attraverso gli stili dei musicisti che mi piacevano; ma parallelamente a questo ho cercato di “chiudermi con me stesso” e trovare un suono che fosse mio. Un problema che ho riscontrato all’inizio è stato quello di aver costruito un linguaggio troppo ostico per i miei pezzi nel cercare di fare qualcosa di totalmente originale. In seguito sono riuscito a trovare una mediazione, calando  la mia musica nel contesto storico e quindi portandola più al passo coi tempi”.

Però avrai sicuramente delle influenze che ti sei portato dietro.

“A parte quelle di musicisti importanti sulla scena internazionale, mi sono reso conto che un forte ascendente lo hanno avuto i miei insegnanti. Musicisti con cui sono stato strettamente a contatto. Come dicevo, appunto, intenzione di questo disco è omaggiare tutti quei musicisti italiani che ho incontrato. Umberto Fiorentino e Rocco Zifarelli sono i chitarristi che più mi hanno ispirato assieme al bassista Pippo Matino, presente oltretutto nel disco. Quest’ultimo è l’artista italiano che preferisco di più: ha dato al basso una voce unica”!

A proposito di questo, parlaci delle collaborazioni che sono all’interno del disco.

“Tutte le persone che vi hanno partecipato sono delle guest, perché io non ho ancora un mio gruppo. Potrei dividerli in due tipi, però: lo zoccolo duro, le persone che sono più o meno stabili nella maggior parte dei brani, sono Alessandro Pizzonia alla batteria e Martino Onorato. Con entrambi suono nei F.R.A.M.E., quindi si è creato un legame musicale molto forte. Roberto Lo Monaco, bassista dei F.R.A.M.E., che suona però in un solo brano, fa parte di questo nocciolo. Dall’altra parte c’è invece la guest per eccellenza, che è Pippo Matino. Ho voluto chiamare lui perché ovviamente lo apprezzo molto, e poi perché i dischi in cui ha suonato sono fortemente caratterizzati dalla sua impronta musicale”.

In alcuni brani so che ti sei sovrainciso.

“In “When I am with You” ho sovrainciso 4 chitarre con una risultante molto eterea su cui Matino suona il basso.  Anche in “Opening” e “Ending” mi sono sovrainciso, ma con una modalità diversa: ho effettato le chitarre in modo da creare un tappeto di suoni completamente distorti, quasi un mantra sonoro, su cui io e Matino insieme improvvisiamo”.

Un brano del disco che ti caratterizza di più o a cui sei più legato?

“Forse “Inner Balance”, che è un brano dal significato particolare anche nel titolo stesso e che David Binney, a mio parere, ha arricchito molto. Soprattutto per il suo assolo finale. Poi ha un’accezione se si può dire “storica”, di continuazione di un discorso. Armonicamente infatti si ispira molto ad un brano di Rocco Zifarelli del ’95 “.

Se volete ascoltare Early Years, lo trovate in vendita sul sito http://www.federicoprocopio.com/. Per le date dei concerti vi segnaliamo per il momento la data dell’1 luglio al Teatro Colosseo, dove Procopio suonerà con i F.R.A.M.E., in una serata all’insegna dell’arte in tutte le sue forme!

Serena Marincolo

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Il rock “visto” dai suoni degli Hard Chords Trio

foto di Valentino Lulli

Il progetto musicale degli Hard Chords Trio (composto da Lorenzo Ditta al piano, Paolo Grillo al contrabbasso e Davide Pentassuglia alla batteria), parte da un voluto “stravolgimento” di Message in a bottle dei Police, che darà il la alla serie di cover di alcuni dei brani dei più celebri gruppi rock (dai Led Zeppelin aiPearl Jam, passando per i Deep PurpleRolling StonesPoliceNirvana) raccolte nell’album Ram Colours. Paolo, Lorenzo, e Davide ci hanno raccontato la storia di questo progetto.

Per cominciare volete raccontarci come è nato il vostro progetto?

Lorenzo: “Si può dire che dalla prima volta in cui abbiamo suonato assieme sia nato “l’amore”. Spesso succede, suonando in un gruppo, di stancarsi presto perché non tutti hanno la stessa voglia di investire il proprio tempo e lavoro. Noi siamo partiti senza troppa o addirittura alcuna aspettativa, divertendoci a vedere quel che veniva fuori da questi esperimenti e senza pensare ad un ottenimento immediato. Dopo un anno di lavoro ci siamo accorti di avere un repertorio abbastanza cospicuo da poter testare dal vivo e la risposta del pubblico è stata un bel successo! Nell’estate del 2010 abbiamo partecipato al Mediterraneo Jazz Contest, arrivando secondi. Abbiamo subito investito il premio per la registrazione dell’albumRam Colours che è stato presentato ufficialmente questo marzo a Roma, presso il William’s Club. Al momento ci interessa maggiormente farci conoscere attraverso il passaparola e i live. L’album resta un importante “biglietto da visita” e un documento di un bel periodo della nostra vita come musicisti e non solo.”

foto di Valentino Lulli

Da cosa viene fuori la decisione, quasi radicale, del genere che avete reinterpretato?

Lorenzo: “Sicuramente di fondo c’è un gusto e una preferenza personali, anche nella scelta dei singoli brani o dei gruppi. In secondo luogo c’è un’intenzione, se così si può dire, provocatoria. Si è cercato di lavorare su brani il meno pianistici possibile, per quel che mi riguarda, mettendo in atto una sperimentazione talvolta forzata che non sempre è risultata facile o soddisfacente, ma che si è rivelata utilissima a sfidare le sonorità più tradizionali.”

Davide: “A qualcuno potrebbe sembrare inusuale come progetto jazz, ma a mio parere non dovrebbe essere definito così. Diciamo che ciò che facciamo ci risulta naturale e spontaneo, anche se c’è un pensiero dietro. Siamo cresciuti ascoltando diversi generi musicali, e tutti noi viviamo naturalmente immersi tra le sonorità più disparate, sia nella musica che ascoltiamo per scelta che per tutti i suoni che ci giungono volente o nolente all’orecchio: dalle colonne sonore dei film alla pubblicità, dalla radio ai suoni ed i rumori che ci circondano. Tutto ciò va già di per sé a influenzare inevitabilmente il modo di suonare. Del resto, essendo il jazz un genere ormai esplorato e consolidato dalle formazioni musicali più disparate, è giusto tentare di fare qualcosa seguendo unicamente i propri gusti, in cui è compresa ovviamente anche la grande tradizione, facendoli incontrare (e a volte scontrare) con quelli dei propri compagni. La particolarità di questo mix può dare la possibilità di fare qualcosa di diverso dal mainstream e di distinguersi. Inoltre i Jazzisti hanno da sempre attinto al materiale musicale che avevano a disposizione. Gli standard Jazz più conosciuti sono canzoni dei musical di Broadway o rielaborazioni di esse. Penso quindi che la cosa più naturale per chi suona Jazz nel 21° secolo è proprio attingere ed ispirarsi alle canzoni ed ai suoni del rock, del pop, dell’elettronica, oltre che al Jazz in senso stretto. In fondo se il jazz, inteso solo come New Orleans, Dixieland e Blues, non avesse subito una pesante influenza dalla musica classica, non avrebbe raggiunto l’evoluzione che conosciamo.”

Paolo: “È una scommessa quella di provare ad ottenere, con una formazione da trio jazz, sonorità che ricordano il rock e quindi suonare il piano come se fosse una chitarra distorta, o il contrabbasso come un basso elettrico. Ci piace inoltre “smontare” i classici del rock e “ricostruirli” a modo nostro. A volte arrivando ad ammorbidire le sonorità, come per Smells like teen spirit, che suonata in 6/8 ha una resa più “eterea” dell’originale. Altre volte, invece, proviamo ad “incattivire” i brani. È stato in ogni caso molto naturale e divertente. D’altra parte va detto che questa scelta è dettata anche dal tentativo di rivolgerci ad un pubblico appartenente non solo all’ambiente jazzistico. L’obbiettivo è di avvicinare più persone (in particolare i più giovani) al genere. Grossomodo riusciamo ad arrivare a gente dai vari gusti musicali. È ovvio che l’apprezzamento da parte di grandi jazzisti (come ci è successo) fa piacere, ma siamo orgogliosi di avere un grosso seguito formato anche da non addetti ai lavori!”

Questa scelta così risoluta, non preclude però all’improvvisazione.

Lorenzo: “Tutt’altro! Spesso, nei nostri brani, è molto netta la dicotomia tra parti “fisse”, prese dalla canzone stessa o composte da noi, e parti totalmente improvvisate. Di solito è Paolo ad arrivare in sala con delle partiture e un’idea sulla ricomposizione del tema principale, ma l’improvvisazione ha un ruolo fondamentale nella nostra musica.”

Mentre per quanto riguarda i brani originali?

Lorenzo: “Si può dire sia la stessa cosa. Io parto da un’idea che mi piace, “mi suona bene”, e ci costruisco intorno lasciandomi guidare dalle sensazioni. Anche in questo caso, il ruolo dell’improvvisazione è importantissimo. Il primo che ho scritto (Douze, che chiude l’album) è nato in treno, di ritorno da un viaggio a Parigi.”

Per i vostri progetti futuri pensate di proseguire nella medesima direzione?

Davide: “In questa fase credo proprio di si, anche se avvertiamo la necessità di integrare nel repertorio sempre più brani nostri. Per quel che riguarda il “sound”, considerando che la batteria influenza molto il “colore” di un trio, potendo facilmente passare da sonorità morbide a durissime, l’idea per il futuro è quella di introdurre anche un “trattamento” sul suono del piano e del contrabbasso, magari inserendo un po’ di elettronica ed alcuni effetti.”

Se, nonostante tutto, proprio non riuscite ad immaginare come potrebbe risultare una Kashmir o una Enter Sandman, qui di seguito le date dei prossimi concerti (per innamorarvi come è successo a noi!):

15 aprile Caffè Letterario;

5 maggio 28divino;

6 maggio La Riunione di Condominio.

 

Serena Marincolo

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